Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28908 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
In nome del Popolo Italiano
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 831/2025
NOME SESSA
UP – 27/06/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 14969/2025
IRENE SCORDAMAGLIA
NOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 15/09/1978
avverso la sentenza del 27/11/2024 della Corte d’appello di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 27 novembre 2024 dalla Corte di appello di Palermo, che Ð per quanto qui di interesse Ð ha confermato la sentenza del Giudice per lÕudienza preliminare del Tribunale di Palermo che aveva condannato NOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla societˆ RAGIONE_SOCIALE, fallita il 21 aprile 2017.
Secondo la Corte di appello, l’imputato, nella qualitˆ di amministratore di fatto della societˆ, avrebbe (in concorso con lÕamministratore di diritto COGNOME NOME) distrutto o sottratto le scritture contabili al fine di procurare sŽ un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori.
Avverso la sentenza della Corte di appello, lÕimputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 40, 41 e 110 cod. pen., 216 legge fall., 2639 cod. civ. e 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta il ruolo di amministratore di fatto della fallita, riconosciuto allÕimputato dai giudici di merito.
Al riguardo, sostiene che l’imputato, trovandosi in stato di detenzione dal 2014, non era nelle condizioni per poter gestire la societˆ. I giudici di merito, per sostenere il contrario, avrebbero erroneamente valorizzato le conversazioni intercettate, che, essendo risalenti al 2012, non potrebbero assumere rilievo rispetto a una societˆ fallita nel 2017.
Il ruolo di amministratore di fatto della fallita, d’altronde, secondo il ricorrente, a ben vedere, non sarebbe stato espressamente riconosciuto all’imputato neppure dal curatore fallimentare e dall’amministratore giudiziario.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che non vi sarebbe prova dell’occultamento o della distruzione delle scritture contabili e, al contrario, vi sarebbe la prova della consegna della documentazione della societˆ al curatore fallimentare. Quanto alle deduzioni dell’amministratore giudiziario in ordine l’incompletezza della documentazione, secondo il ricorrente, al più, si potrebbe parlare di unÕirregolaritˆ nella tenuta delle scritture contabili, ma non certo di una loro distruzione. NŽ potrebbero assumere rilievo eventuali annotazioni false contenute del bilancio, atteso che esse potrebbero integrare il diverso reato di falso in bilancio e non quello di bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorrente, infine, lamenta il mancato accertamento delle ragioni che avevano portato al dissesto della societˆ e del momento in cui tale dissesto si era verificato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 42, 43 e 110 cod. pen., 216 legge fall. e 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen.
Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sostenendo che l’imputato, essendo detenuto, Çnon poteva rappresentarsi e avere la consapevolezza di essere amministratore di fattoÈ. Lo stato detentivo, dÕaltronde,
gli precludeva la possibilitˆ di redigere le scritture contabili, che, in ogni caso, non gli erano state richieste.
La Corte di appello, comunque, non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza dellÕelemento soggettivo del reato, nŽ avrebbe valutato la possibilitˆ che vi fosse stata solo una semplice trascuratezza nella tenuta delle scritture contabili.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 110 cod. pen., 216 e 217 legge fall., e 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto riqualificare il fatto contestato nel reato di bancarotta semplice documentale.
L’imputato, infatti, non avrebbe Çagito al fine di frodare i creditori socialiÈ, atteso che egli, Çnel momento in cui il Tribunale di Palermo dichiarava il fallimento della societˆ, É si trovava in stato detentivo carcerario da diversi anniÈ.
Dalle dichiarazioni rese dall’amministratore giudiziario, inoltre, si desumerebbe che le scritture contabili sarebbero state tenute solo in modo irregolare e confusionale.
2.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 99, 132, e 133 cod. pen., 27 Cost. e 125 e 546 cod. proc. pen.
