Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25631 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25631 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a TRAPANI il 15/11/1948 COGNOME NOME nato a ROMA il 27/02/1942
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG COGNOME
Sentito il Consigliere relatore, il Procuratore Generale, riportandosi alla memoria in atti, chiede alla Corte di Cassazione di dichiarare i ricorsi come inammissibili, con le conseguenti determinazioni in tema di spese.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME dato atto di aver contezza della memoria del Procuratore Generale, discute i motivi del ricorso e conclude chiedendone l’accoglimento. Insiste, in particolare, sulla richiesta di rideterminazione delle pena.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 ottobre 2024, depositata il 22 ottobre 2024, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città che ha condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME
NOME COGNOME n.q. di amministratore unico, dal 14 ottobre 2009 al 3 dicembre 2010 e dal 31 marzo 2011 al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 6 giugno 2013, è stato condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica nonché per quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione della somma di C 720.000,00 che la fallita aveva ottenuto in forza di contratto di mutuo stipulato il 5 aprile 2011, somma che, come dichiarato dal curatore fallimentare, non risultava acquisita al patrimonio della società in quanto destinata alla società controllata e incorporata RAGIONE_SOCIALE già in perdita alla data della fusione (v. pag. 5 della sentenza di appello).
Con la medesima sentenza è stata altresì confermata la condanna di NOME COGNOME n.q. di amministratore unico della fallita, dal 3 dicembre 2010 al 31 marzo 2011, per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver distratto la complessiva somma di C 673.000,00, in favore della RAGIONE_SOCIALE società riconducibile alla famiglia COGNOME, dichiarata a sua volta fallita il luglio 2013 e amministrata dal ricorrente COGNOME, n.q. di amministratore unico, dall’8 settembre 2008 al 29 febbraio 2012.
NOME COGNOME affida il proprio ricorso a due motivi proposti entrambi a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con cui lamenta «l’omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza di elementi probatori idonei» a sorreggere la condanna.
2.1. Con il primo motivo, concernente la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale, deduce che, secondo la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, la distrazione delle somme ricevute a titolo di mutuo era consistita nella destinazione delle stesse alla copertura di un’esposizione debitoria pregressa della società RAGIONE_SOCIALE oggetto di incorporazione da parte della fallita, operazione, quest’ultima, che, si ritiene nella sentenza impugnata, secondo una valutazione ex ante era da considerarsi pericolosa. Lamenta il ricorrente che la motivazione in parte qua sarebbe del tutto apodittica e illogica alla luce delle stesse dichiarazioni da lui rese in dibattimento e di quelle rese dalla teste COGNOME. Deduce che, come si desumerebbe da siffatte dichiarazioni, «l’operazione fu meditata per consentire, in una fase di stretta creditizia, che la controllante disponesse di un “polmone” di liquidità indispensabile per la continuità aziendale. La fusione troverebbe, pertanto, una spiegazione non in una manovra spericolata e prospetticamente
depauperativa bensì in un tentativo obbligato di dare una prospettiva operativa alla fallita. Quest’ultima, infatti, non era beneficiaria di linee di credito. Lo era invece l’incorporata. Ma la loro continuità era evidentemente subordinata alla chiusura delle pregresse esposizioni sviluppatesi in un periodo in cui la gestione era in capo a soggetti terzi rispetto al RAGIONE_SOCIALE». Riguardata la vicenda secondo tale angolo prospettico, secondo il ricorrente, verrebbe meno non solo l’elemento soggettivo del reato contestato, ma anche quello oggettivo.
2.2. Con il secondo motivo, concernente la condanna per bancarotta documentale, lamenta l’apoditticità della motivazione posta a sostegno della condanna nella parte in cui riconosce la responsabilità penale del ricorrente nonostante dall’istruttoria, e in particolare dalla deposizione del teste COGNOME sarebbe emerso che la gestione operativa era completamente in mano ad altro soggetto. Evidenzia, poi, che nessun interesse poteva muoverlo a espungere le scritture contabili posto che la condotta di distrazione a lui addebitata era riportata nel bilancio depositato in Camera di commercio.
NOME COGNOME affida il proprio ricorso a due motivi.
3.1. Con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione delle disposizioni di cui all’art. 223, comma 1, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, I. fall. per non avere le conformi sentenze di merito ritenuto la condotta contestata alla stregua di una legittima operazione infragruppo volta ad ampliare il campo di azione della fallita e a realizzare una fusione per incorporazione della RAGIONE_SOCIALE, operazione quest’ultima però solo progettata e mai realizzata.
