Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25186 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25186 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME nata a Como il 10/02/1960
NOME nato a Como il 30/11/1957
avverso la sentenza del 18/11/2024 della Corte d’appello di Roma
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si è riportato alla requisitoria scritta e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
udito l’Avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma che aveva riconosciuto NOME
NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, commesso nelle rispettive qualità, la prima, di amministratore di diritto e, il secondo, di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE posta in liquidazione giudiziale il 24 febbraio 2022, e, per l’effetto, li aveva condannati alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, loro applicando le pene accessorie fallimentari per una durata equivalente a quella della pena principale.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati con distinti atti di impugnativa, affidati, quanto alla COGNOME, a cinque motivi e, quanto ad COGNOME, a sei motivi. Motivi – quivi enunciati nei limiti stabiliti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. deducono le seguenti questioni in termini sostanzialmente sovrapponibili:
2.1. la Corte territoriale avrebbe travisato il contenuto delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME sul tema dello svolgimento in maniera effettiva da parte di NOME COGNOME del ruolo di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE (primo motivo del ricorso COGNOME);
2.2. i giudici di merito sarebbero incorsi nel vizio di violazione di legge e nel vizio d motivazione con riguardo all’elemento oggettivo e all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale da sottrazione di parte delle scritture contabili societarie (primo, secondo e quarto motivo del ricorso COGNOME e secondo motivo del ricorso COGNOME); questo perché: I.) incongruamente valutato sarebbe stato l’elemento decisivo dell’affidamento della tenuta delle scritture medesime ad un professionista esterno, che non le aveva mai restituite agli imputati nonostante le ripetute sollecitazioni; II. tautologica sarebbe la motivazione rassegnata nella sentenza impugnata in punto di prova del dolo specifico, desunta unicamente dall’imponenza del passivo, dall’assenza di cespiti attivi e dalla mancanza di scritture contabili per un arco temporale riferito a diverse annualità; III.) poiché tali elementi fattuali non sarebbero univocamente indicativi di un intento fraudolento perseguito dagli imputati, sarebbe stato necessario derubricare il reato contestato in quello di bancarotta documentale semplice;
2.3. la sentenza impugnata sarebbe affetta dai medesimi vizi con riferimento alla statuizione di conferma della responsabilità dei ricorrenti per la condotta di distrazione dell’autovettura Mini Cooper, concessa in leasing alla società dichiarata insolvente dalla BMW, posto che sia pure tardivamente l’autovettura era stata restituita, previo parere favorevole degli organi della procedura concorsuale, alla concedente, di modo che, non essendo il detto bene fuoriuscito dal patrimonio della società, nessun danno si era verificato per i creditori sociali (terzo motivo di ciascun ricorso);
2.4. la conferma del trattamento sanzionatorio applicato agli imputati (con riferimento: al bilanciamento in regime di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con l’aggravante ex art. 219, comma 2, n. 1, L.F.; al quantum della pena principale inflitta e alla durata delle pene accessorie fallimentari) sarebbe assistita da una
giustificazione del tutto insufficiente (quarto e quinto motivo del ricorso COGNOME e quinto e sesto motivo del ricorso COGNOME)
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha anticipato le proprie conclusioni per iscritto in data 9 maggio 2025, chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
I ricorsi sono stati discussi oralmente previa relativa e tempestiva richiesta avanzata dai difensori dei ricorrenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati
Il primo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Il giudice della sentenza impugnata ha tratto conferma dell’effettivo svolgimento da parte della ricorrente delle funzioni di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, posta i liquidazione giudiziale, evidenziando come NOME COGNOME che della società era creditore, avesse dichiarato che la RAGIONE_SOCIALE, presentatasi a lui, in una sola occasione, assieme al marito NOME COGNOME l’avesse rassicurato circa l’adempimento del debito mediante il denaro ricavato dalla vendita di un immobile di loro proprietà ubicato negli Stati Uniti d’America.
Si tratta di motivazione che dà conto, senza alcuna illogicità evidente, di come la RAGIONE_SOCIALE fosse ben a conoscenza del debito della RAGIONE_SOCIALE; conoscenza, del resto, qualificata, perché appartenente all’amministratrice di diritto della società, in tale veste intervenuta ad offrire rassicurazioni al creditore in ordine alla pronta soddisfazione della sua pretesa.
