Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13625 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13625 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per l’imputata, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 9 dicembre 2022 dalla Corte di appello di Bologna, che ha riformato – riducendo la durata delle pene accessorie e revocando le statuizioni civili – la sentenza del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Bologna, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e bancarotta semplice, in relazione al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 7 febbra 2017.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputata – nella qualità di amministratrice unica – avrebbe distratto la somma di euro 95.725,42, che costituiva il saldo in cassa risultante dall’ultimo bilancio depositato. Avrebbe, inoltre, aggravato il dissesto della società, astenendosi dal richiedere il fallimento agli inizi del 2015, periodo in cui già si era palesata la gravità de dissesto economico finanziario.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, articolato con specifico riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e 217 legge fall.
Sostiene che il mancato rinvenimento del saldo di cassa non sarebbe dovuto a una distrazione delle somme di danaro, bensì alla mancata annotazione nelle scritture contabili della destinazione di tali somme al pagamento dei fornitori e del personale. La difesa, con la documentazione prodotta, avrebbe dimostrato la destinazione di gran parte delle somme in questione a esigenze proprie della società. La differenza tra quanto documentato dalla difesa e quanto risultato privo di giustificativi – pari a soli euro 12.000,00 – sarebbe stata poi versata dall’imputata alla curatela, all’esito di accordo transattivo.
In considerazioni di tali circostanze, la ricorrente sostiene che, al massimo, l’imputata potrebbe rispondere di bancarotta semplice docurnentale, per mera negligenza formale nella tenuta delle scritture contabili.
Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe assente sia in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 219 legge fall., che in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 521 cod. proc. pen. e 219 legge fall.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero violato il principio di correlazione tra imputazione e sentenza, avendo applicato l’aggravante di Clli all’art. 219 legge fati., che non sarebbe stata mai specificamente contestata. Sul punto, che era stato anche oggetto di specifico motivo di gravame, la Corte di appello non avrebbe motivato; così come non avrebbe motivato in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità.
2.3. Con un terzo motivo, articolato con specifico riferimento alla bancarotta semplice, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale.
Contesta la sentenza impugnata, poiché la Corte di appello, facendo acriticamente propria la ricostruzione del curatore, avrebbe retrodatato lo stato di insolvenza della società a fine 2014 e dunque a un periodo anteriore alla data della dichiarazione di fallimento, senza tener conto di una serie di elementi e valutazioni che erano stati evidenziati dalla difesa. In particolare, non avrebbe tenuto conto che: l’attività imprenditoriale era iniziata solo il 29 aprile 2013 e aveva dunque bisogno del tempo necessario per avviarsi; il bilancio del 2013 non potrebbe essere significativo, essendo relativo a un anno di transizione per la neonata impresa; gli unici dati significativi potrebbero essere desunti dai bilanci del 2014 e del 2015, dai quali risultava che un’impresa priva di avviamento aveva avuto una buona risposta da parte della clientela e ottenuto ricavi che facevano ben sperare; il bilancio 2016 non era stato depositato in quanto la società era fallita il 7 febbraio 2017.
La ricorrente, inoltre, evidenzia che gli artt. 2484, 2447 e 2482 cod. civ. prevedono che il “sottosoglia” non necessariamente determini lo scioglimento della società, concedendo l’alternativa della trasformazione. Sostiene, infine, che sarebbe poco rilevante, ai fini dello stato di insolvenza, l’omessa appostazione in bilancio degli ammortamenti, atteso che essi sono costi non monetari.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere il beneficio della sospensione condizionale della pena, atteso che: i precedenti penali a carico dell’imputata non sarebbero particolarmente significativi; dopo la commissione dei reati oggetto del presente processo, l’imputata avrebbe tenuto un comportamento positivamente apprezzabile, arrivando a una transazione con la curatela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Con riferimento alla distrazione delle somme, la ricorrente, invero, ha articolato censure che, pur essendo state da lei riferite alle categorie del vizio di motivazione e del vizio di inosservanza della legge, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., sono all’evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va, in ogni caso, rilevato che la Corte di appello ha reso, in ordine alle condotte distrattive, una motivazione adeguata, rispetto alla quale la ricorrente non ha evidenziato specifici travisamenti di prova o vizi logici determinanti.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto ampiamente dimostrata la distrazione della somma di euro 95.725,42 sulla base delle dichiarazioni rese dal curatore e della relazione da lui redatta.
Quanto alla documentazione prodotta dalla difesa, la Corte territoriale ha ritenuto che essa fosse del tutto inidonea a dimostrare che le somme in questione fossero state destinate a finalità coerenti con l’oggetto sociale, anche perché essa non consentiva in alcun modo di distinguere tra denaro personale dell’imputata e denaro della società.
Del tutto infondata è la censura relativa alla mancata motivazione in ordine alle circostanze del reato. Sul punto, infatti, la Corte territoriale ha re motivazione adeguata e priva di vizi logici, applicando l’aggravante in considerazione di più fatti di bancarotta e ritenendo di non riconoscere la circostanza attenuante invocata dalla difesa, atteso il rilevante importo delle somme distratte.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Con riferimento all’aggravante di cui all’art. 219 legge fall., va ribadito che «in tema di reati fallimentari, la cd. continuazione fallimentare tra più fatti d bancarotta non richiede la formale contestazione dell’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., in quanto l’utilizzazione dell’istituto si risolve esclusivamen nell’applicazione di una disciplina più favorevole di quella che deriverebbe dalle regole generali in tema di determinazione della pena nel caso di pluralità di reati» (Sez. 5, n. 17799 del 01/04/2022, COGNOME, Rv. 283253).
Quanto all’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, va ribadito che la Corte di appello ha adeguatamente motivato, evidenziando che essa non potesse essere riconosciuta in considerazione del rilevante importo delle somme distratte.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 7 della sentenza), con le quali la ricorrente non si è effettivamente confrontata.
In particolare, la Corte di appello ha ritenuto poco significative le argomentazioni addotte dalla difesa, atteso che, dalla relazione del curatore e dall’analisi dei bilanci, emergeva che l’imputata aveva determinato un evidente aggravamento del dissesto economico finanziario della società, astenendosi dal
richiedere il fallimento e continuando a fare operare la società, nonostante, nel corso dell’esercizio dell’anno 2014, il capitale sociale fosse già al di sotto del minimo legale e il patrimonio netto risultasse significativamente negativo.
Si tratta di motivazione corretta in diritto e prima di vizi logici, con la quale l ricorrente non si è effettivamente confrontata, limitandosi a riproporre argomentazioni generiche e poco conferenti, già valutate dalla Corte territoriale.
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, atteso che i giudici di merito, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, hanno ritenuto che non si potesse presumere l’insussistenza del pericolo di “recidiva”, basando la prognosi sui precedenti penali dell’imputata e, in particolare, sulla precedente condanna per truffa. Al riguardo, occorre ribadire che, «in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalen in senso ostativo alla sospensione» (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087; Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206).
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 15 dicembre 2023.