Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8568 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8568 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 18/07/1987
avverso la sentenza del 06/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore
L’avv. NOME COGNOME insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 6.6.2024 la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta documentale, patrimoniale ed impropria.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difens di fiducia, deducendo quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 1, disp. att. cod. proc. pen.
Ebbene, a fronte di tali censure, innanzitutto, la Corte di appello sminuisce il riliev questione relativa all’amministrazione di fatto, osservando che il periodo in questione appena mesi sei, non può ritenersi dirimenti ai fini che occupano, tuttavia, essa, considera che la bancarotta fraudolenta documentale è delitto proprio dell’amministratore diritto che non può in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente rispond anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della casca, a me che non venga provato, appunto, che egli abbia continuato ad ingerirsi di fat
nell’amministrazione della società ovvero quale extraneus abbia in qualche modo preso parte alle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore.
L’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto appare dirimente anche riferimento al reato di cui al capo B, ed infatti il delitto di bancarotta fraudolenta ne specie attiene a presunte distrazioni o dissipazioni di immobilizzazioni materiali, riman e disponibilità liquide appostate all’ultimo bilancio della gestione del ricorrente, chiuso al 31/12/2014 e depositato il 30/09/2015; sicché allo stesso non potrebbe esser mosso alcun rimprovero senza l’attribuzione al medesimo, per l’appunto, di una gestione d fatto dell’azienda in epoca successiva alle sue dimissioni, non avendo egli l’obbligo di te di alcuna contabilità idonea a giustificare quelle voci.
Inoltre, la Corte di merito, invece di indicare puntualmente quali atti gestori – così richiesto dalla giurisprudenza di legittimità – inseriti nella sequenza prod amministrativa, contrattuale o disciplinare dell’azienda, il ricorrente avrebbe realizza periodo successivo alla dismissione del proprio incarico formale, ha tratto elementi valutazione dell’amministrazione di fatto attraverso indebita inversione della prova ovv sulla base della circostanza che i dipendenti escussi nulla avessero riferito sul ruolo ultimi due amministratori succedutisi dopo le dimissioni del Santellocco, laddove, peraltro testi non era stata posta alcuna domanda relativa ai successori del predetto.
D’altra parte, proprio la circostanza valorizzata contra reum che la società fosse inattiva nei suoi ultimi mesi di vita appare indice, al contrario, dell’inesistenza di att attribuibili, per quanto qui di interesse, al ricorrente in quel periodo, non essendo s stessi neppure individuati dai giudici di merito, sicché l’apparato argomentativo sotto qu profilo appare del tutto illogico.
Né potrebbe assumere rilievo il fatto che l’amministrazione del nonno COGNOME sia durat appena un mese, dal momento che al termine dell’incarico la gestione veniva in ogni caso formalmente assegnata ad un terzo soggetto, COGNOME
Del tutto apodittica appare poi l’affermazione secondo cui il conferimento da parte del Santìs alla società di un immobile di circa 60 mq, non denoti il suo ruolo gestorio qu piuttosto quello di socio che aveva acquistato tutte le quote sociali e che anche in virt legame parentale con l’imputato (rimasto dominus della società) intendeva portare un suo contributo per evitare o almeno procrastinare il fallimento.
Quanto, infine, al fatto, pure affermato in sentenza, che l’imputato, mentre anc amministrava la società fallita, ne costituiva e gestiva un’altra avente lo stesso og sociale, presso la quale diversi dipendenti venivano trasferiti, trattasi di affermazione di evidente travisamento probatorio dal momento che la società fallita e l’altra condividevano il medesimo oggetto sociale e comunque, come ebbe poi a spiegare il ricorrente, le ragioni per cui aveva deciso di dismettere il proprio incarico erano leg
forti contrasti insorti con il padre NOME, non ad altro (circostanza confermata da que dai dipendenti escussi).
Difettano, dunque, gli atti gestori, non individuati dai giudici di merito che hanno valo argomenti che non sono in alcun modo sufficienti a restituire quegli indici sintomatici diretta partecipazione alla vita sociale da parte dell’imputato.
