Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4830 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4830  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SPEZZANO ALBANESE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso per l’inammissibilità
udito il difensore:
AVV_NOTAIO insiste nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato NOME COGNOME alla pena di giustizia per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale nell’ambito del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 17 giugno 2015, società della quale l’imputato è stato amministratore unico dal 25 luglio 2006 alla data del fallimento.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità.
La Corte di appello sarebbe incorsa in motivazione illogica: diversamente dal Tribunale, non avrebbe ritenuto il COGNOME un mero prestanome, ma lo avrebbe qualificato come effettivo gestore, valorizzando l’approvazione da parte sua di due bilanci e il lungo periodo durante il quale ha rivestito l’incarico formale. La Cort non avrebbe però considerato che la società è rimasta attiva solo per circa due anni, periodo cui si riferiscono i crediti ammessi al passivo ed al termine del quale il COGNOME ha acquisito la totalità delle quote, ormai prive di valore. Da quel momento in poi la società sarebbe rimasta inattiva, sicché sarebbe incongruo riferire alcun significato al lungo periodo successivo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento alla norma incriminatrice contestata ed applicata.
La Corte territoriale ha attribuito rilievo alla presunzione secondo la quale l’incarico amministrativo rivestito dal COGNOME sarebbe stato retribuito, ma ciò in assenza di alcuna prova sul punto; né vi sono altri elementi dai quali desumere la consapevolezza dell’esistenza di disegni criminosi realizzati dall’amministratore di fatto, la cui presenza è presupposta dall’accertamento del ruolo di prestanome.
In sostanza, la Corte di appello avrebbe affermato la responsabilità dell’imputato esorbitando dal principio di personalità della responsabilità penale, confondendo dolo e colpa nell’esame della fattispecie di bancarotta patrimoniale.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, segnatamente dell’art. 69 cod. pen., e vizio di motivazione, laddove la Corte territorial dichiarato inammissibile il motivo di appello con cui era stata chiesta la prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche, ha ricusato di prendere in esame gli elementi forniti a sostegno di quella che poteva essere una presa di posizione officiosa sul punto, in ragione della modestia del fatto distrattivo, limitat
a circa 35.000 euro, da non confondere con il ben più consistente ammontare del passivo.
Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale si è riportato alla requisitoria scritta, nella quale h chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il Difensore si è riportato al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, afferendo al medesimo punto della decisione impugnata.
Come è noto, non è consentito alla Corte di cassazione rivalutare le prove o procedere ad una nuova ricostruzione del fatto, dovendosi in questa sede valutare soltanto la «coerenza strutturale del provvedimento in sé e per sé considerato» (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Ciò premesso, la motivazione resa dalla Corte di appello è priva di illogicità manifeste, cioè risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Nemmeno, nella qualificazione giuridica della fattispecie come ricostruita dalla Corte territoriale nell’applicazione delle norme penali di riferimento, si ravvisano violazioni di legge.
Infatti, la Corte ha preso le mosse dalla considerazione, che il ricorrente non contesta, della firma da parte sua di due successivi bilanci, relativi proprio alle annualità nelle quali sono stati commessi i fatti distrattivi; ed ha motivato in ordine all’esistenza delle scritture contabili ed alla loro consegna al COGNOME, come pure in ordine al successivo occultamento (pag. 6 della sentenza).
Del tutto irrilevanti si appalesano, rispetto alla motivazione non illogica resa dalla Corte territoriale, ulteriori considerazioni svolte dal ricorrente circa mancata prova della retribuzione dell’amministratore o circa la lunghezza di un periodo di sostanziale inattività: questioni versate in fatto, estranee all’orizzont del presente giudizio, e delle quali lo stesso ricorrente omette di argomentare la decisività.
Non sussistono violazioni di legge ed anzi la Corte territoriale ha fatto buon governo di principi consolidati: dagli approdi in ordine agli oner dell’amministratore con riferimento alla dimostrazione della lecita destinazione dei beni che si assumono distratti od occultati (per tutte v. Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, Ciraolo, Rv. 282652 e Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710), al mancato esonero da responsabilità di colui
che si assuma mero prestanome, laddove sussista anche «la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale)» (Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Fasola, Rv. 262767).
Non coglie dunque nel segno il ricorso, laddove deduce che la responsabilità a titolo di bancarotta per distrazione sia stata affermata secondo un modello di responsabilità oggettiva o quantomeno confondendo dolo e colpa.
Si aggiunga che la sentenza di primo grado, che si integra con quella conforme di appello (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617), ha espressamente motivato in ordine alla sussistenza del dolo generico di distrazione, ravvisabile nella volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità di impresa, così compiendo atti idonei a cagionare danni ai creditori, senza che sia necessaria né la consapevolezza dello stato di insolvenza né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori (pag. 7 della sentenza di primo grado).
2. Manifestamente infondato è l’ultimo motivo.
Il Tribunale ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, dando rilievo alla sua condizione di «emarginazione sociale».
L’atto di appello si è concluso con la mera richiesta di un giudizio di bilanciamento più favorevole: richiesta non sostenuta, però, da alcuna argomentazione, sicché la Corte di appello non ha potuto che dichiarare inammissibile il “motivo” corrispondente.
Oggi il ricorrente lamenta la mancata attivazione dei poteri officiosi della Corte di appello sul punto (cfr. art. 597, comma 5, cod. proc. pen.).
Ebbene, è vero che «la richiesta di riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti … non preclude al giudice d’appello la possibilità di effettuare d’ufficio il giudizio di comparazione a norma dell’art. 69 cod. pen.» (Sez. 3, n. 18896 del 10/03/2011, Riccio, Rv. 250289), ma «il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado» (Sez. 5, n, 37569 del 08/07/2015, Tota, Rv. 264552; cfr. anche Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869): richiesta specifica che, come si è visto, non vi è stata, tanto che la Corte di appello ha dovuto prendere atto della genericità e dunque dell’inammissibilità del motivo.
Nondimeno, la Corte di appello ha preso in esame la questione, pure non ammissibilmente dedotta, ed ha affermato di non poter procedere ad un più
favorevole giudizio di bilanciamento in ragione dei «non trascurabili precedenti penali del COGNOME» (pag. 7). La motivazione sarebbe sufficiente ed impedirebbe l’accoglimento del motivo di ricorso pure se il corrispondente motivo di appello non fosse stato dichiarato inammissibile: infatti, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha avuto modo di affermare che le statuizioni sul punto, «implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 12/01/2024