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Bancarotta fraudolenta: la distrazione del software

Una recente sentenza della Cassazione analizza un caso di bancarotta fraudolenta distrattiva, realizzato tramite una complessa operazione societaria che ha portato alla cessione del principale asset aziendale, un software, senza un reale corrispettivo. La Corte ha confermato le condanne, chiarendo che la finalità distrattiva di un’operazione prevale sulla sua forma giuridica, e che per la configurazione del reato è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di depauperare il patrimonio sociale a danno dei creditori.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta Distrattiva: Il Caso della Cessione del Software Aziendale

La tutela del patrimonio sociale è un pilastro del diritto commerciale, essenziale per garantire la stabilità dell’impresa e proteggere i diritti dei creditori. Quando questo patrimonio viene eroso attraverso operazioni illecite, si entra nel campo del diritto penale fallimentare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di bancarotta fraudolenta distrattiva, originato dalla cessione del principale asset di una società, un software, attraverso un’architettura finanziaria complessa che ne ha mascherato la natura illecita.

I Fatti di Causa: Un’Operazione Finanziaria Complessa

Il caso riguarda tre imputati, amministratori di diritto e di fatto di diverse società collegate, condannati per aver orchestrato un’operazione volta a spogliare una società informatica del suo bene più prezioso: un software gestionale.

L’operazione si è articolata in più passaggi:
1. La società, già in difficoltà finanziarie, ha venduto il software a una società ‘sorella’, amministrata da uno degli imputati, per un prezzo significativo.
2. Tuttavia, il pagamento non è mai stato incassato. La società acquirente del software, infatti, non ha versato il corrispettivo.
3. Contestualmente, un’altra società del gruppo, controllata da un altro imputato, ha acquistato le quote della società venditrice del software. Per pagare queste quote, si è accollata il debito che la società ‘sorella’ aveva per l’acquisto del software.

Il risultato finale? La società originaria ha perso il suo principale asset senza ricevere alcuna liquidità, vedendo il suo credito trasformato in una partita di giro interna al gruppo, con un grave danno per i creditori esterni che hanno perso la loro principale garanzia patrimoniale. Questa manovra ha contribuito a cagionare il fallimento della società.

L’Analisi della Corte sulla Bancarotta Fraudolenta Distrattiva

La difesa degli imputati ha tentato di giustificare l’operazione sostenendo che si trattasse di una riorganizzazione interna al gruppo e che la cessione fosse legittima. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha respinto questa visione, concentrandosi sulla sostanza economica dell’operazione piuttosto che sulla sua forma giuridica.

Il fulcro del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva è proprio l’impoverimento del patrimonio del debitore in danno dei creditori. La Corte ha stabilito che qualsiasi atto che determini la fuoriuscita di un bene dal patrimonio della società fallita, senza un’adeguata contropartita, integra la ‘distrazione’ penalmente rilevante. La complessità dello schema negoziale non è valsa a scagionare gli imputati, in quanto il risultato finale è stato un tangibile depauperamento della società poi fallita.

Il Dolo nel Reato di Bancarotta e il Ruolo degli Amministratori

Un punto cruciale del dibattito ha riguardato l’elemento soggettivo del reato. Per la bancarotta fraudolenta per distrazione, la giurisprudenza è costante nel ritenere sufficiente il dolo generico. Questo significa che non è necessario che gli amministratori agiscano con lo scopo specifico di causare il fallimento o di danneggiare i creditori.

È sufficiente la consapevolezza e la volontà di porre in essere l’operazione distrattiva, ovvero la coscienza di sottrarre beni alla loro funzione di garanzia per i creditori. Il fallimento è considerato un evento che, sebbene non direttamente voluto, è una conseguenza prevedibile e accettata di una gestione dolosamente orientata a spogliare la società.

La Corte ha inoltre chiarito che la responsabilità non si limita agli amministratori formalmente in carica, ma si estende a chiunque partecipi, anche come ‘extraneus’ (soggetto esterno), alla concezione e attuazione del piano fraudolento, come nel caso di uno degli imputati che ha agito in concorso pur non avendo ancora assunto la carica formale al momento di parte dell’operazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte Suprema ha fondato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che la nozione di distrazione è ampia e comprende qualsiasi operazione che impedisca ai creditori di soddisfarsi su un bene della società fallita. L’assenza di un effettivo corrispettivo per la vendita del software è stata la prova decisiva del carattere fraudolento dell’intera architettura.

In secondo luogo, per quanto riguarda le operazioni infragruppo, la Corte ha sottolineato che eventuali vantaggi per altre società del gruppo non possono giustificare il danno arrecato a una singola entità e ai suoi specifici creditori, a meno che non vi siano vantaggi compensativi diretti e concreti per quest’ultima, cosa che nel caso di specie non è stata dimostrata.

Infine, per il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, la Corte ha specificato che la responsabilità sorge dal sistematico inadempimento delle obbligazioni (in questo caso fiscali e previdenziali), visto non come una mera difficoltà di gestione, ma come una scelta consapevole che aumenta l’esposizione debitoria e rende prevedibile il dissesto.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per amministratori e imprenditori. Essa conferma che il diritto penale fallimentare guarda alla sostanza degli atti di gestione e non si lascia ingannare da complesse costruzioni giuridiche. La responsabilità per bancarotta fraudolenta distrattiva sorge ogni volta che si compiono scelte gestionali che, consapevolmente, depauperano il patrimonio sociale, accettando il rischio di pregiudicare i creditori. La decisione riafferma la centralità della tutela dei creditori come limite invalicabile alla libertà di gestione dell’impresa, soprattutto in contesti di crisi.

Quando una complessa operazione societaria può essere considerata bancarotta fraudolenta distrattiva?
Quando, al di là della forma giuridica adottata, l’operazione produce come effetto concreto la diminuzione del patrimonio della società a danno dei creditori, senza che vi sia un reale e adeguato corrispettivo. La finalità distrattiva prevale sulla legittimità formale dei singoli atti.

Quale tipo di dolo è necessario per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione?
È sufficiente il dolo generico. Ciò significa che l’autore del reato deve avere la coscienza e la volontà di compiere l’atto che impoverisce la società (es. vendere un bene senza incassare il prezzo), senza che sia necessario dimostrare l’intenzione specifica di causare il fallimento. L’accettazione del rischio che l’atto possa danneggiare i creditori è sufficiente.

Chi può essere ritenuto responsabile per il reato di bancarotta, oltre agli amministratori di diritto?
La responsabilità può estendersi a chiunque concorra all’operazione illecita. Questo include gli amministratori di fatto (coloro che esercitano poteri gestionali senza una nomina formale) e anche soggetti ‘extraneus’, ovvero persone esterne alla compagine sociale che partecipano consapevolmente all’ideazione o all’esecuzione del piano fraudolento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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