2.2.Col secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto d ricorrenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale a carico del ricorren Nonostante l’imputato non fosse stato formalmente convocato dal curatore, lo stesso si er premurato di consegnare alla curatela un documento sottoscritto dal successivo amministratore recante la data del 11 dicembre 2015, nel quale si dava atto che quest aveva ricevuto dal Santellocco la documentazione contabile societaria. D’altra parte, commercialista della società confermava che detta documentazione era esistita ed era stata regolarmente tenuta quantomeno fino al dicembre 2015, circostanza ulteriormente avvalorata dal contenuto della visura camerale della fallita.
La Corte di appello ingiustamente ha ritenuto che la produzione di tale documento, definit laconico, non potesse escludere la responsabilità dell’imputato in relazione alla contabi della società, da lui pacificamente amministrata sino a quel momento, evidenziando l genericità ed incompletezza di siffatta dichiarazione, nella quale sono del tutto omessi al libri contabili mentre rispetto a quelli menzionati non sono neppure specificate le annua cui si riferiscono. Tuttavia, essendo stato il ricorrente l’unico amministratore momento di cessazione della carica, si assume che colui che gli era subentrato non poteva che avere ricevuto tutto ciò che era in possesso dello stesso a quella data. D’altronde documentazione consegnata al COGNOME non poteva che essere quella ritirata, in data 9 dicembre 2015, presso lo studio del commercialista che fino a quel momento aveva tenuto la documentazione contabile ed amministrativa della società, come da dichiarazione sottoscritta dal ricorrente.
Né vengono indicate nel provvedimento impugnato le ragioni per le quali l’odiern ricorrente avrebbe dovuto occultare o distruggere la contabilità della società fallita quantomeno fino alla data del 9 dicembre 2015 certamente poteva considerarsi regolarmente tenuta.
L’affermazione dell’esistenza del dolo specifico in capo al ricorrente è stata, dun effettuata in maniera del tutto apodittìca, facendosi riferimento alle condotte distrat dissipative allo stesso contestate, ritenute chiarì indici di fraudolenza.
2.3.Col terzo motivo deduce violazione dì legge e vizio di motivazione in punto ricorrenza del delitto dì bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. No comprendeva e non si comprende quale attivo fallimentare avrebbe dovuto dissipare il ricorrente nel periodo della sua gestione a fronte di una situazione aziendale ìn cui il bi del 2014 registrava crediti esigibili per 470.000 C, debiti ammontanti a circa 1.021.813
attivo pari ad euro 583.000, rispetto ad un passivo fallimentare ammontante a soli 250.00 C. In sede di istruttoria dibattimentale era stato depositato il registro ìva fattura eme mesì gennaio/ottobre 2015, da cui risultavano vendite in quell’anno per almeno 423.986 C, dato che non poteva che neutralizzare l’ipotesi accusatoria e che il Tribunale non ave debitamente valutato nella propria decisione. Il ricorrente aveva poi ricondott destinazione delle disponibilità liquide per euro 97.519 al mutuo erogato dalla banca BCC Roma per ripianare i debiti societari, offrendo la prova della corresponsione da parte de stesso della quota residua di euro 60.000, circostanza non opportunamente considerata dai primi giudici.
Ebbene, la sentenza impugnata nel rigettare tutte le doglianze difensive muove ancora una volta dall’errato presupposto che fosse il ricorrente il soggetto onerato di fornire l della mancata consegna dei beni di cui alle voci appostate nell’ultimo bilancio nella gest Sa ntellocco.
In ogni caso il provvedimento non pare seriamente, neppure, confrontarsi con i motivi d doglianza proposti con l’appello perché la motivazione non può ritenersi in linea co dettato normativa di cui all’art. 125 del codice di diritto.
