Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27747 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27747 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME NOMECOGNOME nata a Sesto Fiorentino il 17/10/1952, avverso la sentenza del 13/02/2024 della Corte di appello di Firenze. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 ottobre 2019 la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza assolutoria emessa il 17 ottobre 2018 dal Tribunale di Firenze, dichiarava NOME COGNOMEper quanto in questa sede ancora rileva) responsabile dei reati di cui agli artt. 216, comma 1, numeri 1) e 3), e 219, comma 2, legge fall., perché, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 13 marzo 2013:
Al) distraeva la giacenza di cassa, pari ad C 1.497,60, non consegnata alla curatela;
A2) distraeva tre macchine utensili oggetto di un contratto di leasing stipulato in data 20 febbraio 2006, non rinvenuti dal curatore all’atto dell’inventario;
A3) distraeva un macchinario oggetto di altro contratto di leasing stipulato in data 20 febbraio 2006, non rinvenuto dal curatore all’atto dell’inventario;
A5) teneva le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, non consegnando al curatore fallimentare il libro giornale, il libro inventari, il libro ammortizzabili, le fatture del 2012, le dichiarazioni fiscali 2010 e 2011, e le schede di mastro dei bilanci e della situazione economica patrimoniale aggiornata alla data dell’istanza di fallimento.
Investita del ricorso dell’imputata, questa Corte (Sez. 5, n. 9574 del 01/02/2021, Consigli, n.m.) annullava con rinvio la sentenza di appello, rilevando che «l’esplicita ratio decidendi della sentenza assolutoria di primo grado va individuato nel giudizio di attendibilità di quanto dichiarato dall’imputata e dai suoi congiunti»; che «a fondamento del ribaltamento della pronuncia assolutoria, la Corte di appello di Firenze, con riferimento ai capi A2) e A3), ha valorizzato vari elementi (in particolare, documentali) a sostegno del giudizio di non veridicità della versione prospettata dall’imputata. Anche con riferimento alla bancarotta documentale sub A5), la versione prospettata dall’imputata e dai suoi congiunti e recepita dal giudice di primo grado, è confutata dalla sentenza di appello sula base di vari documenti»; che, «dunque, il ribaltamento del giudizio assolutorio di primo grado è avvenuto in violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. senza procedere alla riassunzione delle dichiarazioni valorizzate in termini di decisività della sentenza di primo grado; con riferimento ad essi, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze»; che «con riferimento al capo Al) deve essere accolto il terzo motivo, posto che la sentenza impugnata, in buona sostanza, si limita al rilievo dell’inapplicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., prescindendo dallo scrutinio imposto dalla natura della bancarotta distrattiva, che è reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (ex plurimis, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437). La sentenza impugnata, pertanto, si è sottratta al necessario accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo (oltre che del dolo generico), accertamento che, come questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare, deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori (nonché all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa) (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763)».
Pronunciandosi in sede di rinvio, la Corte di appello di Firenze, con la sentenza oggi impugnata, ribadiva, all’esito del riascolto del curatore del fallimento NOME COGNOME (l’altro testimone già escusso in prime cure, il marito dell’odierna ricorrente NOME COGNOME si avvaleva della facoltà di non rispondere), il giudizio di responsabilità della Consigli.
