Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29614 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29614 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il 20/12/1977
avverso la sentenza del 27/03/2025 della CORTE di APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito, per l ‘ imputato, l ‘ avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi integralmente ai motivi del ricorso e chiedendone l ‘ accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Locri in data 5 dicembre 2017, NOME COGNOME fu condannato alla pena di 3 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 223 r.d. n. 267 del 1942, perché, in concorso con NOME COGNOME quali soci e amministratori della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME , dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Locri in data 13 novembre 2012, con lo scopo di procurare a sé un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, distraevano merci destinate alla rivendita. Con lo stesso provvedimento, il Tribunale applicò all ‘ imputato le pene accessorie dell ‘ interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni e dell ‘ inabilitazione all ‘ esercizio di un ‘ impresa commerciale e dell ‘ incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di 10 anni.
1.2. Con sentenza in data 27 marzo 2025, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in 3 anni la durata delle pene accessorie dell ‘ inabilitazione all ‘ esercizio di una impresa commerciale e dell ‘ incapacità, per la stessa durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, con conferma, nel resto, delle precedenti statuizioni.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello per il tramite del Difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso deduce, ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell ‘ art. 216, comma 1, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza ometterebbe di valutare gli argomenti difensivi, limitandosi ad assegnare rilevanza indiziaria alla mancata giustificazione della destinazione dei beni mancanti ad opera dell ‘ amministratore, senza verificare la previa disponibilità, da parte dell ‘ imputato, dei beni o delle attività non rinvenute, nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione, nonché la concreta pericolosità del fatto distrattivo, gli indici di fraudolenza della condotta, la volontarietà della destinazione del patrimonio sociale a finalità diverse da quella dell ‘ impresa. La sentenza impugnata errerebbe nel ritenere sufficiente un mero calcolo matematico attestante la differenza tra il valore delle rimanenze risultanti dall ‘ analisi della situazione contabile e quello conferito alle merci in giacenza presso il magazzino della fallita, al momento dell ‘ inventario dei beni da parte del curatore; metodo utilizzato esclusivamente per le attività commerciali al minuto, che non avrebbero la possibilità di
evidenziare al fisco, tramite la fatturazione, la differenza di margine tra i costi di acquisto e le vendite. Né la sentenza impugnata definirebbe in modo condivisibile i ruoli svolti da COGNOME e da COGNOME all ‘ interno della società come emersi durante l ‘ istruttoria dibattimentale grazie al contributo offerto da COGNOME e dai testi COGNOME e COGNOME. La sentenza non indicherebbe i testi, non dubiterebbe della loro credibilità, ma, allo stesso tempo, nessuna rilevanza restituirebbe alle loro dichiarazioni, saltate a piè pari e sacrificate sull ‘ altare delle operazioni di calcolo, lasciando il dubbio se le abbia dimenticate o se non vi abbia dato credito.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso prospetta, ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale, pur valorizzando le «modalità del fatto» e la «personalità del reo», non avrebbe spiegato in che modo abbia tenuto conto dei criteri previsti dall ‘ art. 133 cod. pen., in particolare dinnanzi agli specifici motivi di appello con cui era stato evidenziato che COGNOME si era sottoposto a esame, aveva risposto a tutte le domande postegli, aveva prestato la massima collaborazione anche prima della fase dibattimentale, come confermato dalla curatrice fallimentare. Quanto, poi, alla mancanza di collaborazione da parte dell ‘ imputato nel corso del processo, essa potrebbe ravvisarsi solo ove egli abbia reso dichiarazioni false: circostanza, questa, non riscontrata dai Giudici di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.
Muovendo dall ‘ analisi del primo motivo, va preliminarmente osservato che le doglianze difensive sono, fondamentalmente, di un triplice ordine.
Sotto un primo profilo, il ricorso censura l ‘ esistenza stessa delle condotte distrattive contestate, che sarebbe stata affermata a partire dallo iato tra il valore dei beni aziendali rinvenuti dalla curatela e quelli risultanti dai dati contabili, con applicazione, però, di criteri di calcolo errati. Sotto un secondo aspetto, esso lamenta che non sarebbe stato dimostrato per quale ragione l ‘ imputato sia stato chiamato a rispondere delle condotte distrattive, considerato che egli non avrebbe svolto alcuna concreta attività gestoria, compiuta soltanto da NOME COGNOME. Infine, la Difesa deduce che non sarebbe stata dimostrata l ‘ esistenza degli ulteriori elementi di fattispecie, atteso che non sarebbe stata accertata la concreta pericolosità delle condotte ascritte all ‘ imputato, né l ‘ esistenza dei cd. indici di fraudolenza, né la configurabilità dell ‘ elemento soggettivo.