Ne viene che il rilievo difensivo, che denuncia la mancata integrale valutazione delle dichiarazioni di COGNOME, è generico perché, a fronte di un elemento fattuale incontrovertibile, ossia la dimostrata consapevolezza da parte dell’amministratrice di diritto della società insolvente dell’esistenza di un debito sociale, sollecita una rivalutazione della prova dichiarativa assegnando valenza dirimente ad un dato privo di decisività: ossia, al mero «parere» espresso da NOME COGNOME circa l’essere la gestione della RAGIONE_SOCIALE demandata al solo NOME COGNOME.
Sono parimenti inammissibili il secondo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e il secondo, il terzo e il quarto motivo nell’interesse di NOME COGNOME
2.1. Le doglianze in punto di elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale da sottrazione di parte delle scritture contabili societarie (il libro giornale per le annualità 2019, 2020, 2021 e 2022 nonché la situazione patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE al momento della dichiarazione d’insolvenza), articolate valorizzando la mancata disponibilità delle scritture medesime da parte degli imputati, essendo le stesse detenute dal professionista incaricato della loro tenuta, sono generiche, perché sviluppate senza alcun confronto critico con la ratio decidendi della statuizione al riguardo adottata: ossia, che l’allegata indisponibilità delle scritture contabili non assumesse alcuna valenza scriminante dell’operato degli imputati, i quali, nelle rispettive posizioni di amministratore di diritto della società dichiarata insolvente, la prima, e di amministratore di fatto dell stessa, il secondo, erano investiti dell’obbligo giuridico di tenere e custodire le scrittur contabili, impedendone la sottrazione da parte di terzi.
Giustificazione, questa, pienamente in linea con la pacifica giurisprudenza di questa Corte, che si è espressa affermando che, in tema di reati fallimentari, incombe sull’amministratore di diritto il «diretto e personale» obbligo di tenere e conservare le scritture contabili societarie (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271754 01): infatti, «A norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, rispond penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio opera nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a tit di dolo (bancarotta fraudolenta documentale)» (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212147 – 01; conf. Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, COGNOME, Rv. 280133 – 01). Tale obbligo, inoltre, grava anche sull’amministratore di fatto della società insolvente in forza del principio di diritto secondo cui «L’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 cod. civ., è da ritenere gravato dell’inter gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma 2, cod. pen.» (Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, COGNOME, Rv. 250094 – 01 Sez. 5, n. 7203 del 11/01/2008, COGNOME, Rv. 239040 – 01).
2.2. Prive di pregio sono le censure protese a disconoscere efficacia dimostrativa del dolo specifico, richiesto per il configurarsi della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale da sottrazione delle scritture contabili, assegnata dal giudice di merito agli elementi di fatto dell’imponenza del passivo fallimentare, dell’assenza di cespiti attivi, della pluralità di creditori (pubblici e privati) della società dichiarata insolvente e del lun arco temporale nel quale si iscrivono le riscontrate mancanze documentali.
In effetti, i rilievi difensivi, oltre a suggerire un rinnovato apprezzamento degl enumerati elementi di fatto, valutati, invero, in maniera per nulla illogica, risultano anche in contrasto con l’enunciazione direttiva di questa Corte secondo cui «In tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali» (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Di, Rv. 284304 – 01): ad esempio – si è precisato in motivazione – «le circostanze della persistenza nel tempo dell’omissione l’ingentissima esposizione debitoria la qualità dei crediti privilegiati chirografari».
2.3. Manifestamente infondata è, dunque, l’ulteriore doglianza relativa alla mancata derubricazione del delitto contestato in bancarotta documentale semplice. È jus receptum, infatti, che «Integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali» (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, COGNOME, Rv. 244494 – 01).
Infondato è, invece, il motivo (il terzo di ciascun ricorso) che contesta l’affermazione di responsabilità degli imputati per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, in relazione alla mancata consegna agli organi della procedura concorsuale di un’automobile concessa in leasing alla società.