Intanto l’indicazione del passivo fallimentare in euro 250.000 è stato ritenuto ingiustame un dato non certo dal momento che altri creditori avrebbero potuto operare la scelta di no insinuarsi, laddove, in assenza di elementi probatori a suffragio dell’esistenza di maggiori al momento del fallimento, i giudici del merito avrebbero dovuto confrontare que dato con le voci ‘debiti’, ‘attivo circolante’ e ‘crediti esigibili’ e dare puntuale ragioni per cui era escluso, oltre ogni ragionevole dubbio, che le poste attive fossero s utilizzate per ripianare le passività, piuttosto che essere distratte, tanto più se si co che a partire dall’anno 2015 la società era in liquidazione.
Ma anche l’affermazione secondo cui non sarebbe stata fornita alcuna prova documentale in ordine alla destinazione dei pagamenti dei debitori/fornitori, (pretesamente avvenute nero), e della restituzione del mutuo BCC da parte del ricorrente, è del tutto contradditt
Indi vengono indicate le emergenze istruttorie costituite da circostanze che il provvedime impugnato avrebbe scelto di ripudiare, prediligendo una lettura delle vicende societar fondata su presunzioni e contrastante con le risultanze dibattimentali; né la sentenza spie come la decisione del ricorrente di farsi gerente personale del prestito della società co banca e la successiva estinzione integrale del mutuo con i propri fondi personali si ponga relazione al carattere dì fraudolenza che caratterizza la condotta distrattiva della fatti in esame. Sicché, in definitiva, la motivazione resa in punto di responsabilità del ricor per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è del tutto carente ed apparente quanto tale meritevole di annullamento
2.4.Col quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto ricorrenza del delitto di bancarotta fraudolenta per omesso versamento delle imposte. Con
l’atto dì appello si era evidenziato come la condotta di inadempimento delle obbligazio tributarie e previdenziali non può essere generica bensì sistematica, tale per cui il sogg agente deve prevedere il dissesto nel medio periodo in ragione della crescita esponenziale del debito, che deve essere, quindi, accertato nel suo ammontare anche rispetto a quello complessivo eventualmente versato; laddove, nel caso di specie, non si è neppure appurato se nel corso del periodo contestato al Santellocco (annualità 2012-2015) le imposte fossero state pagate e se fossero state avanzate istanze di rateazione per la quota residua; istan che, da un lato, manifestano l’intenzione dell’amministratore di voler pagare i propri d erariali e, dall’altro, neutralizzano la portata offensiva della condotta. D’altra part rappresentato dall’imputato, sin dalla fase delle indagini, al momento delle sue dimissioni società era già in stato di liquidazione e vi era un piano di risanamento della posiz debitoria dallo stesso avviato e che avrebbe dovuto concludere il nonno COGNOME
Se, poi, si considera che è onere dell’accusa trovare la sistematicità dell’inadempimen appare evidente che la motivazione con cui la Corte di appello ha disatteso la richiesta integrazione probatoria in ordine all’accertamento – che il curatore fallimentare ammette di non avere effettuato – in merito al pagamento o alle modalità dei pagamenti dei deb fiscali della società, è illegittima. La motivazione resa sul punto dalla Corte di app invero, del tutto errata in quanto afferma che l’asserita rateizzazione del debito tribut rimasta circostanza del tutto indimostrata anche alla luce del fatto che il credito Equit portato dagli estratti di ruolo presenti agli atti dello stato passivo fallimentare, l ruolo è il vero atto impositivo, rispetto al quale possono essere effettuate impugnazio richieste di rateazione dei debiti, e non l’estratto di ruolo.
Sicché in definitiva la motivazione resa al riguardo è del tutto apodittica ed illogica p basata su risultanze probatorie inconferenti rispetto all’accertamento richiesto riferimento al reato in argomento.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi del 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 – su richiesta della difesa, in pubbl udienza in cui le parti hanno concluso nei termini indicati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1,11 ricorso è nel suo complesso infondato e merita il rigetto.
