Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34675 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34675 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VIGEVANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CARATE BRIANZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIMERCATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria scritta e conclude per l’inammissibilità d ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta al ricorso e insiste nell’accoglimento.
o( L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per 4 4 1-e-o 1/0
RITENUTO IN FATTO
GLYPH NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME sono stati condannati dalla Corte d’Appello di Milano perché, in concorso tra loro, distraevano il software denominato “E-Catalog” (alias Epix) di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE” ( in appresso solo RAGIONE_SOCIALE), società fallit 14/3/2016, in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata dal COGNOME, vendendo alla stessa il predetto software al prezzo di euro 470.000,00 senza incassare il corrispettivo (capb A.1.4.) e «perché concorrevano a cagionare il fallimento della società, procurandosi disponibilità finanziarie mediante operazioni dolose consistite nel sistematico omesso versamento delle imposte erariali e dei contributi previdenziali, per un ammontare complessivo accertato di euro 797.286,61 pari al 64% circa del passivo fallimentare pari ad euro 1.253.240» (capo A.3). Il delitto di cui al capo B, ascritto solo a NOME COGNOME, è stato dichiarato estinto per prescrizione e l’imputato è stato condannato anche per la distrazione di arredi di ufficio di proprietà della falli (capo A.1.3.).
Secondo la prospettazione accusatoria, accolta da entrambe le sentenze di merito:
il COGNOME ha rivesto la qualifica di Presidente del c.d.a. della fallita 18.11.2011 al 6.2.2014 e quella amministratore di fatto sino al fallimento;
il COGNOME ha rivesto la qualifica di A.d. della fallita dal 7.12.2011 al 6.2.2014 e quella di amministratore di fatto sino al fallimento;
il COGNOME RAGIONE_SOCIALEU. della fallita dal 6.2.2014 al 23.12.2014.
Il fatto addebitato ai ricorrenti di cui al capo A.3 è stato così ricostru nelle sentenze di merito sulla base della relazione del curatore.
La società fallita ha sempre avuto, quale oggetto sociale, la consulenza informatica e lo sviluppo di software e lo stato di insolvenza era verificabile dal 2012. Il capitale sociale alla data del fallimento era detenuto per intero dall RAGIONE_SOCIALE, mentre fino al 30 gennaio 2014 il socio di maggioranza era la RAGIONE_SOCIALE amministrata dal COGNOME.
La società fallita faceva parte di un gruppo a capo del quale vi era la RAGIONE_SOCIALE, amministrata dall’imputato COGNOME che, nel 2012, «cedeva l’intero capitale alla RAGIONE_SOCIALE» (così pag. 3 della sentenza di primo grado). La RAGIONE_SOCIALE era una società finanziaria detenuta per il 60% dall’imputato COGNOME e da questo amministrata da luglio 2014 ad aprile 2015
Con atto notarile del 30.1.2014, con il diretto e personale coinvolgimento dei tre imputati, conformemente a quanto convenuto con il preliminare del 27.12.2013, la RAGIONE_SOCIALE cedeva quote rappresentative del 66,93% del capitale della società fallita a COGNOME NOME che acquistava per la RAGIONE_SOCIALE (di c
deteneva il 60% del capitale e che ne era amministratore) al prezzo di C560.000,00. Alla data del fallimento il capitale sociale della fallita era detenuto al 100% dalla RAGIONE_SOCIALE che quindi diveniva socio unico della fallita (pag. 3 sen di primo grado) .
La RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal COGNOME, contemporaneamente cedeva i diritti proprietà intellettuale, marchio e brevetto del software Epix, (core business dell’impresa sociale) alla RAGIONE_SOCIALE per il prezzo di C 470.000 oltre IVA, che rilasciava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE una licenza di uso interno e d commercializzazione della piattaforma; il pagamento del prezzo, detratta l’Iva (asseritamente pagata con compensazioni di crediti), avveniva mediante accollo esterno da parte della RAGIONE_SOCIALE con liberazione della RAGIONE_SOCIALE del debito 470.000 euro che questa aveva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del prezzo del software.