Contesta l’applicazione della recidiva, sostenendo che la motivazione resa sul punto dai giudici di merito sarebbe illogica e apparente, essendo fondata sul mero dato oggettivo dei precedenti penali. La Corte di appello, inoltre, non si sarebbe confrontata con le argomentazioni della difesa, che aveva posto in rilievo che i fatti erano stati commessi nel quartiere INDIRIZZO, zona particolarmente degradata della cittˆ di Palermo.
2.5. Con un quinto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62-bis, 132, e 133 cod. pen. e 27 Cost.
Contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’entitˆ della pena applicata, che risulterebbe Çinadeguata e sproporzionata rispetto alla gravitˆ dei fattiÈ.
Il ricorrente sostiene che i giudici di merito, in ordine ai punti in questione, avrebbero reso Çuna motivazione assente e apoditticaÈ, trascurando di valutare gli elementi evidenziati dalla difesa. In particolare, non avrebbero tenuto conto dell’etˆ dell’imputato, delle sue condizioni economiche e del Çcontesto ambientaleÈ nel quale viveva.
2.6. Con un sesto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 legge fall., 132 e 133 cod. pen. e 27 Cost.
Contesta le pene accessorie applicate, sostenendo che la loro durata sarebbe sproporzionata alla gravitˆ dei fatti. I giudici di merito avrebbero erroneamente valorizzato anche una precedente condanna per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, che, nella determinazione della durata delle pene per un reato di bancarotta fraudolenta, non dovrebbe assumere alcun rilievo.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. I primi tre motivi, che, essendo completamente versati in fatto possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
Il ricorrente, invero, con tali motivi, si limita ad articolare generiche censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna violazione di legge nŽ effettivi travisamenti di prova o vizi di manifesta logicitˆ emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata da entrambi i giudici di merito (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano). Al riguardo, va ricordato come ÇlÕindagine di legittimitˆ sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato Ð per espressa volontˆ del legislatore Ð a riscontrare lÕesistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilitˆ di verificare lÕadeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in questÕultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dellÕart. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.È (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito).
Deve essere, in ogni caso, evidenziato che i giudici di merito hanno reso una motivazione adeguata e priva di vizi logici anche con riferimento alle questioni
sulle quali il ricorrente ha concentrato le sue censure: lÕelemento soggettivo del reato e il riconoscimento allÕimputato del ruolo di amministratore di fatto.
Hanno evidenziato come, dalle conversazioni intercettate, emergesse in maniera chiara che lÕimputato gestisse di fatto la societˆ: esercitava il potere decisionale; chiedeva il resoconto della situazione di cassa; impartiva direttive sui fornitori da pagare, sulle operazioni da realizzare sul conto corrente della societˆ, sui rapporti con le banche, sulla gestione del denaro presente in cassa e nella cassaforte della societˆ. Esercitava dunque, anche attraverso il coimputato COGNOME, i poteri connaturali alla funzione direttiva della societˆ, interessandosi anche delle annotazioni effettuate dal Rizzuto sulla contabilitˆ.
La deduzione relativa allo stato detentivo dell’imputato si presenta priva della necessaria specificitˆ estrinseca, atteso che, con essa, il ricorrente si limita a reiterare quanto giˆ esposto nei motivi d’appello, senza confrontarsi con la congrua motivazione fornita al riguardo dalla Corte territoriale, che ha posto in rilievo che la circostanza che l’imputato fosse detenuto dall’ottobre 2014 Ð e quindi prima della sequestro della societˆ avvenuto nel 2015 e del successivo fallimento Ð non era rilevante, atteso che l’impresa in quel momento era giˆ inattiva e che il ruolo di amministratore di fatto all’imputato era stato riconosciuto nel periodo di tempo anteriore al sequestro, quando la societˆ era ancora attiva.
Con particolare riferimento alla bancarotta documentale, va ricordato che sull’amministratore cessato permane la responsabilitˆ per la tenuta della contabilitˆ nel periodo in cui ha ricoperto la carica e per l’eventuale occultamento o sottrazione, in tutto o in parte, della documentazione prima del passaggio di consegne (cfr. Sez. 5, n. 39160 del 04/10/2024, COGNOME, Rv. 287061, in motivazione).
