Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10153 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10153 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per aver cagionato con operazioni dolose il fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, della quale era stato amministratore dal 13 giugno 2008 al 30 ottobre 2014 e, in seguito, liquidatore sino alla data del fallimento dichiarato il 6 maggio 2015, nonché per bancarotta fraudolenta documentale per aver sottratto, al fine di procurarsi un ingiusto profitto ovvero di arrecare pregiudizio ai creditori, le scritture contabili della predetta società.
Avverso la richiamata sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione, affidandosi, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, a sette motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi, entro i limiti previsti dall’ar 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente assume violazione degli artt. 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1 e 219, comma 1, I.fall., per assenza dell’elemento materiale integrante la fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva, correlato vizio di motivazione e travisamento probatorio, nonché violazione degli artt. da 516 a 521 cod. proc. pen., e dell’art. 111, comma 2, Cost. letto alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
L’imputato contesta, innanzitutto, che le pronunce di merito, integranti una doppia conforme, non abbiano dato conto di un’effettiva riduzione della garanzia patrimoniale derivante in danno dei creditori dalle operazioni dolose che gli erano state contestate, vieppiù alla luce della circostanza che l’unica passività esistente nei confronti della BNL per la somma di euro 400.000,00 era stata significativamente ridotta, come risulta dalla nota integrativa al bilancio chiuso alla data del 31 dicembre 2009, grazie alla somma di euro 2.258.494,00 ritratta dalla cessione dell’azienda.
Peraltro, sarebbe assolutamente contraddittoria l’assunzione della Corte territoriale, e già della sentenza di primo grado, nel senso di dare atto che il prezzo corrisposto per tale cessione, come da atto notarile, era stato integralmente versato al momento dello stesso con bonifico bancario e poi ritenere che non vi fosse alcuna prova, neppure documentale, del versamento di tale prezzo.
Inoltre, vi sarebbe stato, proprio perché solo in sentenza si era fatto riferimento ad un mancato pagamento del prezzo della cessione cui non faceva alcun riferimento il capo di imputazione, un radicale mutamento della prospettazione accusatoria senza tuttavia una contestazione suppletiva, in
contrasto con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella pronuncia relativa al caso COGNOME I.
Inoltre, la decisione impugnata, nel ritenere inesistente il versamento del prezzo della cessione, sebbene risultassero alla data del 31 dicembre 2009 debiti residui della TIA per euro 3.430.843,00 (senza che ancora esistesse quello verso la RAGIONE_SOCIALE intervenuto per un lodo successivo) e detti creditori non si fossero insinuati al passivo,avrebbe completamente travisato i dati probatori.
2.2. Con il secondo motivo il COGNOME lamenta violazione degli artt. 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1 e 219, comma 1, I.fall., per assenza dell’elemento materiale integrante la fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva e vizio di contraddittorietà di motivazione e travisamento probatorio poiché, nel porre in essere le operazioni di cessione e scissione egli avrebbe, quale amministratore, solo attuato la volontà espressa dai soci in sede assembleare, senza che fosse socio, come documentalmente attestato, a differenza di quanto ritenuto dalla decisione della Corte d’appello di Napoli.
2.3. Mediante il terzo motivo l’imputato denuncia violazione degli artt. 216, comma 1, n. 2, e 223 I.fall. per assenza dell’elemento materiale della bancarotta fraudolenta documentale e mancata assunzione di una prova decisiva richiesta dalla parte.
Secondo la difesa del ricorrente, in particolare, la condanna si sarebbe inammissibilmente fondata solo su un vaglio di innplausibilità delle sue allegazioni in ordine al furto della vettura contenente le scritture contabili sicché tl” sarebbe stata decisiva l’assunzione della testimonianza £12/10.commercialista COGNOME che avrebbe potuto confermare che aveva consegnato le scritture al COGNOME prima del furto affinché le consegnasse a propria volta al curatore fallimentare.
2.4. Con il quarto motivo l’imputato evoca le medesime disposizioni normative di cui al terzo motivo nonché contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione perché, per un verso, la sentenza impugnata avrebbe ricostruito puntualmente la situazione economica della società e per un altro avrebbe affermato che ciò sarebbe stato impossibile in assenza della documentazione contabile asseritamente sottratta.
2.5. Il COGNOME assume altresì con il quinto motivo violazione delle stesse previsioni normative di cui al precedente motivo e carenza di motivazione circa il dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili che non potrebbe certo trarsi, se il danno ai creditori fosse stato arrecato dalle operazioni di cessione e scissione contestate a titolo di distrazione, dall’assenza di scritture successive a dette operazioni.
2.6. Mediante il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 219, comma 1, I.fall. poiché l’indice di copertura della società fallita sarebbe
migliorato e non peggiorato dopo l’atto di cessione con la conseguenza che, in luogo della circostanza aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, avrebbe dovuto essergli concessa l’attenuante per la particolare tenuità del danno patrimoniale, stante l’assenza di un danno per i creditori sociali esistenti all’epoca dell’effettuazione delle operazioni sociali contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.All’esame dei motivi di ricorso occorre premettere che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizza nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, integrando una c.d. doppia conforme, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615 – 01).