3.2. Con il secondo motivo lamenta il mancato riconoscimento della bancarotta riparata da rinvenirsi nella conclusione, in data 10 maggio 2011, del contratto di affitto del ramo di azienda tra la società fallita e l’RAGIONE_SOCIALE Il relativo credito concernente i canoni di affitto, rappresenta il ricorrente è stato poi ceduto dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE a compensazione di quanto da questa vantato nei confronti della fallita. La circostanza che il contratto di affitto non sia stato eseguito non sarebbe poi attribuibile all’imputato avendo questo cessato la carica il 31 marzo 2011. Rileva poi che la mancata coincidenza tra le due somme – quella oggetto della bancarotta distrattiva e quella compensata – sarebbe venuta meno in considerazione della transazione intervenuta nel 2015 tra la curatela fallimentare e il Verna e che ciò, in ogni caso, avrebbe giustificato la concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con cui si ravvisa la bancarotta patrimoniale per distrazione per avere il ricorrente destinato la somma di danaro mutuata dalla fallita, già ormai in conclamato dissesto, alla copertura di un’esposizione debitoria pregressa di altra società, la RAGIONE_SOCIALE fusa per incorporazione nella fallita. Quest’ultima, quindi, pur contraendo l’obbligazione restitutoria per un importo di C 720,00 non ha mai acquisito la somma che era servita per ripianare il debito di pari importo dell’incorporata.
Già la formulazione del primo motivo di ricorso con cui si deducono in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, conduce alla declaratoria di inammissibilità per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., avendo il ricorrente l’onere di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica (ex multis, Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 26354101).
Ag ogni buon conto deve rilevarsi che il ricorrente, nello sviluppare il primo motivo di ricorso, deduce in sostanza il travisamento della prova poiché a suo giudizio le risultanze istruttorie avrebbero consentito di ritenere che l’operazione effettuata trovava la sua ragion d’essere non in una manovra spericolata, ma nell’esigenza di fornire alla fallita delle linee di credito di cui era priva, ma di cui beheficiava l’incorporata la cui continuità era, però, subordinata alla chiusura delle pregresse esposizioni di quest’ultima.
Orbene, anche ove si abbia riguardo al vizio del travisamento della prova, sostanzialmente lamentato nel ricorso, deve rilevarsi che il ricorrente non considera che nel giudizio di legittimità sono precluse al giudice la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’adozione di nuovi e differenti parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (ex multis, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Rv 265482). In ogni caso, allorché si deduce il vizio del travisamento della prova, la parte deve riportare nella sua integralità la prova che si ritiene essere stata travisata e non può offrire frammenti delle risultanze istruttorie, estrapolare brani delle deposizioni dei testi o della relazione del consulente, giacché così facendo viene impedito a questa Corte di legittimità di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto.
Ciò non è accaduto nella vicenda che qui ci occupa e, pertanto, il motivo di ricorso anche sotto questo profilo non può che considerarsi inammissibile.
Né può ritenersi che la motivazione posta a fondamento della decisione impugnata – da leggersi unitariamente a quella di cui al primo grado a cui si salda per formare un unicum inscindibile avendo entrambi i giudici adottato nell’esame della questione criteri omogenei e simili regole di giudizio – sia mancante o, comunque, insufficiente e illogica. Evidenziano infatti concordemente entrambi i giudici di merito: che il COGNOME, al momento della conclusione del contratto di mutuo era perfettamente consapevole dello stato di dissesto in cui versava la società da lui amministrata (circostanza ammessa anche dal ricorrente); che la società veniva di fatto depauperata in quanto non acquisiva la somma mutuata, ma restava obbligata al pagamento dei ratei, ancor più gravoso in considerazione della condizione di dissesto; che la somma mutuata non veniva destinata per ripianare le pregresse esposizioni debitorie della fallita, ma quella di altra società a questa fusa per incorporazione.