A seguito e per effetto di questa complessa operazione il principale cespite della RAGIONE_SOCIALE, si ritiene nelle sentenze di merito, veniva dismesso senza corrispettivo.
Tutti gli imputati propongono ricorso per cassazione.
Ricorso di NOME COGNOME.
L’imputato affida il proprio ricorso a sei motivi, qui riportati ai sen dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Con il primo motivo si duole dell’ inosservanza della legge e della mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e lamenta che i giudici di merito sono pervenuti alla conforme decisione di condanna sulla base di una differente motivazione: mentre il Tribunale ha ritenuto simulata la cessione, la Corte d’appello ha impropriamente richiamato l’istituto dalla compensazione in quanto, detenendo la RAGIONE_SOCIALE l’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, si era determinata l’estinzione per compensazione del debito di euro 470.000 che la prima aveva maturato verso la seconda (derivante dal citato accollo con liberazione dell’acquirente RAGIONE_SOCIALE). Osserva il ricorrente stigmatizzando l’erronea qualificazione giuridica operata dalla Corte d’appello, che questa avrebbe dimenticato, nell’offrire siffatta ricostruzione, che la RAGIONE_SOCIALE pur avendo acquistato l’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, aveva comunque conservato la propria soggettività giuridica, diversa da quella della fallita, per c non era ipotizzabile né la confusione né tantomeno la compensazione non sussistendo tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE reciproche posizioni creditorie e debitor La RAGIONE_SOCIALE era infatti obbligata verso la RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto delle q della RAGIONE_SOCIALE e ha adempiuto a tale debito accollandosi il debito di RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto del software.
Ciò che si era verificato, ad avviso dell’imputato, era esclusivamente la rinunzia al proprio credito fatta effettuare alla RAGIONE_SOCIALE dal nuovo amministratore, l’imputato COGNOME, a favore della RAGIONE_SOCIALE, società a quest’ulti riconducibile con scrittura privata successiva all’atto notarile. Tale operazione, dunque, sarebbe del tutto estranea al COGNOME.
3.2. Con il secondo motivo censura l’omesso confronto della Corte distrettuale rispetto alle censure difensive fatte valere con l’appello là dove s evidenziava che, a seguito della cessione, erano stati stipulati due contratti tra l nuova acquirente RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE in virtù dei quali quest’ultima poteva proseguire nello svolgimento della propria attività principale di fornitura di servi di assistenza e manutenzione del software “E-Catalog” nei confronti dei propri clienti. La RAGIONE_SOCIALE quindi poteva proseguire nella propria attività di assistenza manutenzione del software.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’elemento psicologico in relazione al reato di bancarotta distrattiva (capo A.1.4.) poiché l’unico evento distrattivo consistito nella remissione del debito (con atto intitolato cessione credito) è stato posto in essere solo dall’imputato COGNOME successivamente alla conclusione del contratto del 30 gennaio 2014 che prevedeva esclusivamente la cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e l’accollo liberatorio da par della RAGIONE_SOCIALE del debito della RAGIONE_SOCIALE.
3.4. Con il quarto motivo si duole dell’ inosservanza della legge e della mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta impropria (capo A.3). Deduce che i giudici di merito hanno valorizzato la sistematica omissione del versamento delle imposte e dei contributi previdenziali della RAGIONE_SOCIALE a partire dal 2009 fino a tutto il 2013 e hanno ritenuto l’irrilevanza del reiter ricorso alla rateizzazione del debito sostenendo che la complessiva esposizione debitoria per debiti fiscali era andata aumentando in corso del tempo e anche successivamente all’ammissione dei piani di rientro. Sottolinea, quindi, che pur avendo la Corte d’appello escluso qualsivoglia responsabilità del COGNOME per i fatti successivi alla vendita delle quote sociali del 30 gennaio 2014, non ha, però, poi considerato che l’adempimento dei piani di rientro con il fisco non poteva più rientrare sotto la sua sfera di controllo essendo divenuto effettivo legale rappresentante della fallita il COGNOME. In ogni caso, osserva il ricorrente, la c di liquidità era precedente all’assunzione della carica da parte sua e la Corte d’appello sarebbe incorsa in contraddizione là dove, pur riconoscendo in capo al COGNOME la volontà di adempiere, attestata dai ravvedimenti e dalle istanze di rateizzazione poste in essere, illogicamente ha poi ritenuto sussistente la
bancarotta contestata anche sul piano soggettivo. La crisi di liquidità, i rateizzi i ravvedimenti posti in essere non consentirebbero di ritenere configurabile in capo al COGNOME alcuna consapevolezza o volontà della natura dolosa delle omesse contribuzioni fiscali e previdenziali e tantomeno l’astratta prevedibilità dell’ aggravamento del dissesto, posto che tali procedure di ravvedimento miravano proprio ad evitare siffatta eventualità.
