Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2517 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2517 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore che si è riportato al ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale della stessa città che aveva condannato, anche a fini civili, NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento dell’impresa individuale della quale era titolare (e nella quale, secondo l’accusa, il marito svolgeva funzioni gestorie di fatto, senza che quelle svolte dall’imputata fossero meramente apparenti), dichiarato il 24 novembre 2016.
Oggetto di dissipazione, in particolare, era l’importo di circa 290.000 euro, destinato a spese personali; era contestata la distrazione di beni strumentali di modesto valore, nonché la tenuta irregolare ed incompleta della contabilità, che aveva reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, articolando due motivi di seguito riassunti negli stretti limiti necessari al motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta patrimoniale.
La Corte di appello avrebbe illogicamente affermato che le movimentazioni bancarie sono state poste in essere dal marito dell’imputata, nondimeno affermando anche la sua responsabilità sul presupposto di un omesso controllo del marito, soggetto verso il quale nutriva fiducia fino al momento della scoperta, da lei denunciata, di ammanchi di denaro.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta documentale fraudolenta e si fonda su identiche considerazioni: la ricorrente si fidava del marito e quanto da lui compiuto è avvenuto a sua insaputa.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Il Difensore del ricorrente ha depositato conclusioni nelle quali si è riportato al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Nel primo motivo, la ricorrente omette anzitutto di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che ha argomentato, alla luce delle prove acquisite, come ella non fosse una mera “testa di legno” bensì svolgesse realmente attività imprenditoriale, intrattenendo direttamente rapporti commerciali con clienti o fornitori (pag. 4 della sentenza impugnata).
Ciò posto, la Corte ha evidenziato come le uscite di cassa fossero, per ammissione della stessa COGNOME, non pertinenti all’attività di impresa e fossero ictu ()culi ingiustificate alla luce della crisi che l’impresa stava vivendo, crisi che imponeva una particolare attenzione a movimenti finanziari in uscita che, sebbene eventualmente disposti dal marito che si occupava del conto corrente aziendale, «non potevano che allarmare l’imprenditrice, salvo che, come verificato nel caso concreto, fosse stata lei stessa a voler beneficiare di tali condotte distrattive» (pag. 5, ultimo capoverso, della sentenza impugnata).
Con la motivazione resa dalla Corte di appello, la ricorrente mostra di non confrontarsi.
Si tratta invece di una motivazione corretta e conforme agli approdi consolidati, secondo i quali «sussiste la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita» (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814; conf. Sez. 5, n. 11938 del 09/02/2010, COGNOME, Rv. 246897).
Nessun confronto con la motivazione resa dalla Corte di appello nemmeno nel secondo motivo di ricorso.
La bancarotta fraudolenta documentale ritenuta provata è quella c.d. “generica” (v. pagina 3 della sentenza impugnata), cioè quella che consiste nella tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita.
Il reato richiede il dolo generico: «la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volont della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677).
La ricorrente nemmeno contesta che le scritture siano affette dalle gravi irregolarità che la Corte territoriale ha evidenziato, né che tali irregolarità abbiano reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Contesta, invece, le conclusioni raggiunte dai giudici del merito in ordine alla consapevolezza, cioè al dolo richiesto dalla norma incriminatrice, che però si configura anche quale rappresentazione della significativa possibilità che il soggetto cui si sia eventualmente consentito di assumere la gestione effettiva della contabilità la alteri, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari l ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della società, in assenza del doveroso controllo (cfr. Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021 Rv. 282280).
La Corte di appello ha motivato sia in ordine all’effettività delle funzioni svolte dalla COGNOME, sia in ordine all’abdicazione della donna rispetto al suo dovere di regolare tenuta della contabilità, sia in ordine, infine, alle conseguenze in tema di obiettiva impossibilità per il curatore di ricostruire il movimento degli affari (pagg 4-5 della sentenza impugnata). Con tali argomenti la ricorrente non si confronta, limitandosi a censurare l’illogicità di una motivazione che avrebbe formulato un giudizio di responsabilità a carico di un soggetto ignaro dell’operato altrui.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 04/12/2023