2.1. Quanto alla prima questione, il ricorso ricorda che con l ‘ atto di appello erano state avanzate una serie di critiche rispetto ai criteri utilizzati per l ‘ accertamento della mancanza, al momento dell ‘ inventario, di alcuni beni della società, dalla quale i Giudici di merito hanno, poi, dedotto l ‘ avvenuta distrazione o, comunque, l ‘ occultamento del compendio aziendale non rinvenuto.
In particolare con l ‘ atto di impugnazione era stato dedotto che né il teste di polizia giudiziaria COGNOME né la curatrice fallimentare erano stati in grado di riferire sui documenti della società (bilanci, fatture etc.) necessari per accertare l ‘ esistenza di beni societari distratti, né la quantità di merci in possesso della fallita e il loro valore, sicché essi avevano rilasciato dichiarazioni imprecise, vaghe e contraddittorie; il primo non ricordando nulla sulle fatture della società, l ‘ altra dichiarando di aver visionato soltanto a campione le fatture e i bilanci. E, inoltre, che per poter determinare in modo corretto la quantità e la tipologia delle merci in giacenza al momento del fallimento, sarebbero state indispensabili sia le c.d. schede di lavorazione dei singoli interventi eseguiti dalla società nelle prestazioni d ‘ opera, nelle quali sarebbero stati indicati il tipo e la quantità dei materiali utilizzati in ogni intervento, sia un dettagliato inventario fisico delle merci esistenti alla fine di ogni anno. E, ancora, che soltanto tramite una contabilità di magazzino, nella quale indicare la quantità e la tipologia delle merci in entrata e in uscita, si sarebbe potuta avere l ‘ effettiva contezza delle rimanenze che avrebbero dovuto essere rinvenute all ‘ atto dell ‘ accesso del curatore per la verifica della giacenza. Infatti, la fallita era un ‘ impresa artigiana di installazione di impianti e non aveva mai svolto vendita di materiale al dettaglio, sicché sarebbe stato impossibile valutare l ‘ ammontare delle rimanenze attraverso il metodo del calcolo algebrico; tanto più che il metodo di calcolo utilizzato dalla Guardia di Finanza comportava, per ogni anno di esercizio sociale, un magazzino negativo, e ciò sarebbe stato tecnicamente impossibile. Invero, trattandosi di un ‘ attività artigiana, la curatrice e la Guardia di Finanza avrebbero dovuto tenere conto, ai fini della quantificazione delle scorte in magazzino, del c.d. sfrido o spreco delle merci utilizzate per la realizzazione degli impianti e per l ‘ attività di riparazione posta in essere dalla fallita; sicché alcuna merce, disfatta perché improduttiva, sarebbe stata erroneamente considerata merce distratta.
A tali rilievi la sentenza impugnata ha risposto ribadendo, sinteticamente, che, nel 2010, la rimanenza finale della merce, dopo l ‘ arresto di Correale, era risultata pari a 308.600 euro, scesa, nel 2011, a 214.343 euro e, nel 2012, a 159.227 euro; ma che, tuttavia, al momento delle operazioni di inventario, la merce rinvenuta aveva un valore totale di 55.260 euro. In ogni caso, facendosi carico dei rilievi del consulente della Difesa, NOME COGNOME, circa presunti errori nelle operazioni di calcolo delle rimanenze finali, i Giudici di merito hanno osservato che anche applicando la metodologia suggerita dallo stesso consulente lo scarto tra il valore
delle rimanenze finali attestate dalla documentazione societaria (pari a 125.299,65 euro) e il valore di quelle rinvenute in sede di inventario (pari a 55.260,00 euro), pur più contenuto rispetto a quanto riferito dai testi dell ‘ Accusa, risultava comunque significativo.
Rispetto a tale pur succinta motivazione, con il ricorso per cassazione la Difesa dell ‘ imputato si è limitata a ribadire il contenuto delle censure dedotte con l ‘ atto di appello, senza però fare seguire all ‘ esposizione di esse la esplicazione della loro specifica rilevanza rispetto alla ricostruzione accolta dai Giudici di merito o della capacità di confutarla sul piano dei contenuti valutativi. Pertanto, le considerazioni difensive si risolvono nella evocazione di circostanze fattuali, rimaste estranee al perimetro della motivazione, con cui esse non si confrontano realmente, contestando la fondatezza della decisione a partire da parametri tecnici di cui si assume, del tutto apoditticamente, la maggiore idoneità a determinare il valore dei beni. Ne consegue l’inammissibilità delle relative doglianze.