Riassunte le vicende societarie che avevano portato al fallimento (la RAGIONE_SOCIALE veniva messa in liquidazione il 25 febbraio 2011; veniva poi ceduta in affitto 1’8 marzo 2011 alla RAGIONE_SOCIALE, società appositamente costituita, avente la medesima sede, ed amministrata da NOME COGNOME che, tuttavia, nel 2012 restituiva l’azienda alla Consigli, sporgendo querela nei suoi confronti per truffa ed appropriazione indebita, rappresentando che al momento della stipula del contratto gli era stata prospettata una situazione societaria del tutto diversa da quella reale, e che la COGNOME aveva indotto alcuni clienti ad effettuare i pagamenti della merce non sul conto della Nuova Barbara, ma su quelli della Vecchia Barbara; la fallita veniva, poi, nuovamente ceduta in affitto alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, avente come sede la stessa della fallita), i giudici distrettuali rilevavano che al momento del fallimento non vennero rinvenuti né i denari che risultavano giacere in cassa (che la stessa COGNOME aveva sostanzialmente ammesso di avere trattenuto per sé), né i macchinari indicati nel capo d’imputazione, né le scritture contabili; evidenziava le «molteplici incongruenze» della versione difensiva resa dall’imputata, valorizzando, ad esempio, la circostanza che la COGNOME non avesse esercitato azioni legali verso la Nuova Barbara, che, a suo dire, non aveva restituito le scritture contabili ed i macchinari necessari per lo svolgimento dell’attività di produzione; riteneva le condotte, ed in particolare anche la distrazione dell’esiguo importo di denaro, concretamente offensive del bene giuridico tutelato, in quanto «caratterizzate da plurimi indici di fraudolenza» ed «idonee ad incidere negativamente sulla garanzia patrimoniale dei creditori» (pag. 6), non potendo sminuirne la valenza offensiva «neppure la potenziale capacità positiva dell’attivo fallimentare» (pag. 7); escludeva che i fatti potessero essere riqualificati in termini di bancarotta semplice, avendo la Consigli «agito dolosamente perseguendo un interesse proprio, e, quindi, con la Corte di Cassazione – copia non ufficiale
coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale ed in contrasto con l’interesse dei creditori alla conservazione delle garanzie patrimoniali» (pag. 7), non essendo stato consegnato al curatore alcun documento contabile, «tanto che la ricostruzione dei rapporti patrimoniali della fallita fu possibile solo in un secondo momento, a seguito del recupero delle scritture contabili da parte dell’autorità di polizia» (pag. 8); quanto al trattamento sanzionatorio, ritenuta sussistente l’ipotesi aggravata dell’aver commesso più fatti di bancarotta, la corte fiorentina irrogava una pena base pari al minimo edittale (anni 3 di reclusione), aumentata di un mese in conseguenza dell’appena indicata circostanza.
Il difensore di fiducia della Consigli, Avv. NOME COGNOME del foro di Prato, ha presentato tempestivo ricorso per cassazione avverso l’indicata sentenza, articolando cinque motivi.
Con il primo deduce mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento alla riconosciuta rilevanza penale della condotta contestata al capo Al, che i giudici di prime cure avevano correttamente ritenuto di minima offensività, anche alla luce del fatto che tutti i debiti ammessi al passivo sarebbero stati pagati grazie alla vendita del capannone di proprietà della fallita: si tratta, invero, di condotta del tutto inidonea ad arrecare una concreta lesione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice; sul punto è illogica, ad avviso del ricorrente, la motivazione che la sentenza impugnata incentra sul parametro della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Con il secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento alla riconosciuta sussistenza dei delitti di cui ai capi A2 e A3: deduce, in particolare, che la motivazione della sentenza impugnata «non offre elementi alcuni per incrinare la credibilità di quanto dichiarato dalla Consigli e dei testimoni a difesa escussi durante il primo grado di giudizio» e «si avvale di considerazioni insufficienti a superare il vaglio del dubbio ragionevole», e che l’affitto del ramo di azienda non era stato effettuato, come ritenuto dai giudici di appello, per «rendere plausibile la successiva indisponibilità delle scritture contabili e dei macchinari condotti in leasing», essendosi trattato di operazione ideata e seguita dal commercialista della ricorrente come unico modo per salvare l’azienda al cui interno la ricorrente e i suoi familiari avevano versato tutti i loro beni.
Con il terzo motivo deduce mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento alla riconosciuta sussistenza del delitto di cui al capo A5: deduce, in particolare, che i giudici di appello non hanno tenuto conto di
quanto dichiarato dalla Consigli (ad avviso della quale le scritture, consegnate alla Nuova Barbara, non le furono mai restituite), e che «il fatto che la contabilità sia stata rinvenuta nella ditta della imputata non incrina la credibilità della stessa, ma anzi la rinforza», poiché la Nuova Barbara aveva operato nei medesimi locali già in uso alla Vecchia Barbara, locali poi ritornati nella disponibilità della Consigli, sicché «è ragionevole che l’imputata non fosse a conoscenza dell’ubicazione delle scritture».