Orbene, poiché l’interesse tutelato dall’art. 216 comma, 1, n. 1 L.F. è quello dei creditori alla conservazione della garanzia dei loro crediti – che coincide con il patrimonio dell’impresa – ed avendo la bancarotta fraudolenta patrimoniale la natura di reato di pericolo (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 e Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683) dovendo le condotte distrattive essere idonee, alla stregua di un giudizio che va collocato ex ante, a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori (così, in motivazione, Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy), dovendo esse concretizzare «una sottrazione, un permanente segno “meno” nel patrimonio» della società (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011, Barbato, in motivazione), integra un atto distrattivo qualunque condotta dell’amministratore che determini un depauperamento del patrimonio dell’impresa o che sia anche solo potenzialmente idonea a porre in pericolo, seppur concreto, le ragioni dei creditori. Nel caso di specie, sussiste un elemento dirimente ed assorbente che fa deporre per l’ evidente natura distrattiva dell’operazione che è da rinvenirsi nell’assunzione di un debito, ancorché a pagamento rateale, molto consistente, a fronte della quale non è ravvisabile alcun beneficio concreto e reale (ma solo auspicato, così come prospettato dal ricorrente medesimo) che ha comportato per la società fallita sia l’esposizione alle richieste restitutorie provenienti dall’istituto di credito mutuante, sia il conseguente ed evidente danno per gli altri creditori, costretti a dover concorrere, vantando analoghe pretese, con l’ente mutuante.
2.2. Con il secondo motivo, svolto con riferimento alla ritenuta bancarotta fraudolenta documentale, si lamenta innanzitutto l’apoditticità della motivazione,
ma nello svolgere il motivo di ricorso si deduce nella sostanza un travisamento probatorio.
Anche tale censura è inammissibile.
All’imputato, amministratore unico della fallita dal 14 ottobre 2009 al 3 dicembre 2010 e dal 31 marzo 2011 al fallimento, è stato contestato sia di aver tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la corretta ricostruzione del patrimonio e dei movimenti riconducibili alla società, sia di non aver provveduto, nonostante le reiterate richieste del curatore, a consegnare i libri e la documentazione indicati nel capo di imputazione. Nessuna apoditticità, con riferimento ai profili evidenziati dal ricorrente, è rilevabile nella motivazione impugnata che, al contrario, ove letta unitamente alla conforme sentenza di primo grado (che alla pag. 22, a supporto del ragionamento seguito, richiama la relazione del curatore e la successiva integrazione), fa concreti riferimenti alla realtà processuale e alle emergenze istruttorie da cui è emersa, a fronte dell’alternativa imputazione di fraudolenta tenuta e di omessa consegna dei libri e delle scritture contabili, la sussistenza dell’elemento materiale e psicologico delle contestate fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale.
Quanto al dedotto travisamento probatorio vale quanto già osservato con riferimento al primo motivo dovendosi rilevare che anche in questo caso, a fronte della motivazione della Corte d’appello che, con riferimento all’asserita estraneità dalla gestione, afferma che nulla è emerso nel dibattimento, si limita a offrire frammenti della deposizione del teste COGNOME estrapolandone una parte peraltro ritenuta dalla Corte d’appello ininfluente ai fini della sussistenza di responsabilità dell’imputato. Osserva infatti la Corte, con motivazione concisa, ma sufficiente e quindi incensurabile in questa sede, che il fatto che l’imputato, amministratore unico della società, si sia occupato di relazioni pubbliche, non esclude la responsabilità gestionale dello stesso in considerazione del ruolo rivestito a nulla rilevando, quindi, che la gestione della contabilità, fosse stata affidata a un collaboratore, tale NOME COGNOME Questa affermazione è perfettamente in linea con quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione e, cioè, che, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da questi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente, i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio opera nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per
dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale). In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta da rigorosa prova contraria (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013 – dep. 2014, COGNOME, Rv. 258947; Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231707; Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 – dep. 1999, COGNOME, Rv. 212147; Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993 dep. 1994, Decenvirale, Rv. 197268), che, secondo quanto risulta dalle due conformi sentenze di merito, non risulta essere stata fornita.
3. Ricorso di NOME COGNOME,
Anche il ricorso del predetto imputato è inammissibile.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia il vizio di legge attesa la ritenuta errata applicazione dell’ad 223, comma 1, I. fall. in relazione all’art. 216, comma 1, della medesima legge per non avere le conformi sentenze di merito ritenuto la condotta contestata alla stregua di una legittima operazione infragruppo.