1.1.Infondate sono innanzitutto le doglíanze che lamentano la mancanza di prova degli atti gestori, non individuati dai giudici di merito, che avrebbero quindi valorizzato argo che non sarebbero in alcun modo sufficienti a restituire quegli indici sintomatici della d partecipazione alla vita sociale da parte dell’imputato anche successivamente alla su
cessazione dalla carica di amministratore di diritto (e, dunque, dal 12.1.2016 e sino dichiarazione di fallimento, intervenuta il 27.7.2016).
Pacifico il fatto che il ricorrente sia stato amministratore unico della società f momento della sua costituzione (28.11.2011) e sino al subentro del nuovo amministratore (i 12.1.2016) a seguito delle dimissioni rassegnate il 10.12.2015, la Corte d’appello affermato che egli continuò, di fatto, ad essere il dominus della società anche dopo la cessazione dalla carica nel limitato periodo di circa sei mesi, sino al fallimento. In par sulla base di una pluralità di elementi, complessivamente considerati, i giudici di hanno delineato le vicende societarie in cui si è inserito a pieno titolo il ruolo riv ricorrente, ritenuto, in buona sostanza, l’artefice di quanto ebbe a verificarsi – a ridosso del fallimento allorquando era oramai delineata la situazione di insolvenza e la so era stata abbandonata a se stessa.
Ha evidenziato la sentenza impugnata che il 12.1.2016 al Santellocco era subentrato, “i una situazione di liquidazione” (come dallo stesso dichiarato, pag. 4 della sent impugnata), il nonno ottantenne COGNOME NOME per circa un mese, che non aveva compiuto alcun atto gestorio e che, di là del tentativo di dare un contributo, più o meno appare quanto non determinante, alla soluzione della crisi in cui ormai versava la società, immediatamente dimesso; che subito dopo, e per ulteriori cinque mesi (vale a dire, sino a dichiarazione di fallimento), la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE era stata da NOME COGNOME resosi irreperibile, e del quale nessuna notizia specifica veniva for curatore. Circostanze queste che hanno indotto i giudici di merito a ritenere che la socie seguito delle dimissioni del Santellocco, fosse stata definitivamente abbandonata a se stes dopo essere stata, durante l’amministrazione formale del ricorrente, avviata a quella ch stesso imputato aveva definito una sorta di messa in liquidazione di fatto che si era tut tradotta nello svuotamento di una società già gravata da molti debiti (non essendovi trac come si dirà infra, dell’asserito utilizzo dei beni societari per il soddisfacimento dei debit società).
Ricostruzione, questa dell’abbandono della società al suo destino ovvero al fallimento, di più confortata, secondo quanto pure si evidenzia nella sentenza impugnata, dal fatto contestualmente l’imputato aveva costituito, e poi gestito, un’altra società, la RAGIONE_SOCIALE con oggetto sociale analogo a quello della RAGIONE_SOCIALE e presso la quale erano tran diversi dipendenti di tale società. Tale circostanza, opportunamente inserita nel compless contesto probatorio delineato dalle conformi pronunce di merito, è stata giustamen valorizzata a prescindere dalle ragioni sottostantì indicate dall’imputato – che assume di creato la nuova società per distaccarsi dal padre – trattandosi di ragioni che non fanno v meno la ricostruzione secondo cui rispetto alla società RAGIONE_SOCIALE egli abbia intenzionalment assunto i comportamenti illeciti ascrittigli, non essendovi incompatibilità tra tali circo
Non potrebbe, quindi, costituire una ragione giustificativa idonea a suffragare una div lettura di quanto accaduto, la circostanza che i rapporti tra il ricorrente e il padre, quanto riferisce l’imputato, sì sarebbero incrinati, dal momento che l’eventuale insorge problematiche sottostanti ai rapporti societari non legittima minimamente l’abbandono del società a se stessa con creazione peraltro di un’altra società con oggetto analog trasferimento di parte dei dipendenti dalla vecchia alla nuova società. Trattasi piutto elementi che, come ragionevolmente argomentato nella sentenza impugnata, considerati insieme agli altri, depongono per la mera investitura formale dei due amministratori desig dopo le dimissioni del ricorrente e di conseguenza per la riconducibilità a questi di q verificatosi anche successivamente alle sua dimissioni e delle oramai segnate sorti de società, con tutto quanto ne consegue in ordine alla riferibilità quanto meno anche dei reati di bancarotta ascrittigli, sia di quella documentale e distrattiva, che impropria cd. tributaria.
