Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3871 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3871 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a RAGUSA il 04/06/1958
avverso la sentenza del 04/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Ragusa con la quale l’imputato era stato assolto dai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale
perché il fatto non costituisce reato, ha dichiarato COGNOME NOME colpevole dei reati suddetti, condannandolo alla pena di anni di tre di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva. Con pene accessorie di legge per la medesima durata. Con la medesima sentenza veniva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di COGNOME imputato dei reati di favoreggiamento reale e personali connessi alle bancarotte contestate a COGNOME Giovanni.
COGNOME NOME era stato assolto dal Tribunale di Ragusa in relazione all’accusa di avere, quale titolare e amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE” dichiarata fallita il 13/10/2009, distratto beni mobili strumentali per un valore complessivo di euro 7.893,59, oltre che merce (ricambi e lubrificanti) del valore di euro 145.000,00, nonché tenuto le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio. Il Tribunale era pervenuto ad una pronuncia assolutoria valorizzando le dichiarazioni rese dall’imputato, il quale aveva riferito di avere tentato di vendere le giacenze di magazzino per l’importo di euro 145.000,00, per dare impulso alla propria attività d’impresa, rivolgendosi a COGNOME con il quale aveva intrattenuto rapporti commerciali, riconducendo tale condotta ad un atteggiamento complessivamente negligente e non già doloso.
La Corte di appello, dopo una rinnovata istruttoria dibattimentale consistita nell’esame del curatore fallimentare e dell’imputato oltre che in acquisizioni documentali, ha riformato la sentenza assolutoria pervenendo ad un giudizio di condanna, censurando il percorso motivazionale seguito dai primi Giudici e ritenendo non certo che la merce, non rinvenuta, fosse stata effettivamente venduta a COGNOME o che l’imputato fosse stato vittima di una truffa da parte di quest’ultimo; ha anche considerato, relativamente alla “dichiarata” cessione delle giacenze di magazzino, che per essa risultava una mera lettera di intenti, oltre l’anomalia del fatto che fosse stato concordato un prezzo pari “al costo” del materiale, evidenziando, inoltre, che COGNOME NOME, presunto cessionario, era titolare di una società non più operativa, peraltro in un settore comunque diverso da quello della società fallita. Quanto alla contestata bancarotta documentale, ha rilevato che: per l’anno 2008 sono state rinvenute soltanto fatture di acquisto e di vendita e non i registri contabili mentre, per l’anno 2009, due sole fatture di vendita di beni per l’importo di euro 145.000,00; soltanto la diligenza del curatore ha consentito di ricostruire il passivo fallimentare per oltre 100.000,00 euro.
2. L’imputato, per il tramite del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione deducendo la mancanza di una motivazione rafforzata, necessaria in caso di ribaltamento di pronuncia assolutoria, al fine di evidenziare la diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, già ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 216, comma 1, n. 2) legge fall. e vizio di motivazione.
Deduce, in particolare, vizio di travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare ed al contenuto della stessa relazione fallimentare: la non corretta tenuta dei libri contabili sarebbe riferibile soltanto all’ultimo periodo di vita della società, quando la stessa era già in decozione, oltre che la mancanza di pregiudizio per i creditori, stante l’avvenuta redazione di regolare stato passivo.
2.3. Con il terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 216, comma 1, n. 2) Legge fall. e vizio di motivazione. Deduce, in particolare, vizio di travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dal m.11o COGNOME e dal consulente contabile, dott. COGNOME NOMECOGNOME in relazione alle fatture di vendita delle giacenze di magazzino, e relativa lettera di intenti. Denuncia l’illogicità della motivazione nella parte in cui afferma che “la merce non fu mai venduta al COGNOME ma ceduta alla figlia del COGNOME“.
2.4. Con il quarto motivo denuncia vizio di omessa motivazione in punto di riconoscimento della recidiva reiterata specifica infraquinquennale.
2.5.Con il quinto motivo denuncia vizio di motivazione in punto di riconoscimento del giudizio di equivalenza, e non di prevalenza, delle attenuanti generiche rispetto alla contestata e ritenuta recidiva.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è solo parzialmente fondato, limitatamente alla doglianza espressa in punto di ritenuta recidiva reiterata infraquinquennale.
Il primo motivo è manifestamente infondato, oltre che ai limiti dell’inammissibilità in quanto generico.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679), dovendo escludersi la possibilità di limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262907).