Con il quarto motivo deduce mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento alla mancata derubricazione del delitto di cui al capo A5 in quello di bancarotta semplice, non essendosi acquisita prova sufficiente del fatto che la Consigli abbia agito con il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice oggetto di contestazione: richiamata la giurisprudenza in argomento, evidenzia che «nel caso in esame la Corte di appello non svolge alcuna valutazione in ordine alla sussistenza di un atteggiamento psicologico immediatamente indirizzato a realizzare un pregiudizio per i creditori».
Con il quinto motivo deduce mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all’art. 219, ultimo comma, legge fall., che la Corte avrebbe invece dovuto riconoscere sulla base di molteplici elementi: l’impegno della Consigli nel rifinanziamento della società, valorizzato anche dal curatore COGNOME; i gravi inadempimenti di natura patrimoniale perpetrati dal Pontremolesi nei confronti della imputata; il fatto che l’imputata pagò con le proprie risorse tutti quei dipendenti che sarebbero dovuti essere pagati dal Pontremolesi; la crisi economica che ha inciso sull’andamento degli affari; la situazione di disabilità relativa alla figlia.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Rileva che la sentenza impugnata «ha sviluppato adeguatamente la necessaria verifica sulla pericolosità in concreto delle condotte distrattive prefallimentari contestate alla ricorrente. In relazione ai capi Al, A2 e A3 la Corte ha richiamato le dichiarazioni del curatore di conferma della distrazione della giacenza di cassa, mai consegnata, del mancato rinvenimento all’atto dell’inventario dei macchinari in leasing della società La vecchia Barbara e delle scritture contabili messe a disposizione soltanto in un secondo momento dalla Guardia di Finanza, precisando che la società a partire dall’anno 2010 aveva registrato una perdita pari al 60% del fatturato corrispondente a oltre 300.000 C con un’esposizione debitoria verso le banche e l’Erario di circa quattro milioni di euro, pagati solo in minima parte con l’attivo del fallimento, pari a 400.000 C. Si precisa, ancora, in motivazione che non ricorrono i presupposti per riportare il
fatto al paradigma di cui all’articolo 131 bis c.p.; si sottolinea in proposito la valenza depauperativa dell’attività della Consigli fino alla dichiarazione di fallimento».
Evidenzia che i giudici distrettuali hanno correttamente ritenuto che «tutte le condotte distrattive ascritte all’imputata siano caratterizzate da plurimi indici di fraudolenza oltre ad essere idonee ad incidere negativamente sulla garanzia patrimoniale dei creditori. Si richiamano a tal proposito in motivazione i due contratti di affitto di azienda, costituenti un escamotage per sottrarre l’azienda a La vecchia Barbara, precisando che l’importo del canone d’affitto, pari ad euro 10.000 mensili, si poteva spiegare o con il fatto che l’azienda fosse andata distrutta nelle mani de La nuova Barbara o che l’importo di detto affitto fosse stato creato artificiosamente trattandosi di operazioni poste in essere nel periodo in cui la società era in difficoltà. Si sottolinea ancora che l’imputata, coadiuvata dai suoi familiari, aveva continuato ad assicurarsi gli importi versati dai clienti per le forniture effettuate dalla società affittuaria, per poi far sparire l documentazione contabile. In questo contesto risultano poste in essere le condotte distrattive non potendo ravvisarsi comportamenti dell’imputata positivamente valutabili neanche successivamente ai fatti. La Corte confuta efficacemente in motivazione le argomentazioni della sentenza di primo grado circa la credibilità delle dichiarazioni dell’imputata e dei suoi familiari evidenziando come il primo giudice non abbia considerato le molteplici incongruenze caratterizzanti quanto dichiarato dalla Consigli e dai suoi familiari, ricordando come nessuna azione legale contro NOME NOME risulti intrapresa a fronte dell’asserita mancata restituzione delle scritture contabili e di parte della strumentazione necessaria per lo svolgimento dell’attività da parte de La nuova NOME. Si rappresenta in motivazione come l’affitto di azienda a NOME NOME risulti operazione all’evidenza finalizzata da un lato a rendere plausibile la successiva indisponibilità da parte de NOME NOME delle scritture contabili e dei materiali condotti in leasing, dall’altro ad imputare all’affittuario il mancato pagamento dell’accollo dei debiti». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sottolinea, infine, l’infondatezza delle doglianze relative alla invocata derubricazione dei fatti in termini di bancarotta semplice («non si tratta di operazioni imprudenti poste in essere pur sempre nell’interesse dell’impresa, ma di condotte distrattive integranti il delitto di bancarotta fraudolenta con connotazione dolosa della condotta, tesa di inseguire interessi personali nella consapevolezza di porre in essere atti incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale ed in contrasto con l’interesse dei creditori alla conservazione delle garanzie patrimoniali») ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche («La pluralità dei fatti distrattivi e l’assenza di
qualsiasi manifestazione di resipiscenza da parte dell’imputata che ha utilizzato per proprio tornaconto il ruolo rivestito nella società fallita costituiscono elementi idonei a giustificare con motivazione implicita, il diniego delle circostanze attenuanti generiche»).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Il primo motivo è infondato.