La fase successiva alle dimissioni rassegnate dal Santellocco più che da una gestione d fatto è caratterizzata dalla sostanziale inattività della società.
Sicché la responsabilità del ricorrente si fonda non tanto sul compimento di atti gest comunque non riscontrati neppure in capo a coloro che gli succedettero nella carica formal di amministratore nel periodo immediatamente antecedente al fallimento quando oramai la crisi era consolidata ed aveva di fatto reso inattiva la società – quanto piuttosto, a sulla complessiva ricostruzione delle vicende e dinamiche societarie, non essend pretendibile, né tanto meno necessaria, la dimostrazione di attività gestoria nel caso in società non sia oramai più attiva per decisione dello stesso amministratore uscente – cui s imputabili le illecite condotte.
Erra quindi il ricorso nell’affermare che, pur ammettendo che la dismissione della car di amministratore era tesa a “coprire” le condotte distrattive e dissipative precedentem poste in essere, non può, da ciò, inferirsi la continuazione di un’attività gestoria di una che, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, era stata sostanzialmente “abbandonata a se stessa”.
Il punto è infatti proprio questo, poiché la società era oramai inattiva, la valut come nella sostanza correttamente effettuata dai giudici di merito, in ordine al ruol ricorrente post dimissioni doveva essere effettuata non sul piano ordinario del compimen degli atti gestori ma su quello della concludenza del quadro complessivo che non vede at successivi compiuti né da parte degli amministratori succedutisi né da parte di que precedente, ossia del ricorrente. Ciò che rileva è che questi – dopo aver ricoperto la car amministratore non come mera testa dì legno – non avendo neppure il ricorso escluso il su coinvolgimento sia pure rapportato a quello paterno – , ebbe a dare le dimissioni allorqua la società, oramai in procinto di fallire, era di fatto inattiva, dopo una gestione c comportato l’insorgenza di una forte esposizione anche per omesso adempimento degli
obblighi tributari e previdenzialì; dimissioni che avevano pertanto registrato il subent formale dei due amministratori succedutisi fino alla dichiarazione di fallimento, inter solo dopo sei mesi. L’investitura dei nuovi amministratori fu solo formale e fu finalizz accompagnare la società verso l’atto finale del fallimento, che intervenne dopo soli sei del quale evidentemente ricorrevano, quindi, già tutti i presupposti al momento d cessazione della carica del Santellocco.
Sicché si deve concludere affermando che quando la cessazione della carica di amministratore intervenga in una fase in cui la società è oramai inattiva, in quanto avvi fallimento, la prova della posizione di amministratore di fatto di tale società dopo le di si traduce in quella del ruolo di dominus mantenuto anche successivamente all’investitura formale del nuovo amministratore, atteso che non è ipotizzabile l’accertamento di elemen sintomatici dell’inserimento organico (quali quelli attinenti ai rapporti con i dipe fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale) in un ente abbandonato stesso, ormai esistente solo formalmente, da un punto di vista giuridico.
Né si potrebbe, nel caso di specie, avvalorare l’ipotesi di una sorta di fase liqui finale, assistita dall’intenzione di un risanamento della debitoria, dal momento che, sec quanto si afferma, sul punto, nella sentenza impugnata, e si dirà infra nel trattare della bancarotta distrattiva, non sono stati riscontrati elementi concreti ai fini del trac della destinazione dei beni societari al soddisfacimento di esigenze societarie. E rispetto argomento il ricorso nulla di specifico controdeduce, limitandosi a ribadire – senza giammai prodotto nulla di concreto al riguardo se non delle fatture il cui ricavato tracciabile – che le risorse societarie erano state impiegate nel soddisfacimento dei della società e che ben poteva esservi stato anche un piano di risanamento dei debiti trib con relativa rateizzazione (su tale ultimo punto si ritornerà infra allorquando si tratterà della bancarotta impropria cd. tributaria).