3.5. Con il quinto motivo si duole dell’ inosservanza della legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti rispetto alla contestata aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta.
3.6. Con il sesto motivo si duole del contrasto tra dispositivo e sentenza in quanto nella motivazione la Corte d’appello ha ritenuto di commisurare la durata delle pene accessorie alla pena principale irrogata in anni tre di reclusione mentre nel dispositivo ha confermato il trattamento sanzionatorio di cui alla sentenza di primo grado là dove si stabilisce una durata dell’interdizione dai pubblici uffici di anni cinque.
Ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME
I ricorrenti propongono i loro ricorsi con un unico atto.
4.1. Con il primo motivo, comune a COGNOME e a COGNOME, si deduce che alla data delle scritture che si riferiscono alla gestione delle quote della RAGIONE_SOCIALE alla cessione delle partite debitorie e creditizie il COGNOME non ricopriva alcun carica di amministratore di diritto, unica qualità contestatagli nel capo d imputazione e riconosciutagli nella sentenza di primo grado confermata in parte qua dalla Corte d’appello.
4.1.1. Il COGNOME deduce, altresì, che non è stato comprovato l’effettivo concorso nell’operazione intesa come fraudolenta. Deduce che a lui non sono stati addebitati fatti di gestione societaria che giustifichino un’amministrazione d fatto preliminare all’assunzione della carica di diritto e che il generico richiam contenuto nelle sentenze di merito a un suo esercizio sostanziale delle funzioni tipiche dell’amministratore di diritto è rimasta una mera enunciazione del tutto apodittica. Vi sarebbe quindi una vera e propria violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenze e una violazione del diritto di difesa in quanto la ricostruzione effettuata dai Giudici di merito sarebbe del tutto difforme da quella di cui al capo di imputazione.
4.1.2. In ordine all’ ipotesi di reato contestata osservano i due ricorrenti che l’operazione loro imputata non può essere considerata né dissipativa né distrattiva in quanto si tratta di un’operazione con cui è stata chiusa una partita contabile tra RAGIONE_SOCIALE e tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE La La trasferito al prezzo concordato il software e non vi è stata movimentazione di
denaro poiché il paritetico credito emergente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE era stato ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE. Successivamente quando la RAGIONE_SOCIALE ha ceduto alla RAGIONE_SOCIALE le quote della RAGIONE_SOCIALE, il debito di questa derivante da acquisto è stato compensato con il credito derivante dalla cessione del software.
4.1.3. Ravvisano poi violazione di legge, anche civilistica, nonché la carenza e illogicità della motivazione nella parte della motivazione in cui si afferma che la principale risorsa della RAGIONE_SOCIALE era costituita dal software in questione in quanto i diritti proprietari relativi aquest’ultimo erano appostati nel voce immobilizzazioni immateriali per euro 386.985. Deducono quindi che tale affermazione sarebbe violativa della legge anche civilistica in quanto l’appostazione della voce del software nelle immobilizzazioni materiali non indicherebbe il valore del software, ma rappresenterebbe il costo sostenuto per la sua realizzazione e, negli anni, il suo ammortamento. Non sarebbe pertanto stato minimamente dimostrato che negli anni 2013-2014 il software costituiva la risorsa principale dell’attività sociale, circostanza questa che risulterebb smentita non solo da una corretta lettura dei dati contabili, ma anche dalle dichiarazioni dei testi che avevano confermato che tale software non serviva più.