2.2. Venendo alla seconda questione, relativa alla configurabilità degli ulteriori elementi della fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione, osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha condivisibilmente ritenuto, una volta dimostrata la mancanza, al momento della redazione dell ‘ inventario fallimentare, di beni aziendali che avrebbero dovuto essere rivenuti dalla curatela, che essi fossero stati oggetto di distrazione o fossero stati, comunque, occultati. Tale conclusione è coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova della distrazione o dell ‘ occultamento può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell ‘ amministratore, della destinazione dei beni aziendali dei quali sia stata accertata la preesistenza nel suo patrimonio, ma che non siano stati rinvenuti durante l ‘ inventario redatto dopo la dichiarazione di fallimento ( ex plurimis Sez. 5, n. 13528 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269721 – 01). Ciò alla luce della sua peculiare posizione giuridica, gravando sull ‘ amministrazione una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, essendo egli in possesso della relativa documentazione contabile, vivendo in prima persona le dinamiche della società e trovandosi, quindi, nelle migliori condizioni per fornire la spiegazione in ordine al destino dei beni eventualmente mancanti. E ‘ , peraltro, evidente che, una volta ritenuto dimostrato l ‘ avvenuto occultamento dei beni, questo abbia determinato una situazione di concreto pericolo in relazione al depauperamento dell ‘ area di garanzia dei creditori, rispetto alla quale, peraltro, l ‘ appello non aveva nemmeno dedotto specifiche censure. Quanto, infine, all ‘ elemento soggettivo, consistente nel dolo generico, ovvero nella consapevolezza della incidenza, in relazione alla concreta situazione della società, dell ‘ atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805 – 01), anche rispetto ad esso le censure sviluppate dalla difesa nel primo atto di impugnazione erano del tutto generiche,
sicché la sintetica affermazione della configurabilità dell ‘ elemento soggettivo non può essere in questa sede censurata.
Una volta accertata la mancanza dei beni aziendali e affermata, di conseguenza, l ‘ avvenuta distrazione o comunque l ‘ occultamento degli stessi e la consapevolezza, in capo all ‘ amministratore, dell ‘ oggettiva incidenza di tale condotta sull ‘ area della garanzia patrimoniale dei creditori, è del tutto evidente l ‘ irrilevanza di quanto dedotto con l ‘ atto di appello in ordine al fatto che, come attestato nella relazione del curatore fallimentare, i soci mantenessero in ordine le scritture contabili della società; che il grosso dei debiti della società fosse nei confronti dell ‘ erario e che i debiti verso i fornitori fossero di poco conto; che i creditori senza privilegi verso la fallita avessero chiesto il pagamento di un importo inferiore a quello indicato nel capo di imputazione.
2.3. Venendo, infine, alla questione relativa riferibilità all ‘ imputato dei fatti distrattivi, con l ‘ atto di appello la Difesa dell ‘ imputato aveva dedotto che, all ‘ udienza del 18 ottobre 2016, i testi COGNOME e COGNOME avevano riferito di essersi sempre rapportati con NOME COGNOME, spiegando come fosse costui a occuparsi della gestione amministrativa della società fallita, laddove COGNOME si sarebbe occupato unicamente della gestione dei cantieri e degli operai; e che la versione dei testimoni era stata confermata, all ‘ udienza del 31 gennaio 2017, dallo stesso COGNOME, il quale aveva ammesso di occuparsi della parte amministrativa «con i rappresentanti, con le aziende, con le banche, tutto quanto riguardava documenti per incassi e tutto» e che COGNOME «guardava tutta la parte … operai, diciamo, e cantieri, andava sui cantieri con gli operai e curava tutto questo…».