1.2. Il secondo motivo è anch’esso infondato, e le ragioni della sua infondatezz agganciano a quelle suindicate, essendo stati gli accadimenti congruamente ricostruiti giudici di merito secondo una complessiva valutazione della vicenda, ed avendo, di contro, ricorso posto a base delle doglianze di cui al motivo ìn scrutinio considerazioni analog quelle sviluppate col primo motivo.
Ed invero, la Corte d’appello, una volta ritenuto provato che il coinvolgim dell’imputato non fosse stato arrestato dal subentro degli amministratori che gli succedet nella carica formale di amministratore, dettato proprio dalla necessità di creare apparente cesura rispetto all’amministrazione pregressa nei confronti di una società oramai procinto di fallire, ha, quindi, altresì rìtenuto provato – come ammesso dallo stesso rico – che la contabilità “pacificamente esisteva” per tutto il periodo in cui l’imputato mant carica dì amministratore di diritto della società e che i libri e le scritture contabili, il “verbale di consegna” sottoscritto dall’amministratore “prestanome” subentrante COGNOME
– attestante peraltro genericamente solo la consegna di alcuni registri/libri senza nep indicarsi l’annualità – erano rimasti nella disponibilità dell’amministratore cessato ( imputato), e che quindi a quest’ultimo dovesse imputarsi la mancata consegna delle scrittu contabili mancanti.
Sintomatica della lacunosità di tale documentazione è stata ritenuta la risposta ch curatore ha immediatamente inviato all’imputato il 15/12/2016, riportata testualmente ne sentenza impugnata:” Buongiorno dottor COGNOME la ringrazio della documentazione inviata. Sulla base della dichiarazione sottoscritta dal signor COGNOME le chi consegnarmi le fatture attive e passive della società fallita, la corrispondenza, i contabili e gli estratti conto. Le chiedo infine di rendere conto di tutte le attività bilancio chiuso al 31 dicembre 2015 e approvato il 29 9 2016 e in particolare la cassa crediti verso clienti nonché di riferire in merito alle scelte gestionali operate durante in cui lei era amministratore della società e in particolare le modalità con cui si è accu il debito che ha condotto al dissesto la società, in particolare quello con l’erario per dirette e indirette, contributi e premi assicurativi, nonostante la presenza di rilevant per cassa e crediti verso clienti alla fine del 2014, e comunque il motivo per cui a dell’accumularsi di debiti non abbia provveduto a porre tempestivamente la società liquidazione”. La sentenza impugnata dà atto dell’errore materiale relativo all’eser dell’ultimo bilancio depositato che risale al 2014 e non al 2015, come scritto dal curator mero errore, e alla data della sua approvazione che è il 29/09/2015 e non il 29/09/2016, tal modo evidenziando come il curatore si sia quindi riferito a dati risalenti alla amministrazione formale del ricorrente ed abbia correttamente ricondotto alla sua persona responsabilità di fornire la contabilità e di dare spiegazioni sulle vicende soci considerato che l’ultimo bilancio depositato, con la relativa nota integrativa, er approvato sotto la sua gestione, e ciononostante egli non vi aveva ottemperato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha, in buona sostanza, la Corte di appello, osservato che il subentro del COGNOME ( questi, di tale COGNOME) al Santellocco era avvenuto pochi mesi prima del fallimento, quand società era ormai più che “in liquidazione” (sì precisa nella sentenza impugnata che n risulta alcuna messa in liquidazione formale), abbandonata a se stessa, ed era stato in buo sostanza finalizzato a mandare indenne l’amministratore uscente (odierno imputato) da responsabilità (in sostanza, a coprire attività distrattive); e che in quest’ottica, ritenere che la contabilità fosse stata scientemente sottratta/occultata alla curatela.