4.1.4. La sentenza difetterebbe anche nell’individuazione dell’elemento psicologico in quanto il COGNOME aveva la volontà di acquisire la società finalizzando la sua ristrutturazione. Il suo interesse imprenditoriale era quello d riqualificare l’azienda al fine di trarre un successivo guadagno dalla futura vendita. La dichiarazione di fallimento era intervenuta dopo circa un anno e mezzo dalla sua cessazione della carica e dopo la messa in RAGIONE_SOCIALE.
4.1.5. Il COGNOME, invece, in quanto ideatore e sviluppatore del medesimo software aveva la certezza che lo stesso era ormai privo di valore e utilità per la società e, quindi, l’operazione si palesava per lui vantaggiosa. Egli inoltre aveva un’incidenza decisionale minima in quanto socio solo al 10% della RAGIONE_SOCIALE e totalmente estraneo alla gestione patrimoniale fiscale e amministrativa la società che era tutta demandata al COGNOME che deteneva il 90% delle quote. La dichiarazione di fallimento poi è intervenuta oltre due anni dopo la cessazione della carica di amministratore di diritto da parte sua. La Corte d’appello avrebbe ignorato le difese degli imputati senza dare conto delle loro censure in ordine all’elemento psicologico.
5. Con il secondo motivo (capo A.3) si lamenta l’erronea applicazione della legge. Si deduce che il debito erariale si era evidenziato nel 2011 per raggiungere quindi il picco nel 2012 e che il COGNOME era stato rassicurato dal COGNOME del controllo della situazione attraverso il pagamento secondo il piano di rateizzazione. Non sarebbe stato provato il dolo del COGNOME che, non avendo il controllo della gestione amministrativa e contabile della società, era in completa
buona fede. La Corte d’appello, quindi, avrebbe attribuito al COGNOME una sorta di responsabilità oggettiva.
Il ricorrente COGNOME propone il terzo motivo con riferimento al punto A.1.3 dell’imputazione relativa alla distrazione degli arredi di ufficio in relazio alla quale contesta l’erronea applicazione della legge fallimentare e il correlato vizio di motivazione attesa l’assenza della prova del dolo.
Con il quarto motivo, comune a entrambi i ricorrenti, si lamenta l’erronea applicazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio
Con il quinto motivo, infine, anch’esso comune a entrambi i ricorrenti, si deduce la nullità della sentenza in relazione ai reati contestati per inesistenz omessa ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie nonché per omessa motivazione, contraddittorietà della stessa e illogicità essendo stati erroneamente ricostruiti i fatti con particolare riferimento alla ritenu sussistenza degli elementi costitutivi dei reati addebitati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere accolti nei limiti di quanto appresso ritenuto.
Ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Non coglie nel segno il ricorrente con le doglianze poste a fondamento del primo motivo di ricorso.
Ed invero, il risultato saliente, che porta a qualificare l’operazion architettata – a cui hanno partecipato tutti e tre gli imputati – pacificamente distrattiva, consta di una serie di contratti tra loro “sapientemente” collegati:
vendita da parte della RAGIONE_SOCIALE «in un periodo in cui la situazione economica della fallita era divenuta insostenibile» (così alla pag. 19 della sentenza impugnata), di tutti i diritti sul software E-catalog (già Efix), principale cespite patrimoniale, alla capogruppo RAGIONE_SOCIALE per il prezzo di C 470.000 oltre IVA;
vendita dalla RAGIONE_SOCIALE della sua intera partecipazione sociale nella RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, al prezzo di complessivi euro 560.000,00 il cui pagamento veniva così regolato: euro 90.000,00 in quattro rate mensili di pari importo ed euro 470.000,00 mediante accollo esterno liberatorio e non cumulativo del debito della RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE (per effetto della vendita del software) co adesione di quest’ultima ai sensi e per gli effetti di cui all’ art. 1273, comma cod. civ.; (così dalla scrittura privata autenticata nelle firme dal AVV_NOTAIO il gennaio 2014 che, in premessa, contiene il riferimento alla predetta cessione del software;
contestuale cessione, a mezzo della predetta scrittura privata, da parte di COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE della sua intera partecipazione sociale nella RAGIONE_SOCIALE al
prezzo di euro 10.000,00 da versarsi in quattro rate mensili consecutive e di pari importo.