Nonostante il legislatore abbia strutturato il delitto di cui all’art. 216, comma primo, n. 1), prima parte, I. fall., secondo lo schema del reato di pericolo concreto, un’esegesi costituzionalmente orientata della norma incriminatrice impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un parametro spaziotemporale ragionevole (la cd. “zona penale di rischio”, ossia l’arco temporale prossimo allo stato di insolvenza), entro il quale l’apprezzamento dello stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo.
Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare, che è anche l’evento giuridico del reato, come ribadito in motivazione da Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665 – 01, va abbinato, dunque, alla idoneità dell’atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della “categoria” dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale, con un’analisi che deve riguardare in primo luogo l’elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l’elemento soggettivo, e che deve poggiare su criteri ex ante, in relazione alle caratteristiche complessive dell’atto stesso e della situazione finanziaria della società.
E’, pertanto, necessario ancorare la condotta penalmente rilevante non semplicemente al concetto di distrazione in sé considerato ed in qualunque tempo realizzato, bensì a qualità, natura ed oggetto del distacco, valorizzando per un verso il tempo in cui esso avviene (quando la situazione di crisi o insolvenza è lontana e la società è in bonis, l’imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni le destinazioni che ritiene utili alla conservazione del valore del patrimonio sociale nel suo complesso, senza che possa essere esasperato il principio secondo cui l’atto distrattivo rileva in qualsiasi tempo sia stato commesso), e per altro verso il suo effettivo e reale
valore economico, la sua concreta idoneità a porre in pericolo la garanzia che la massa dei creditori, al momento del fallimento, sarà in grado di escutere.
L’offesa provocata dal reato non può, allora, ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma deve essere rapportata alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori: integra il reato non già la sottrazione di ricchezza tout court, ma solo quella concretamente idonea a recare danno alle pretese dei creditori, e cioè a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei crediti verso l’impresa.
Si tratta di principi oramai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, ben riassunti nelle motivazioni di Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059 – 01, che ha statuito che «Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve valutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori».
Ciò posto, il ricorrente muove da un evidente errore prospettico: le condotte distrattive analiticamente contestate alla signora COGNOME al capo A) dell’editto d’accusa non possono essere parcellizzate, ma devono necessariamente essere riguardate in una visione d’insieme, proprio al fine di valutare quali caratteri abbia in concreto avuto il contestato attacco all’integrità del patrimonio della società in decozione, nella sua peculiare funzione di garanzia dei creditori.
Riguardate alla luce di queste coordinate ermeneutiche, le motivazioni spese sul punto dalla sentenza impugnata appaiono ineccepibili, avendo i giudici distrettuali correttamente valorizzato (cfr. pagine 6 e 7) la valenza offensiva tutt’altro che tenue delle condotte distrattive complessivamente ascritte all’imputata, avendo esse investito non solo la esigua somma di denaro giacente in cassa, ma anche quattro macchinari che la fallita conduceva in leasing.
3. Il secondo motivo è infondato.
I quattro macchinari la cui distrazione forma oggetto di contestazione facevano certamente parte del compendio aziendale, e non furono mai rinvenuti dal curatore; la tesi difensiva, secondo cui la distrazione dovrebbe essere imputata alla Nuova Barbara, che li utilizzò ma non li restituì, è stata vagliata e ritenuta destituita di fondamento dai giudici distrettuali, con motivazioni non adeguatamente contrastate dal ricorrente.