2. Il primo motivo non è fondato.
La decisione impugnata, come pure quella di primo grado, hanno attentamente ricostruito le modalità con le quali, in conformità alla prospettazione accusatoria, il COGNOME ha distratto, attraverso due operazioni, una di cessione di beni aziendali e poi una di scissione, i beni facenti capo alla società fallita.
Se è vero che nel capo di imputazione era contestato all’imputato di aver cagionato il fallimento mediante dette operazioni dolose e non già la valenza distrattiva delle relative condotte, nondimeno i fatti oggetto di contestazione sono identici, talché il ricorrente è stato posto in grado di difendersi dalla prospettazione accusatoria.
Né tale conclusione è contraddetta dalla circostanza, addotta dalla difesa dell’imputato quale ragione idonea a determinare una violazione dell’ad. 521 cod. proc. pen., che nel capo di imputazione era stato indicato il regolare versamento del prezzo della cessione mediante bonifico.
Come ha infatti chiarito, confrontandosi con i principi enunciati dalla Corte europea nella pronuncia “COGNOME I”, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 – 01, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del
tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Né ad una differente valutazione si può pervenire nella fattispecie in esame perché nel capo di imputazione si fa riferimento al versamento del prezzo della cessione, essendo – non casualmente – in detto capo il termine prezzo riportato tra virgolette.
Sotto altro e concorrente profilo va osservato che, sempre a dispetto di quanto dedotto dal COGNOME, il fatto che nell’atto notarile di cessione fosse stato indicato che era stato già pagato il rilevante prezzo, pari a oltre due milioni di euro, della stessa, non implica, evidentemente, che cliò fosse realmente avvenuto, non trattandosi di versamento avvenuto dinanzi al pubblico ufficiale in sede di rogito.
D’altra parte dal Curatore non è stata rinvenuta alcuna evidenza documentale di detto pagamento, sebbene la cessione sia avvenuta prima del momento a partire dal quale le scritture contabili sono state occultate.
Di qui, stante la mancata prova del pagamento del prezzo della cessione che ha comportato il trasferimento dei beni della fallita senza corrispettivo ad un’altra società riconducibile al medesimo COGNOME, alcuna rilevanza ha come ha già chiarito la sentenza impugnata con congrua motivazione – la situazione debitoria della TRAGIONE_SOCIALE.A. al momento di tale operazione, atteso che, quando è poi intervenuto il fallimento, per effetto della perdita dei beni realizzata con essa, i creditori sono stati privati della propria garanzia patrimoniale. Invero, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa (ex multis, in omaggio a Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME e altro, Rv. 266804 – 01; Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 260407 – 01; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 253932 – 01).
Il secondo motivo è inammissibile poiché mediante lo stesso l’imputato veicola una censura contro la sentenza di primo grado che non è stata oggetto dei motivi di appello.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo afferenti il delitto di bancarot fraudolenta documentale, suscettibili di valutazione unitaria, sono manifestamente infondati.
A riguardo occorre in primis evidenziare che le decisioni di merito hanno ritenuto non plausibile la giustificazione addotta dall’imputato per l’omessa consegna delle scritture contabili successive all’anno 2009 in forza di un articolato e non manifestamente illogico ragionamento inferenziale con il quale, suggestivamente, la difesa del COGNOME si confronta solo in parte.
Invero, l’imputato, qualche giorno prima della dichiarazione di fallimento, aveva effettivamente denunciato il furto della propria vettura, senza tuttavia indicare che all’interno della stessa vi erano le scritture contabili della società.
Solo dopo la dichiarazione di fallimento aveva integrato detta denuncia precisando che nell’auto vi erano tali scritture.
Ancora, fornendo una versione differente, il COGNOME aveva dichiarato al Curatore di non sapere se avesse tenuto o meno le scritture contabili – delle quali pure assume di aver subito il furto insieme a quella della propria auto dopo l’anno 2009.
A fronte dell’evidente inverosimiglianza, dunque, della prospettazione difensiva dell’imputato, alcuna rilevanza istruttoria avrebbe potuto assumere la testimonianza con il commercialista COGNOME poiché, anche se egli avesse confermato di aver consegnato le scritture al COGNOME, ciò non avrebbe dimostrato che le stesse erano nella vettura rubata al ricorrente.
La situazione patrimoniale ed economica della società è stata ricostruita solo fino al termine dell’anno 2009 e non anche per il periodo successivo proprio per l’assoluta carenza di scritture contabili a disposizione della Curatela: il che non solo rende ragione della manifesta infondatezza del quarto motivo del ricorso ma altresì del quinto. Rispetto ad esso occorre sottolineare, invero, che gli indici di sussistenza del dolo specifico sono stati congruamente ritratti dalle decisioni di merito proprio dalla circostanza che, una volta eseguite le operazioni di spoliazione della T.I.A., non vi erano più scritture contabili che potessero consentire di comprendere gli effetti delle operazioni distrattive compiute in danno del ceto creditorio.
Il sesto motivo è, parimenti, manifestamente infondato, atteso che quanto evidenziato in ordine al mancato pagamento del prezzo della cessione rende ragione del danno di rilevante gravità subito dalla fallita e della corretta ritenuta integrazione della relativa circostanza aggravante, dovendosi all’uopo aver riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non già al danno concretamente subito dai creditori (ex nnultis, Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658 – 01).
Nel complesso, dunque, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali .
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2024 Il Consigliere COGNOME
Il Presidente