Orbene, deve innanzitutto precisarsi che, come risulta dalle sentenze di merito, il COGNOME, amministratore unico della fallita all’epoca della contestata distrazione, ebbe a distrarre dalle casse della società la rilevante somma di € 673.000,00 per destinarla, in aperto conflitto di interesse, alla RAGIONE_SOCIALE società a lui riconducibile, senza, che a fronte di tale versamento, identificato come “finanziamento” e posto «al di fuori di qualsiasi causa riconducibile all’oggetto sociale», risultasse alcuna remunerazione per la fallita (così alle pagg. 27 e 28 della sentenza di I grado).
Tanto basta per ritenere immune da censure la decisione impugnata che in modo lineare e completo, valutate le incontestate risultanze istruttorie, ha valorizzato quanto affermato reiteratamente da questa Corte regolatrice e, cioè, che «integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo, ancorché effettuata a favore di società del medesimo gruppo, qualora gli ipotizzati benefici indiretti della fallita non risultino effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo e non siano idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta» (per tutte, Sez. 5, n. 48518 del 06/10/2011, Plebani, Rv. 251536-01). Nel caso di specie, non solo non risulta alcun collegamento tra le due società, se non quello personale del COGNOME, amministratore di entrambe all’epoca del trasferimento di danaro, atteso che la progettata fusione per incorporazione non si è mai attuata, ma i presunti
vantaggi compensativi, prevedibilmente conseguibili secondo la prospettazione dell’imputato e idonei ad escludere la natura distrattiva dell’operazione, non presentano i necessari requisiti di certezza, congruità e proporzionalità essendo stati questi solo ipotizzati. Come da tempo reiteratamente affermato da questa Corte «è evidente che non è sufficiente, al fine di escludere la riconducibilità di un’operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo ai fatti di distrazione o dissipazione incriminabili, la mera ipotesi della sussistenza di vantaggi compensativi, ma occorre che gli ipotizzati benefici indiretti della fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta, in guisa tale da non renderla capace d’incidere sulle ragioni dei creditori della società fallita» (Sez. 5, n. 41293 del 25/09/2008, Mosca, Rv. 241599 – 01). Nel caso concreto, come si osserva con chiarezza nelle conformi sentenze di merito, COGNOME «ideò e attuò la spoliazione delle risorse della fallita che, al di fuori di qualsiasi causa riconducibile all’oggetto sociale, si sostanziò nel mero drenaggio della complessiva somma di euro 673.000 realizzato dal prevenuto in favore della propria società . Tanto rende palese la sussistenza del dolo che investì la commissione della condotta delittuosa posta in essere da COGNOME NOME che, con coscienza e volontà, estromise dalle casse della fallita destinandola, per il soddisfacimento di un proprio interesse personale, alla RAGIONE_SOCIALE che, ricevutane la dazione, fu quindi posta in liquidazione pervenendo infine, 1’11 luglio 2013, al fallimento».
3.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso che si pone in stridente contraddizione con quanto sostenuto nel primo motivo posto che la riparazione presuppone la distrazione che, nella specie, invece, viene contestata.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la bancarotta “riparata”, infatti, si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri, prima della dichiarazione di fallimento, il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261347).
Devesi in ogni caso rilevare che quando si invochi l’avvenuta riparazione della distrazione, l’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, ha l’onere di provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, COGNOME, Rv. 271922).
Orbene, nel caso di specie, nessuna censura può muoversi alle precedenti decisioni attesa la motivazione particolarmente puntuale della sentenza di primo
grado (pagg. 28 e 29), a cui si fa eco la più concisa e comunque esaustiva motivazione della Corte d’appello che evidenzia sia la mancanza di prova che
l’asserito contratto di affitto, i cui canoni avrebbero dovuto essere riscossi dalla fallita così ripianando l’avvenuta distrazione, sia stato realmente eseguito e che,
quindi, il relativo credito sia maturato, sia che tale credito sarebbe stato comunque ampiamente inferiore all’accertata distrazione.
3.3. In ultimo il ricorrente chiede la rideterminazione della pena comminata per il riconoscimento, negato nei precedenti giudizi, della circostanza
attenuante del danno di speciale tenuità. Tale richiesta è del tutto inammissibile non muovendo il ricorrente alcuna censura alla sentenza qui impugnata e
chiedendo di fatto alla Corte di intervenire su una questione di puro merito espressione del potere discrezionale dei precedenti giudici e sorretta, nel caso di
specie, da adeguata motivazione.
4. All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 21 marzo 2025
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COGNOME
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