E’ stata, principalmente, valorizzata la circostanza secondo cui, quando il Pontremolesi restituì l’azienda alla Consigli (in proposito le sentenze di merito citano un verbale di rilascio di azienda del 5 gennaio 2012, nel quale si dà testualmente atto della restituzione «dell’azienda e di tutti i beni di cui all’inventario allegato al contratto di affitto di azienda»), la ricorrente non fece rilevare alcunché, né intraprese alcuna azione legale tesa al recupero dei macchinari asseritamente non restituiti, nonostante la forte conflittualità con il Pontremolesi (che aveva sporto querela nei confronti della Consigli per truffa e appropriazione indebita, e che, secondo quanto si apprende dalle sentenze di merito in atti, chiese il fallimento della Vecchia Barbara) e nonostante si trattasse di beni evidentemente indispensabili perché la società potesse proseguire la sua attività: elemento che, considerato unitamente agli altri che nitidamente si evincono dall’incarto processuale (l’odierna ricorrente aveva continuato a lavorare presso la società fallita anche sotto la gestione del Pontremolesi, sicché deve ragionevolmente escludersi che ella possa non essersi avveduta – e doluta – della asserita sparizione dei macchinari; dopo la burrascosa interruzione del rapporto con il Pontremolesi, vi fu un nuovo affitto dell’azienda in favore di altra ditta individuale, avente la medesima sede della fallita, sempre riconducibile all’odierna ricorrente, sicché deve necessariamente reputarsi che quei macchinari, necessari per lo svolgimento dell’attività aziendale, fossero ancora presenti) inducono a ritenere corretta la decisione dei giudici di merito e destituito di fondamento il motivo di ricorso.
Rimane da osservare che, secondo l’univoca giurisprudenza di legittimità, «Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di leasing, anche se risolto dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina un pregiudizio per la massa fallimentare» (Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279212 – 01).
Il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente, sono infondati.
E’ obbligo dell’imprenditore, sin dalla fase antecedente alla dichiarazione di fallimento, adoperarsi per una corretta rappresentazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’impresa, con il deposito di una relazione aggiornata, unitamente ai bilanci degli ultimi tre esercizi, in sede di convocazione prefallimentare (art. 15, comma quarto, I. fall.); dopo l’apertura della procedura concorsuale, con il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie entro tre giorni dalla comunicazione della sentenza
dichiarativa di fallimento (art. 16, comma primo, n. 3, I. fall.); e con la tempestiva e costante disponibilità all’interlocuzione con il curatore del fallimento (art. 49 I. fall.).
Nel caso di specie, il libro giornale, il libro inventari, il libro dei be ammortizzabili e l’altra documentazione indicata nell’editto d’accusa (fatture del 2012, schede di mastro dei bilanci, ecc.) non furono mai consegnati al curatore; la tesi difensiva, secondo cui l’omessa consegna sarebbe conseguenza del fatto che il Pontremolesi, al termine del suo breve periodo gestorio, non restituì alla Consigli la documentazione contabile, è stata vagliata e ritenuta destituita di fondamento dai giudici distrettuali, con motivazioni non adeguatamente contrastate dal ricorrente.
E’ stata, anche in questo caso, valorizzata la circostanza secondo cui, alla cessazione del rapporto con il Pontremolesi, la Consigli riprese ad occuparsi della conduzione della fallita, senza in alcun modo contestare l’omessa restituzione delle scritture e della contabilità, pur trattandosi di documenti evidentemente indispensabili per la prosecuzione dell’attività; all’atto della dichiarazione di fallimento, come sottolineato dai giudici distrettuali, «non venne rinvenuto nessun documento contabile, tanto che la ricostruzione dei rapporti patrimoniali della fallita fu possibile solo in un secondo momento» (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata), ossia quando la Guardia di Finanza rinvenne proprio presso la sede della fallita una parte della documentazione (ma non quella analiticamente indicata nell’editto d’accusa).
Le deduzioni della ricorrente si rivelano, peraltro, del tutto prive di pregio ove si consideri che tra la cessazione del rapporto con il Pontrennolesi e la dichiarazione di fallimento intercorse un ampio periodo di tempo (circa un anno e due mesi) durante il quale la fallita continuò ad operare, sicché è evidente che l’omessa consegna delle scritture e dei documenti contabili indicati in rubrica (tra i quali vi sono anche documenti evidentemente estranei alla gestione del Pontremolesi, quali, ad esempio, le fatture dell’anno 2012) non può che essere imputata proprio alla Consigli.