Corretta e immune da vizi di illogicità manifesta è la motivazione nella parte in cui sottolinea che per effetto di tale operazione la RAGIONE_SOCIALE è sta liberata interamente della sua posizione debitoria di cui si è fatta carico per intero la RAGIONE_SOCIALE che, quindi, avendo acquisito ptel~.fe, la titolarità dell’intero capitale sociale della creditrice RAGIONE_SOCIALE, è risultata essere titolare anche, nel sostanza, del corrispondente credito con la conseguenza – concreta – che il software della RAGIONE_SOCIALE è stato trasferito senza che nel patrimonio di questa sia stato introitato il corrispettivo pattuito. La società fallita è stata q tangibilmente depauperata dell’ammontare del credito, effettivo, vantato verso la RAGIONE_SOCIALE con conseguente violazione dei diritti vantati dai suoi creditori.
Nessun dubbio quindi sussiste in ordine alla finalità distrattiva dell’intera complessa operazione posto che la nozione dì distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene, attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf. Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486), ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, 7555 del 30/01/2006, COGNOME, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, COGNOME, Rv. 203006). Tale ultima definizione rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche residuale, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto (diverso dall’occultamento o dalla dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passività inesistenti), determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, COGNOME, Rv. 179047; conf. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, COGNOME, Rv. 165673). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In applicazione di siffatti principi e in considerazione del risulta raggiunto, la lamentata erronea qualificazione giuridica dei negozi giuridici che hanno consentito la realizzazione della complessa operazione effettuata non intacca la sostanziale logicità e correttezza della motivazione, non potendosi dubitare della sussistenza dello scopo evidentemente distrattivo dell’operazione
congegnata che, come evidenziano i giudici di merito, ha portato alla fuoriuscita del patrimonio societario della fallita RAGIONE_SOCIALE la piattaforma informatica Efix senz un’adeguata contropartita.
Il dolo del reato di bancarotta per distrazione è solo generico. In tale delitto è centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato d pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562;Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763). I giudici di merito, nella specie, hanno accertato l’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo, nonché l’elemento soggettivo, rappresentato dal dolo generico, valorizzando, quale “indice di fraudolenza”, non solo la condizione patrimoniale e finanziaria della RAGIONE_SOCIALE divenuta all’epoca del trasferimento insostenibile, ma anche il «personale e sinergico coinvolgimento di tutti gli imputati» e, con riferimento precipuo alla posizione del COGNOME, la registrazione «già nell’ottobre 2013 a nome di RAGIONE_SOCIALE il dominio EMAILit secondo quanto riferito dal tecnico COGNOME NOME, escusso nel dibattimento
come testimone, che aveva rilevato la pubblicizzazione dello stesso software appartenente alla RAGIONE_SOCIALE essendo comprovato dalla documentazione prodotta dalla difesa di parte civile che COGNOME era amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE».
1.4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato e per certi versi inammissibile.
Con il ricorso in appello, dopo il richiamo allo nozione di dolo nella bancarotta fraudolenta che «deve concretizzarsi nella decisione cosciente e volontaria di non versare i contributi e di destinare tali somme agli amministratori, ovvero ad altri soggetti in frode ai creditori, ovvero pe operazioni che contribuiscano ad aumentare il dissesto la società» il ricorrente deduce che, trovandosi la società fallita in evidenti difficoltà economiche già dal 2008 ed essendo state presentate istanze di rateizzazione, «non sussisterebbero elementi chiari ed inequivoci che dimostrino che COGNOME NOME abbia omesso proprio il versamento di tasse e imposte al fine di perseguire obiettivi vietati dalla legge» con riferimento in ogni caso a condotte precedenti a gennaio 2014.