Come congruamente conclude il Procuratore Generale nella requisitoria svolta anche per iscritto, essendo assodato che COGNOME e poi COGNOME non avevano mai gestito la società e contabilità avendo assunto il ruolo, meramente formale, di amministratore, in pratica c testa di legno, sì deve di conseguenza ritenere che la contabilità in realtà non f consegnata dall’imputato al nonno ottantenne, che, neppure nelle intenzioni, avrebbe dovut compiere attività gestoria (tanto che dopo un mese cessò anch’egli dalla carica). Peraltro.
vi è coincidenza tra i libri ritirati dal commercialista, di cui alla dichiarazione ricorrente e quelli di cui alla dichiarazione sottoscritta dalli amministratore COGNOME COGNOME secondo quanto indicato nella sentenza impugnata riporta unicamente registri iva, li giornale, libro verbale assemblea dei soci – circostanza, questa, non oggetto di contestaz in ricorso.
L’affermazione di responsabilità dell’imputato per la contestata bancarotta fraudole documentale specifica appare, pertanto, sorretta da motivazione non inficiata da manifes illogicità dando essa in definitiva conto anche della sussistenza del dolo specifico necessar fini dell’integrazione della fattispecie in argomento, attraverso l’evidente collega evidenziato dai giudici di merito, sussistente tra le condotte distrattive/dissipative rav la mancata consegna al curatore – sottrazione – della contabilità.
1.3. Il terzo motivo è proprio aspecifico.
Nel caso di specie, la Corte territoriale (condividendo il percorso argomentativo del p giudice) ha evidenziato come dall’espletata istruttoria fosse emerso che dall’ultimo bil della fallita (risalente al periodo in cui l’imputato era amministratore di diritto) immobilizzazioni materiali per euro 88.960,00, rimanenze per euro 15.300,00 e disponibili liquide per oltre 97,000,00 euro. Dati questi messi in discussione attraverso argome ritenuti, già nella sentenza impugnata, non dirimenti, in particolare attraverso la circo secondo cui in primo grado si sarebbe dimostrato, col deposito del registro iva, che nel 2 vi erano state vendite per almeno 423.986 (il che neutralizzerebbe i valori attivi appost bilancio).
Tuttavia, la Corte di appello ha già spiegato al riguardo che, pure a voler considera dato delle vendite, non essendovi traccia della destinazione del loro ricavato a fini azien di cui la difesa fornisce mera allegazione labiale per presunti pagamenti di debiti societa distrazione rimane comunque integrata e la responsabilità del ricorrente confermata.
Né avrebbe potuto assumere rilievo – si precisa nella sentenza impugnata – l circostanza che a fronte di una debitoria per circa 1.021. 813,00 risultassero ammessi passivo debiti per soli euro 250.000,00, non potendosi certamente desumere da tale dato come giustamente osservato dai giudici di merito, alcunché di utile ai fini della giustifi della destinazione dei beni aziendali o del loro ricavato, dal momento che il minor imp della debitoria accertata in sede fallimentare ben potrebbe essere dipesa da fattori div dall’avvenuto adempimento (quali la scelta, da parte dello stesso debitore, di non insinu al passivo in considerazione, ad esempio, dell’assenza di attivo, o anche la manca ammissione del debito al passivo fallimentare per ragioni formali inerenti al titolo).
Né tanto meno avrebbe potuto assumere rilievo – osserva la pronuncia impugnata – la circostanza pure addotta in ricorso secondo cui il ricorrente avrebbe garantito personalmen un mutuo assunto dalla società, a dire dell’imputato, per assolvere al pagamento dei debiti quindi provveduto a sborsare la somma dì euro 60.000 nel marzo del 2017 – ossia
allorquando la dichiarazione dì fallimento era già intervenuta. Ed invero, come osservan giudici di merito, non si comprende in che modo tale evenienza – di là della dimostrazione – possa incidere sulla prova della fattispecie di bancarotta patrimoniale asc all’imputato, che peraltro è a dolo generico e non specifico, non incidendo essa sul dato d mancata acquisizione all’attivo di beni o valori societari.