Quanto alla qualificazione giuridica delle condotte, oggetto del quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che l’occultamento della contabilità, tenuto conto dell’ingravescente stato di decozione della fallita e del vorticoso succedersi nei suoi ultimi anni di operatività di diverse gestioni, ha rappresentato strategia operativa volta, in definitiva, ad occultare gli accadimenti aziendali – consistiti, come si è visto, anche in corpose operazioni distrattive – ed a precludere la corretta ricostruzione dell’andamento delle attività, in evidente e decettivo pregiudizio delle aspettative dei creditori della fallita: tanto in armonia con la giurisprudenza di legittimità, ad avviso della
quale «lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali» (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
5. Il quinto motivo è infondato.
Non sussistevano i presupposti per riconoscere la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, sia per l’ammontare tutt’altro che tenue del danno cagionato alla massa debitoria (il curatore COGNOME, riascoltato all’udienza del 5 dicembre 2023, ha riferito che a fronte di una esposizione debitoria di quattro milioni di euro, il fallimento si è chiuso con un riparto di appena quattrocentomila euro), sia perché questa Corte ha in più occasioni statuito che «In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili non consente l’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, comma 3, legge fall., qualora, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisca la stessa dimostrazione del danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che il danno causato fosse particolarmente tenue in ragione dell’elevato ammontare del passivo accertato, che lasciava intendere che le dimensioni dell’impresa non erano contenute)» (Sez. 5, n. 25034 del 16/03/2023, Cecere, P.v. 284943 – 01). Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si osserva preliminarmente che in nessuno dei giudizi di merito risulta essere stata formulata richiesta in tal senso dal difensore della Consigli; ed invero: Corte di Cassazione – copia non ufficiale
in primo grado, secondo quanto risulta dall’intestazione della sentenza, la difesa aveva chiesto solo il minimo della pena, e non anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
né la prima né la seconda sentenza della Corte di appello di Firenze fanno menzione di una tale richiesta, della quale, peraltro, non vi è traccia nel verbale dell’udienza del 13 febbraio 2024.
Trova, dunque, applicazione il principio in base al quale «Il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di
motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione» (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, G., Rv. 279063 – 02).
In ogni caso, e a tutto voler concedere, occorre ricordare che la applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede che venga provata la sussistenza di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01), poiché esse hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, COGNOME, Rv. 275640 – 01).
Alla luce di questi principi, non è censurabile la decisione dei giudici distrettuali di non concedere le circostanze attenuanti generiche, decisione che, come già ripetutamente statuito da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01: «Non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza»; Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057 – 01: «La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi»), può senz’altro ritenersi implicitamente, e correttamente, motivata con la negativa valutazione della personalità della Consigli che è stata ricavata dai fatti di causa, avendo la sentenza impugnata evidenziato, in sede di determinazione della durata delle pene accessorie, la «assenza di qualsiasi manifestazione di resipiscenza dell’imputata, la quale ha mostrato di sapere sfruttare a proprio tornaconto il ruolo apicale ricoperto nella fallita».
Per converso, nessuno degli elementi enfatizzati dalla ricorrente appare idoneo a scalfire la tenuta motivazionale della sentenza impugnata: non «l’impegno della Consigli nel rifinanziamento della società» ovvero « il fatto che l’imputata pagò con le proprie risorse tutti quei dipendenti che sarebbero dovuti essere pagati dal Pontremolesi», trattandosi di condotte non valorizzabili alla luce di una complessiva considerazione dei fatti, che deve necessariamente valorizzare il rilevantissimo danno cagionato dalla Consigli alla massa debitoria; non «i gravi inadempimenti di natura patrimoniale» del Pontremolesi, trattandosi
di circostanze non adeguatamente emerse nel corso del dibattimento, essendosi peraltro accertato che il Pontremolesi sporse querela nei confronti dell’odierna
ricorrente per i reati di truffa e appropriazione indebita; non «la crisi economica che ha inciso sull’andamento degli affari e la situazione di disabilità della figlia»,
trattandosi di aspetti che non avrebbero dovuto esimere la Consigli dal tenere una condotta diligente, e che non paiono avere avuto alcuna diretta attinenza né
con il grave disordine contabile né, soprattutto, con le rilevanti distrazioni contestate alla ricorrente.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25/06/2025.