Resta, invece, estranea all’obbligo di motivazione c.d. “rafforzata” la necessità di acquisire elementi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado. Il giudice di appello, infatti, dopo aver proceduto a rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., può senz’altro pronunciare sentenza di condanna in riforma di sentenza di assoluzione anche se il contenuto delle prove dichiarative riassunte sia sostanzialmente identico a quello desumibile dall’esame dei verbali del giudizio di primo grado, e ne muti soltanto la valutazione di attendibilità o di concludenza: ciò che è necessario è che egli confuti specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, evidenziandone le ragioni di incompletezza o incoerenza, non essendo invece prevista, ai fini della riforma di una sentenza di assoluzione in sentenza di condanna, la necessità di acquisizione di diverse risultanze istruttorie.
È stato sul punto osservato che la necessità di fondare un eventuale ribaltamento della pronunzia assolutoria, in appello, su un compendio probatorio diverso e arricchito rispetto a quello acquisito all’esito dell’istruttor dibattimentale di primo grado presupporrebbe, in modo inammissibile, la giuridica impossibilità di dare autonomo rilievo a vizi e lacune intrinseci all’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice di primo grado, e, quindi, persino a manifeste illogicità, contraddittorietà e omissioni della motivazione dallo stesso esibita, che pure ne consentirebbero l’annullamento in caso di ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 36333 del 20/06/2024, Rv. 286915 02).
Inoltre, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado, pervenendo ad una sentenza di condanna, non ha l’obbligo di fornire una motivazione rafforzata nel caso in cui il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo
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giudice, essendo la decisione di appello l’unica realmente argomentata (Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep.2023, Rv. 284472).
2.1. Nel caso in esame, la doglianza non individua in quali passaggi argomentativi la motivazione della sentenza impugnata sarebbe non persuasiva rispetto alla motivazione adottata dal Tribunale.
Peraltro, la difesa non si confronta con il reale spessore argomentativo della sentenza impugnata che ha sottolineato la fallacia del ragionamento speso dai primi Giudici nell’avere dato esclusivamente credito alle dichiarazioni dell’imputato, pur smentite dal diverso materiale probatorio acquisito, rappresentato dalle dichiarazioni del curatore, della polizia giudiziaria e del consulente contabile.
La Corte territoriale ha evidenziato, in particolare: con riferimento alla contestata distrazione delle giacenze di magazzino, per un valore pari ad euro 145.000, che non è provata la dichiarazione dell’imputato relativa ad una cessione dei medesimi beni all’originario coimputato (COGNOME) considerata la mancanza di prova documentale di tale cessione oltre che la mancanza di prova del pagamento del relativo importo; relativamente alla riferita distruzione di altri beni strumentali, dal valore pari ad euro 7.839,59, non rinvenuti dal curatore fallimentare al momento del fallimento, la mancanza di prova della dedotta obsolescenza dei medesimi beni, sottolineando, inoltre, pur senza trarne alcuna specifica conclusione, che beni del medesimo tipo sono stati rinvenuti, nel medesimo luogo in cui la società fallita aveva sede legale, a disposizione di altra società costituita dalla figlia dell’imputato avente identico oggetto sociale a quella fallita.
Lo spessore degli argomenti spesi dalla Corte territoriale per dare conto del ribaltamento della sentenza assolutoria in pronunzia di condanna, con il conforto di una rinnovazione delle medesime prove dichiarative, rende manifestamente infondata la censura difensiva che non riesce, per contro, ad evidenziare la manifesta illogicità o inadeguatezza del percorso logico motivazione seguito.
È manifestamente infondato il secondo motivo che deduce il travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata relativamente alle risultanze dichiarative acquisite in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Il travisamento delle prove dichiarative, tratte dall’esame del m.11o COGNOME e del consulente contabile, COGNOME NOME, riportate nell’impugnativa tramite l’allegazione di ‘stralci’ dei relativi verbali, quanto alla sussistenza di talune fatture, è denunciato, a sostegno della tesi difensiva sostenuta sulla insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale,
dal quale l’imputato era stato assolto in primo grado sul presupposto di una “condotta negligente e non colposa. La doglianza, tuttavia, non considera che siffatto vizio può essere fatto valere con il ricorso per cassazione soltanto a condizione che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 – dep. 20/02/2018, Rv. 272406; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 – dep. 27/02/2013, Rv. 255087).