3.1. La Corte territoriale, nel confermare la statuizione di condanna degli imputati sul punto, si è attenuta al principio di diritto secondo cui «Integra il delitto di bancarott fraudolenta patrimoniale la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di “leasing”, anche se risolto dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’oner economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina un pregiudizio per la massa fallimentare» (Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279212 – 01). Tale consolidato principio fonda nella tesi, condivisa dal Collegio, secondo cui qualsiasi manomissione del bene pervenuto all’impresa a seguito di
contratto di “leasing” e, perciò, «nella disponibilità della stessa» (Sez. 5, n. 44350 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268469 – 01; Sez. 5, n. 44898 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 265509 – 01), che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, integra il reato «poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente» (Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 272992 – 01).
3.2. Discende che la circostanza che l’autovettura, non rinvenuta dagli organi della procedura concorsuale né mai loro consegnata, fosse stata restituita alla società concedente il 5 giugno 2022 (quindi, dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale della società), così non essendosi verificato – secondo la prospettazione difensiva – alcun tipo di pregiudizio per i creditori sociali, è infondata; ciò, anche perché secondo la giurisprudenza di questa Corte «La bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare è un reato di pericolo concreto da valutarsi “ex ante” benché riferito al momento della declaratoria dello stato di insolvenza e con riguardo agli atti depauperativi commessi nella c.d. “zona del rischio penale”» (Sez. 5, n. 20096 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286501 – 01): non deve, infatti, confondersi l’esposizione al pericolo, sufficiente per l’integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, il quale costituisce un “post factum”, irrilevante per la realizzazione della fattispecie. Sicché, va ribadito che «In tema di bancarotta fraudolenta, il recupero, da parte della curatela, dei beni non consegnati dal fallito non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della “res” rappresenta solo un “posterius” equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto – avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori» (Sez. 5, n. 13820 del 03/03/2020, Rv. 278951 – 01: fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale del fallito che non aveva messo immediatamente a disposizione della curatela tre autocarri, ma li aveva consegnati solo dopo che il curatore ne aveva individuato l’esistenza con una visura al PRA). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Inammissibili sono le censure in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
4.1. Non consentito è il rilievo che si dirige sul bilanciamento in equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con la contestata e riconosciuta aggravante.
Poiché secondo il diritto vivente «Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la pi idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Rv. 245931), non è qui possibile rimettere in discussione l’apprezzamento compiuto al riguardo dai giudici di merito, i quali hanno congruamente giustificato la decisione impugnata valorizzando, per un verso, l’assenza di collaborazione alcuna da parte degli imputati con gli organi della procedura concorsuale, per altro verso, l’imponenza del passivo, superiore ad euro 500.000,00 in rapporto ad una società di modeste dimensioni.
4.2. Parimenti non consentito è il rilievo che si dirige sull’operata graduazione del quantum di pena inflitta agli imputati, posto che, avuto riguardo alla misura della pena base, fissata in un importo prossimo al minimo edittale, e all’esiguo aumento stabilito a titolo di continuazione, il giudice di merito non era tenuto a illustrare specificamente le ragioni della sua decisione: vale, infatti, il principio secondo il quale, nell’ipotesi in cu determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Rv. 237402), come accaduto nel caso di specie (in cui il giudice di appello ha evocato gli indici di gravità del fatto rappresentati dall’assenza di cespiti attivi dall’imponenza del passivo nonché dal lungo arco temporale entro il quale si collocavano i riscontrati ammanchi documentali).
4.3. Manifestamente infondata è la censura che attinge la durata delle pene accessorie fallimentari applicate ai ricorrenti. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, soltanto quando la durata delle pene accessorie fallimentari sia determinata in misura superiore alla media edittale è necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi e oggettivi di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della funzion rieducativa, retributiva e preventiva della pena, ancor più ove sussista divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Maddem, Rv. 280668 – 01).
Ne viene che, laddove, come nel caso di specie, la durata delle dette pene accessorie sia parametrata a quella della pena principale, la quale sia stata determinata in misura di poco superiore al minimo edittale tenendo conto degli indici di gravità in concreto del reato commesso, l’assenza di specifica argomentazione al riguardo non rileva neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.
Da tutto quanto esposto discende il rigetto dei ricorsi, che comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
o
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 05/06/2025
Il Consigliere estensore
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CORTE DI CASSAZIONE
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