Tali argomentazioni sono, tuttavia, aspecifiche, non confrontandosi in alcun modo con il decisivo passaggio della sentenza impugnata nella quale si è ritenuto che dopo l ‘ arresto di COGNOME, avvenuto nel dicembre 2010, della gestione della società si era, comunque, occupato COGNOME e che, anzi, una delle cause fondamentali del dissesto era dovuta al fatto che l ‘ imputato non era riuscito a farsi carico delle responsabilità gestorie proprio a causa del venir meno dell ‘ apporto in precedenza garantito dallo stesso COGNOME. Dunque, collocandosi le condotte distrattive, secondo la ricostruzione accolta in sentenza, dopo la cessazione del ruolo di attiva gestione della società da parte di COGNOME e in un momento prossimo al fallimento, la responsabilità ascritta a COGNOME è stata ricostruita sulla base di considerazioni logicamente ineccepibili. Viceversa, alcuni dei rilievi sviluppati nell ‘ atto di appello si rivelano del tutto eccentrici rispetto alla traiettoria del discorso giustificativo delle due sentenze: è il caso dell ‘ osservazione secondo cui, già dal 2007, la società aveva ridotto progressivamente l ‘ acquisto di merci e che questo fatto era sintomatico della sua difficoltà finanziaria, nonché di quella secondo cui nel 2011, immediatamente dopo l ‘ arresto di COGNOME, avvenuto nel dicembre 2010, il valore dei beni acquistati dalla società era pari ad appena
15.470,91 euro e che la società non aveva acquistato alcun bene nel 2012. Entrambe le osservazioni, infatti, non sono in alcun modo pertinenti rispetto al mancato rinvenimento, al momento dell ‘ inventario, di beni aziendali che avrebbero dovuto essere presenti e che, in assenza di qualunque giustificazione sul punto da parte dell’amministratore , sono stati ritenuti oggetto di distrazione o, comunque, di occultamento.
Fondato è, invece, il secondo motivo, con cui il ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3.1. Va premesso che la valutazione relativa al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche previste dall ‘ art. 62bis cod. pen. si configura come un giudizio rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale è tenuto a motivare la propria scelta nei soli limiti in cui ciò sia funzionale a fare emergere l ‘ avvenuto scrutinio della congruità della pena in concreto inflitta alla reale gravità del reato e alla personalità dell ‘ imputato (v. tra le tante Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 – 01; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, COGNOME, Rv. 230591 – 01; più recentemente v. Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057 – 01). In questa prospettiva, il giudice, se si determina per il mancato riconoscimento delle attenuanti in parola, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall ‘ imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l ‘ uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l ‘ indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di cui all ‘ art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01), senza che, peraltro, sia necessario che li esamini tutti, potendo limitarsi a specificare a quali, tra essi, egli abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (v., ex plurimis , Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 – 01).
3.2. Nel caso in esame, con l ‘ atto di appello la Difesa dell ‘ imputato aveva dedotto, a fondamento delle censure mosse con l ‘ atto di appello, che COGNOME si era sottoposto ad esame rispondendo a tutte le domande postegli e che aveva prestato la massima collaborazione anche prima della fase dibattimentale, come confermato dalla curatrice fallimentare.
A fronte di tali specifiche doglianze, la Corte territoriale, nel respingere il relativo motivo di impugnazione, ha fatto generico riferimento alle «modalità del fatto» e alla «personalità del reo», senza peraltro dettagliare a quali profili specifici essa abbia inteso, in tal modo, dare rilievo, incorrendo, di conseguenza, in una motivazione sostanzialmente apparente.
Né può ritenersi soddisfacente, sul piano della giustificazione della relativa decisione, l ‘ affermazione secondo cui l ‘ imputato non avrebbe tenuto, durante lo svolgimento della vicenda processuale, alcun comportamento positivamente valutabile, trattandosi di affermazione apodittica che, ancora una volta, non fornisce una specifica risposta alle deduzioni difensive formulate con l ‘ atto di appello. In proposito, va anche osservato che l ‘ assenza di un comportamento positivamente valutabile non potrebbe nemmeno argomentarsi a partire da una mancata ammissione degli addebiti, essendo stato condivisibilmente affermato che una tale condizione possa ravvisarsi quando l ‘ imputato abbia reso dichiarazioni false, ma non quando, come nel caso di specie, abbia legittimamente fatto ricorso alle proprie facoltà difensive (Sez. 4, n. 5594 del 04/10/2022, dep. 2023, COGNOME , Rv. 284189 – 01; Sez. 5, n. 32422 del 24/09/2020, COGNOME Rv. 279778 – 01; Sez. 3, n. 3396 del 23/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268927 – 01; Sez. 3, n. 50565 del 29/10/2015, COGNOME, Rv. 265592 – 01).
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Nel resto, il ricorso deve essere, invece, rigettato.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in data 7 luglio 2025