A tali rilievi la Corte d’appello ha fornito una risposta esaustiva e priva d aporie argomentative avendo evidenziato in primo luogo, valorizzando i principi espressi da questa Corte in argomento, che nella fattispecie criminosa contestata (bancarotta impropria per cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose) «l’elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azion antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare. Deve, infatti, reputarsi sufficiente, per la configurabilità del reato in question rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della societ (ex multis, Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rampino, Rv. 262207- 01). In altri termini, il fallimento conseguente a operazioni dolose è solo l’effetto di un condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione abbia accettato il rischio che esso si verifichi.
La Corte, quindi, ha fatto buon governo del principio, secondo il quale, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti
dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337) e ha correttamente evidenziato che la generale omissione di ogni versamento tributario e contributivo «non può essere deresponsabilizzato a mezzo del reiterato ricorso alle rateizzazioni del debito e alle procedure di ravvedimento previste dalla normativa fiscale che hanno costituito l’espediente impiegato dagli amministratori di RAGIONE_SOCIALE per procrastinare le iniziative esattorial del creditore erariale e proseguire nell’attività di impresa tanto che l complessiva esposizione debitoria per debiti fiscali e contributivi è andata aumentando in corso di tempo e anche successivamente all’ammissione ai piani di rientro».
1.5. Sfuggono al sindacato di questa Corte di legittimità le censure svolte dal ricorrente in ordine al diniego di prevalenza delle attenuanti generiche, giacché la Corte territoriale ha risposto, con argomentazioni logiche e coerenti, all’ analoga doglianza proposta con l’appello. Si è infatti sottolineato, co riferimento alla posizione del COGNOME, incensurato, la particolare gravità della condotta depauperativa del patrimonio della fallita e ciò è sufficiente per far ritenere immune da vizi la motivazione impugnata.
Ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME
I ricorsi avanzati dagli imputati con un unico atto sono infondati e debbono essere rigettati.
3.1. Con riferimento al primo motivo, occorre premettere, in ordine alla prima doglianza proposta dal COGNOME, che i giudici non si sono limitati ad affermare che l’imputato ricopriva la carica di amministratore unico della fallita nel periodo 6.2.2014-23.12.2014, ma hanno altresì evidenziato, con valutazione di fatto che, in quanto esauriente e non manifestamente illogica, sfugge al sindacato di questa Corte di legittimità, che questi era pienamente a conoscenza delle precedenti operazioni poste in essere dalla fallita «stante il suo coinvolgimento, nonché il rapporto con gli altri coimputati. Di tutta evidenza, dunque, le scelte che interessavano la Fallita venivano assunte di concerto con COGNOME e COGNOME». In altri termini e come era legittimo, secondo quanto appresso si dirà, il reato contestato come “proprio” al COGNOME, è stato ritenuto, con riferimento al periodo in cui questi non era ancora amministratore di diritto della fallita, a titolo di concorso dell'”extraneus” con gli altri imputati. N quindi ravvisabile la denunziata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza posto che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, si riscontra siffatta violazione quando il fatto ritenuto dal giudice sia mutato rispetto a quel contestato nella imputazione, nei suoi elementi essenziali, in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa. Tale evenienza non può però dirsi verificata nel caso di specie nel quale il reato è
rimasto addebitato anche a titolo di concorso personale. Deve in particolare rilevarsi che, con riferimento alla materia dei reati fallimentari, questa Corte si già espressa nello senso che non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, previsto dall’art 521 cod. proc. pen., la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, COGNOME, Rv 246100; Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003,COGNOME, Rv. 224842). Tale principio è applicabile alla fattispecie in esame in quanto sostanzialmente sovrapponibile a quella presupposta nelle decisioni sopra riportate. Deve dunque concludersi osservando che il reato di bancarotta distrattiva in concorso è stato attribuito all’imputato senza violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
La ricostruzione accreditata in sentenza, sulla base di dati di fatto e di considerazioni logiche, contiene in sé la negazione implicita, per incompatibilità, della fondatezza delle argomentazioni del COGNOME, posto che gli eventi sono stati concatenati tra loro, anche cronologicamente, in maniera tale da ritenere dimostrato che la vendita del software avvenne con l’intento di sottrare lo stesso alla fallita.