In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, Sentenza n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370).
Nel caso in esame, invece, la censura afferisce a una questione squisitamente di fatto in ordine non già alla logica argomentativa e alla coerenza, quanto proprio alla attribuzione di valore di prova alle emergenze processuali del giudizio di merito, nel senso precluso a questa Corte (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849).
La Corte di appello, ha rilevato, con motivazione adeguata ed immune da vizi, la mancanza di regolari scritture contabili riferite agli ultimi due anni di vit sociale, essendo state rinvenute solo isolate fatture, evidenziando come il curatore fallimentare abbia potuto procedere alla ricostruzione dello stato passivo soltanto attraverso le singole istanze di ammissione al passivo fallimentare e la parziale documentazione in atti; ha ritenuto sussistente il dolo generico, conformandosi al consolidato insegnamento di questa Corte, e sottolineando che l’imputato, in quanto amministratore unico della società dal gennaio 2007 alla data del fallimento, aveva l’obbligo di tenere in maniera regolare le scritture contabili.
Il rilievo difensivo relativo all’elemento soggettivo del reato non considera che la Corte di merito ha dato conto della ravvisabilità del dolo generico, ossia della consapevolezza, in capo all’imputato, dell’impossibilità di ricostruire le vicende del patrimonio della fallita per le rilevate incongruenze e carenze nelle scritture e nei libri contabili.
È manifestamente infondato anche il terzo motivo, con cui si censura vizio di travisamento in relazione a prove poste dalla Corte di appello a fondamento del giudizio di responsabilità per il reato di bancarotta distrattiva.
Premesso quanto delineato al paragrafo che precede in ordine alla consistenza e rilevanza del vizio di travisamento di prova, da intendersi declinato dalla difesa in termini generici e in una prospettiva, non consentita in questa sede, di rivalutazione del medesimo compendio probatorio acquisito, deve rilevarsi che, nella specie, la Corte di appello ha congruamente motivato in ordine alla fittizietà della dedotta cessione delle giacenze di magazzino, in cui si sostanzia uno dei due profili della contestazione, riportandosi alla insussistenza di fatture di vendita o altro documento rappresentativo della cessione e alla mancanza di prova del pagamento del relativo e dichiarato importo, oltre che evidenziando ragioni logiche (legate al prezzo di cessione convenuto, pari al prezzo di acquisto delle stesse, e alle caratteristiche dell’acquirente in realtà privo di interesse all’acquisto) tali da corroborare il giudizio di fittizie dell’operazione, volta a realizzare uno svuotamento dei beni di magazzino, in prossimità del fallimento.
La motivazione della Corte territoriale, sotto tale profilo, è dotata di maggiore persuasività logica rispetto a quella resa dal Tribunale.
Peraltro, i rilievi difensivi non riescono ad evidenziare alcun profilo di illogicità della motivazione in ordine all’ulteriore condotta contestata, ovvero relativamente alla dichiarata distrazione di altri beni strumentali del valore pari ad euro 7.839,59, considerata la mancanza di qualsivoglia elemento probatorio a supporto di tale dichiarazione a fronte del dato oggettivo costituito dal mancato rinvenimento dei medesimi beni da parte del curatore fallimentare al momento del fallimento.
È, invece, fondata la doglianza difensiva posta a fondamento del quarto motivo.
Invero, la recidiva contestata al ricorrente deve essere riqualificata in recidiva semplice: dall’esame del certificato del casellario giudiziale risulta che, alla data di commissione del reato contestato nel presente procedimento, l’imputato aveva un solo precedente penale, per delitto di calunnia accertato definitivamente in data 16/09/2004.
Non può, invece considerarsi ai fini della qualificazione della recidiva il diverso precedente per reato associativo (indicato al n.4 del certificato), in quanto accertato definitivamente in epoca successiva, con sentenza del 23/11/2010.
Da tale diversa qualificazione giuridica della recidiva, discende che il termine di prescrizione deve ritenersi già decorso, anche considerate le sospensioni intervenute nel corso dei giudizi di merito per complessivi mesi sei.
In conclusione, in accoglimento della superiore censura, previa esclusione della recidiva reiterata ed infraquinquennale, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere i reati ascritti estinti per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Esclusa la recidiva reiterata e infraquinquennale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso il 07/11/2024.