Tale impostazione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultam dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da p dell’amministratore, della loro destinazione, tuttavia il giudice non può ign l’affermazione dell’imputato di aver impiegato tali beni per finalità aziendali o d restituiti all’avente diritto, in assenza di una chiara smentita emergente dagli el probatori acquisiti, quando le informazioni fornite alla curatela, al fine di cons rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero d stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/ Rv. 279204 – 01, in applicazione del principio la Corte ha ritenuto che non possa valer superare l’inversione dell’onere della prova della distrazione di beni mobili a carico del l’indicazione generica della loro ubicazione che non ne consenta l’esatta individuazione) nel caso di specie, gli argomenti assertivamente addotti dalla difesa, non solo non ri siano stati tempestivamente indicati al curatore ma neppure rivestono quel carattere specifica allegazione idonea a consentire l’individuazione della effettiva destinazione dei sottratti.
1.4. Il quarto motivo è infondato.
Innanzitutto, quanto alla censura che lamenta la mancata rinnovazione del dibattimento tesa all’accertamento – se del caso tramite accesso al cassetto fiscale della società circostanza di una prevista rateizzazione del debito con l’Erario, si evidenzia che è lo s atto di appello a definire l’oggetto dell’accertamento sollecitato mere iniziative di dilaz fisco. In ogni caso la Corte di appello ha, giustamente, rigettato la richiesta ist ritenendola tardiva in quanto da sollevare la relativa questione nella più appropriata fallimentare in cui devono emergere tutte le circostanze utili per il curatore, e ciò, per là del fatto che ben avrebbe potuto lo stesso ricorrente produrre documentazione al riguar – e considerando non necessario l’accertamento richiesto.
E’ evidente, infatti, che eventuali iniziative da intraprendere o già avviate con il dilazione del debito accumulatosi nel tempo a causa del sistematico inadempimento nel pagamento di imposte, tasse e contributi vari, a nulla potrebbero rilevare a dell’accertamento del reato dì bancarotta fraudolenta impropria cd. tributaria, non pote certamente l’avvio di iniziative in tal senso far venire meno la sistema dell’inadempimento, né tanto meno il dolo.
Ed GLYPH invero, GLYPH ai GLYPH fini GLYPH della GLYPH configurabilità GLYPH della GLYPH bancarotta GLYPH impropria da operazioni dolose non deve risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, Rv. 286349 – 01).
La Corte d’appello, nel confermare le valutazioni del primo giudice, ha fatto b governo del principio, secondo il quale, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, legge fai!. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscal previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confro dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337), rite che eventuali iniziative di rateizzazione – che ben possono, peraltro, rimanere poi senza e – non sono di per sè idonee ad incidere sulla configurazione del reato.
E’ dunque sufficiente che le operazioni dolose, nel caso di specie consistite nel sistema inadempimento dei debiti erariali riferibile alla gestione societaria dell’imputato, a aggravato l’esposizione debitoria, la quale, peraltro, ad ulteriore conforto della ricondu del sistematico inadempimento del debito erariale ad una ben precisa scelta consapevole del ricorrente, in sede di accertamento del passivo è risultata costituita in via preponde proprio dalla debitoria col fisco e con Equitalia (laddove la contestazione che fa sull’ammissione al passivo di determinati debiti sulla base di estratto di ruolo invece c ruolo, non potrebbe assumere alcun rilievo ai fini che occupano nella presente sed trattandosi di questioni endo-fallimentari. D’altra parte, l’obbligazione tributaria non seguito dell’attività accertativa dell’amministrazione finanziaria, ma col verific presupposto al quale è collegata l’emersione del tributo).
Non si deve trascurare che, per altro verso, lo stesso ricorso assume che la gran parte debiti societari sarebbero stati estinti prima del fallimento – come si evincerebb contenuto importo di circa 250.000 euro dei debiti ammessi al passivo rispetto a que indicato in bilancio per circa un milione di euro – ammettendo in tal modo implicitamente sia stato proprio, prevalentemente, il debito con l’Erario – costituente la parte prepond del passivo accertato in sede fallimentare – a rimanere non soddisfatto.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per le ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/12/2024.