L’assenza di aporie logiche manifeste e la completezza della motivazione precludono l’esame delle ulteriori doglianze svolte dal ricorrente che sottendono l’esame di elementi di fatto non consentito a questa Corte di legittimità.
3.1.1. Le censure svolte da entrambi gli imputati, sempre con il primo motivo, concernenti l’ipotesi di reato contestato e la sussistenza dell’elemento soggettivo sono manifestamente infondate attesa le ricostruzione dell’operazione come sopra descritta e le considerazioni espresse in relazione alla posizione del COGNOME, considerazioni che valgono anche per il COGNOME e il COGNOME.
3.2. Sono infondate le censure sollevate con il secondo motivo con riferimento al reato di bancarotta impropria per cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose. Valgono per esse innanzitutto le considerazioni, che qui si intendono richiamate, svolte sopra in ordine alle doglianze proposte in proposito dal COGNOME. Con riferimento alla posizione del COGNOME poi, più specificatamente, si rileva che la Corte d’appello ha fornito un’ampia motivazione per confutare le ragioni poste a fondamento del ricorso, motivazione con cui il ricorrente non si confronta essendosi limitato a reiterare genericamente le medesime censure già proposte senza formulare alcuna critica costruttiva.
Parimenti infondate sono le doglianze svolte dal COGNOME con il terzo motivo. Ed invero il perno dell’affermazione di responsabilità dello stesso in ordine alla sottrazione degli arredi sta nel principio, assolutamente condiviso
dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di prova del delitto d bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e di valori societari, a disposizione dell’amministratore costituisce, qualora non sia da questi giustificato, valida presunzione della loro dolosa distrazione, probatoriannente rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato (tra le molte, Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710 – 01; Sez. 5, n. 3400 del 15/12/2004, dep. 2005, Sabino, Rv. 231411-01). Il ricorrente, pretendendo di sostenere la tesi della propria buona fede, anziché sostanziare la censura sul terreno della manifesta illogicità o della incompletezza della motivazione, finisce per prospettare una alternativa ricostruzione degli eventi ritenendo superabile, dal Giudice della legittimità, la valutazione, comunque del tutto plausibile e per nulla connotata da vizi di logica, effettuata dai Giudici del merito così mostrando di dimenticare che, in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimi operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745 – 01).
3.3. Il quarto motivo di ricorso con cui entrambi gli imputati lamentano l’erronea applicazione di legge con riferimento agli artt. 133 cod. pen. e 216 I.fall. è fondato limitatamente al vizio rielevato in relazione alla conferma del statuizioni accessorie e di cui si dirà di qui a breve.
Con riferimento all’eccessività del trattamento sanzionatorio e alla denegata prevalenza delle attenuanti generiche non può che rilevarsi la mancanza della necessaria specificità delle deduzioni svolte in quanto si reiterano censure già correttamente disattese dalla Corte di appello con rilievi dei quali i ricorrenti si disinteressano e comunque manifestamente infondate attesa la particolare gravità delle condotte depauperative di per sé idonee a legittimare le contestate statuizioni.
3.4. Manifestamente infondato infine è l’ultimo motivo di ricorso in quanto è volto a chiedere a questa Corte di legittimità una inammissibile, diversa lettura della ricostruzione dei fatti operata attraverso la piattaforma probatoria gi consolidata dai giudici di merito secondo lo schema della doppia pronuncia conforme, non incrinato da travisamenti della prova o illogicità di sorta.
Fondata è la censura sollevata da tutti i ricorrenti concernente la durata delle pene accessorie. Ed invero, la Corte d’appello nella motivazione ha affermato di voler commisurare la durata delle pene accessorie alla pena
principale applicata (anni tre di reclusione per tutti gli imputati), ma dispositivo della sentenza ha confermato il trattamento sanzionatorio prev dalla sentenza di primo grado che aveva stabilito la pena accessoria in cinque.
Da ciò discende, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sente impugnata, limitatamente al punto delle pene accessorie ex art. 216, ul comma, I. fall., che si determinano in anni tre.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle p accessorie fallimentari irrogate nei confronti degli imputati e le ridetermin durata di anni tre. Rigetta nel resto i ricorsi.
Roma, 24 maggio 2024