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Bancarotta fraudolenta: la prova della distrazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione a carico di due amministratori. La Corte ha ribadito che, in caso di prelievi ingiustificati, spetta all’amministratore l’onere di provare la loro destinazione a scopi sociali. Ha inoltre confermato la responsabilità dell’amministratore di fatto, la cui condotta gestoria è stata continua e significativa, e ha rigettato le censure procedurali relative all’acquisizione di prove nel giudizio abbreviato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: L’Onere della Prova sulla Destinazione dei Beni

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, torna a pronunciarsi su temi cruciali in materia di bancarotta fraudolenta, chiarendo principi fondamentali riguardanti l’onere della prova in capo all’amministratore, la figura dell’amministratore di fatto e i poteri istruttori del giudice nel contesto del giudizio abbreviato. La decisione conferma la condanna per due amministratori, accusati di aver sottratto risorse e tenuto la contabilità in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio di una società poi fallita.

I Fatti del Caso: Accuse di Distrazione e Falsità Contabile

Il caso riguarda il fallimento di una società a responsabilità limitata, dichiarato nell’aprile del 2018. Due figure chiave sono state coinvolte: il primo, socio unico e amministratore dalla costituzione fino al 2014; il secondo, subentrato come amministratore e poi nominato liquidatore. Entrambi sono stati condannati in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale.

Le accuse si basavano su prelievi ingiustificati di somme di denaro dai conti sociali e sulla tenuta delle scritture contabili in maniera tale da rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società, con conseguente danno per i creditori.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Vizio procedurale: Lamentavano l’illegittimità di una perizia disposta nel giudizio abbreviato, che avrebbe acquisito nuovi documenti senza autorizzazione e in violazione del contraddittorio.
2. Carenza di motivazione: Contestavano la valutazione delle prove, sostenendo che i prelievi di denaro fossero destinati a spese aziendali e che mancasse l’elemento soggettivo (il dolo) per entrambi i reati.
3. Errata attribuzione di responsabilità: L’amministratore iniziale sosteneva di aver ricoperto la carica solo per un anno, molto tempo prima del fallimento, e che non vi fosse prova del suo concorso nel dissesto.
4. Errata valutazione delle attenuanti: Si contestava il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti.

L’Analisi della Corte: Bancarotta Fraudolenta e Responsabilità

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto sollevato. La sentenza si articola attorno a tre snodi fondamentali: la legittimità dell’istruttoria nel rito abbreviato, l’onere della prova nella bancarotta per distrazione e la figura dell’amministratore di fatto.

L’Integrazione Probatoria nel Giudizio Abbreviato

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: nel giudizio abbreviato, il giudice ha il potere di disporre un’integrazione probatoria (art. 441, co. 5, c.p.p.) se la ritiene necessaria ai fini della decisione. Questo potere non è limitato e può riguardare anche la ricostruzione storica dei fatti. La scelta dell’imputato di accedere al rito non crea un’aspettativa ad essere giudicato solo sugli atti esistenti. Il diritto di difesa è garantito dalla possibilità di richiedere una controprova, facoltà di cui gli imputati nel caso di specie non si erano avvalsi.

La Prova della Bancarotta Fraudolenta per Distrazione

Sul tema centrale della bancarotta fraudolenta per distrazione, la Corte ha sottolineato che l’onere di dimostrare la destinazione dei beni sociali prelevati grava sull’amministratore. Poiché l’amministratore è il responsabile della gestione, è l’unico a poter chiarire la sorte del patrimonio sociale. Una generica affermazione che i fondi sono stati usati per ‘costi gestionali’, senza prove documentali precise, non è sufficiente. Nel caso specifico, le affermazioni difensive erano smentite da circostanze concrete, come il pagamento dei dipendenti tramite assegni (e non in contanti) e l’incongruità dei compensi degli amministratori rispetto al volume d’affari.

La Responsabilità dell’Amministratore di Fatto

Infine, la Corte ha confermato la responsabilità del primo amministratore, qualificandolo come ‘amministratore di fatto’ anche dopo la cessazione formale della carica. Per integrare tale figura non è necessario esercitare tutti i poteri gestori, ma è sufficiente un’attività significativa e continua, anche in specifici settori, che dimostri un inserimento organico nella vita societaria. Nel caso in esame, il fatto che l’imputato fosse il socio unico e le dichiarazioni del coimputato hanno costituito prova sufficiente della sua continua ingerenza nella gestione.

le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato il rigetto dei ricorsi basandosi su orientamenti giurisprudenziali consolidati. Per quanto riguarda la bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo richiesto è quello generico: è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella dovuta, senza che sia necessario uno specifico fine di danneggiare i creditori. La consapevolezza emergeva dall’entità sproporzionata dei prelievi rispetto al fatturato. Per la bancarotta documentale, la Corte ha chiarito che il reato contestato (tenuta delle scritture in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio) richiede anch’esso il solo dolo generico, ossia la coscienza e volontà di una tenuta irregolare della contabilità, a differenza dell’occultamento o distruzione dei libri contabili che richiede il dolo specifico.

In merito alla responsabilità dell’amministratore di fatto, la Corte ha ritenuto logica e coerente la valutazione dei giudici di merito, che hanno desunto la continuità dell’attività gestoria da elementi oggettivi (la qualifica di socio unico) e dichiarativi (le ammissioni del coimputato). Infine, il giudizio sul bilanciamento tra attenuanti e aggravanti è stato ritenuto insindacabile in sede di legittimità, in quanto esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, adeguatamente motivato.

le conclusioni

La sentenza offre importanti implicazioni pratiche per gli amministratori di società. Innanzitutto, riafferma la loro stringente responsabilità nella gestione del patrimonio sociale: in caso di fallimento, non sarà sufficiente addurre genericamente che i prelievi sono serviti a coprire spese aziendali. Sarà necessario fornire prove documentali puntuali e rigorose. In secondo luogo, la decisione mette in guardia sulla figura dell’amministratore di fatto: cessare formalmente da una carica non esonera da responsabilità se si continua a esercitare un’influenza gestoria significativa. Infine, la pronuncia conferma la robustezza dei poteri istruttori del giudice nel rito abbreviato, un aspetto che le difese devono considerare attentamente nella scelta della strategia processuale.

Nel giudizio abbreviato, il giudice può disporre una perizia che acquisisce nuovi documenti?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il giudice, ai sensi dell’art. 441, comma 5, c.p.p., può disporre un’integrazione probatoria, inclusa una perizia che acquisisca nuovi atti, qualora la ritenga assolutamente necessaria per la decisione. Il diritto di difesa è salvaguardato dalla possibilità per l’imputato di chiedere l’ammissione di una prova contraria.

In caso di bancarotta fraudolenta per distrazione, a chi spetta dimostrare dove sono finiti i soldi prelevati dalla società?
L’onere della prova grava sull’amministratore. Secondo la giurisprudenza costante, una volta provata l’esistenza di beni nel patrimonio sociale e la loro successiva mancanza, spetta all’amministratore, in quanto gestore, dimostrare quale sia stata la loro effettiva destinazione e che essa sia coerente con gli scopi sociali.

Si può essere considerati responsabili di bancarotta anche se non si ricopre più formalmente la carica di amministratore al momento del fallimento?
Sì. È possibile essere ritenuti responsabili come ‘amministratore di fatto’. La responsabilità penale sorge quando un soggetto, pur senza una carica formale, esercita in modo continuativo e significativo poteri di gestione e direzione, dimostrando un inserimento organico nell’assetto societario, e pone in essere le condotte che integrano il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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