Risulta, dunque, evidente che, anche se al momento del fallimento lÕimputato non fosse stato più lÕamministratore di fatto della societˆ, oramai da tempo inattiva, egli, comunque, rimarrebbe responsabile per tenuta delle scritture nel periodo in cui aveva ricoperto la carica e per la sottrazione della documentazione avvenuta nel medesimo periodo.
Anche la deduzione con la quale il ricorrente sostiene che la documentazione della societˆ sarebbe stata consegnata al curatore fallimentare risulta priva della necessaria specificitˆ estrinseca. Il ricorrente, invero, non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte d’appello ha posto in rilievo che il fatto che il consulente della societˆ, solo in un secondo momento, aveva consegnato al curatore alcuni documenti era scarsamente rilevante, atteso che si trattava di una documentazione largamente incompleta, che non aveva consentito la ricostruzione delle vicende e del volume degli affari della societˆ.
La deduzione con la quale il ricorrente lamenta il presunto mancato accertamento delle ragioni del dissesto oltre a essere assertiva e generica, risulta anche poco conferente, atteso che lÕamministratore di una societˆ è tenuto a rispettare gli obblighi correlati al ruolo rivestito, a prescindere dalla causa del dissesto.
Quanto all’elemento soggettivo, i giudici di merito hanno posto in rilievo che, dalle conversazioni intercettate, emergeva con evidenza come l’imputato avesse utilizzato lo schermo dell’intestazione fittizia della societˆ per evitare il rischio della confisca dei beni. Hanno, poi, desunto il dolo specifico dall’ingente esposizione debitoria dell’impresa nei confronti dell’erario, dal mancato rinvenimento di denaro in cassa, dall’utilizzo di denaro della societˆ per fini personali e dalla mancata attivazione della procedura di liquidazione, doverosa in caso di inattivitˆ della societˆ. Con motivazione esente da vizi logici, hanno correlato la sottrazione delle scritture contabili allo scopo di ÒcoprireÓ tali vicende, realizzate in danno dei creditori.
Anche la deduzione relativa alla riqualificazione giuridica del fatto è priva della necessaria specificitˆ estrinseca, essendo stata giˆ ritenuta infondata dalla Corte di appello con motivazione congrua in fatto e corretta in diritto, con la quale il ricorrente non si è confrontato. Va, dÕaltronde, rilevato che lÕesposta ricostruzione dellÕelemento soggettivo del reato operata dalla Corte di appello risulta del tutto incompatibile con la tesi del ricorrente, che sostiene che si sarebbe trattata di una semplice trascuratezza nella tenuta delle scritture contabili.
1.2. Il quarto motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificitˆ estrinseca, perchŽ meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 14 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato. In particolare, la Corte di appello ha posto in rilievo come il nuovo episodio delittuoso fosse significativo di una maggiore capacitˆ a delinquere e di una più accentuata pericolositˆ sociale dell’imputato, anche in relazione al numero, allÕepoca e alla gravitˆ dei precedenti penali. Ha poi correttamente posto in rilievo come il Çcontesto socialeÈ nel quale erano stati commessi i fatti, di per sŽ, assumesse scarsa rilevanza.
1.3. Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili.
Con essi, il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimitˆ e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione delle pene rientra nella discrezionalitˆ del giudice di merito, che lÕesercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della
sua congruitˆ, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (cfr. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851; cfr., con specifico riferimento alle pene accessorie fallimentari, Sez. 5, n. 7034 del 24/01/2020, COGNOME, Rv. 278856), come nel caso di specie (cfr. pagina 15 della sentenza impugnata).
Va, inoltre, ricordato che, per la consolidata giurisprudenza di legittimitˆ (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, come parimenti avvenuto nel caso in esame (cfr. pagine 14 e 15 della sentenza impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cos’ deciso, il 27 giugno 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME Rosa COGNOME