Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1510 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1510 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SIRACUSA il 31/07/1968
avverso la sentenza del 02/02/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione del reato di cui al capo B) e per il rigetto nel resto; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per i delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e bancarotta documentale semplice della società RAGIONE_SOCIALE
Avverso la richiamata sentenza della Corte d’Appello di Trieste l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME COGNOME articolando sei motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo l’imputato, in relazione al capo a), denuncia erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato assumendo un’erronea ricostruzione dei fatti nei due gradi di merito poiché non sarebbe stato considerato, rispetto alla vendita di un immobile della società alla dipendente COGNOME che questa aveva effettuato un finanziamento in favore della società fallita, risultante dalle scritture contabili della stessa, dell’importo di e 122.000,00.
Parimenti, quanto alla vendita di un altro immobile della società alla dipendente Banach Kinga, non era stato considerato che i bonifici a favore della stessa non erano la restituzione degli importi che ella corrispondeva mensilmente per il mutuo contratto per l’acquisto del bene, bensì retribuzioni per le mensilità retributive dei mesi di dicembre 2011 e gennaio 2012.
2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente, sempre in relazione al capo a), lamenta inosservanza dell’art. 516 cod. proc. pen. poiché il fatto contestato rispetto alla compravendita a Banach Kinga non atteneva, in realtà, come ipotizzato, nella sottrazione del bene ai creditori bensì, a tutto concedere, ad un’indebita fuoriuscita di euro 4.730,92, che avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma contestazione.
2.3. Con il terzo motivo il VALENTE, ancora con riferimento al capo a) dell’imputazione, lamenta travisamento della prova e violazione del principio dell’accertamento della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.4. Il ricorrente denuncia, inoltre, con il quarto motivo, violazione dell’art 157 cod. pen. poiché il delitto di bancarotta documentale semplice sarebbe stato prescritto già prima della sentenza di secondo grado tenendo conto della necessità di diminuire la pena per assenza del dolo e per la richiesta assoluzione rispetto al capo a).
2.5. Mediante il quinto motivo il VALENTE censura ulteriormente la sentenza impugnata per violazione dell’art. 219, comma 3, I.fall. in quanto non si sarebbe considerato che, anche a voler ritenere avvenuti i fatti distrattivi contestati al capo a), il danno sarebbe stato correlato alla sottrazione ai creditori di un immobile del valore di euro 205.000,00, dei quali l’importo di euro 108.975,61 era stato incassato dalla società mediante il mutuo e, per la seconda operazione, la distrazione era stata nell’importo di euro 4.730,92.
2.6. Il ricorrente lamenta, infine, violazione dell’art. 99 cod. pen. atteso che gli sarebbe stata applicata la recidiva infraquinquennale sebbene il decreto penale di condanna del 30 dicembre 2014 era risultato estinto con ordinanza del GIP del 21 agosto 2019 ed anche per precedenti decreti penali erano maturati i requisiti per poter pervenire all’estinzione di cui all’art. 167 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è manifestamente infondato poiché attraverso lo stesso il ricorrente reitera censure di mero fatto, rispetto alle quali la Corte territoriale ha fornito una motivazione congrua, e di qui insindacabile in questa sede di legittimità, motivazione con la quale, del resto, nella portata essenziale, rispetto alle due operazioni distrattive poste in essere, neppure l’imputato si confronta.
Sotto un primo aspetto, infatti, quanto alla compravendita di un immobile della società a Savina Ferrara, la decisione impugnata ha sottolineato la non credibilità della tesi della restituzione del finanziamento alla dipendente, poiché la relativa erogazione, pur risultando dalle scritture contabili, era priva dell’indicazione del soggetto “finanziatore”, e, sebbene si trattasse di importi rilevanti, non era stata formalizzato dalla Ferrara. Quest’ultima, inoltre, non era stata in grado di produrre alcuna documentazione delle somme versate né si era fatta rilasciare alcuna ricevuta.
Per altro verso, neppure, del tutto inverosimilmente, è stato formalizzato il dedotto accordo afferente l’accollo da parte della società fallita del mutuo di euro 100.00,00 contratto dalla Ferrara.
Quanto alla seconda operazione distrattiva, ancora una volta il ricorrente svolge le proprie deduzioni omettendo di confrontarsi con la parte fondamentale delle argomentazioni sottese all’accertamento della sua responsabilità penale nei gradi di merito, ossia con la circostanza che le somme versate alla dipendente non corrispondevano all’importo degli stipendi della stessa e che, in realtà, nella stessa contabilità erano descritte come “acconto compenso amministratore COGNOME NOME“, marito della dipendente.
Il secondo motivo è, anch’esso, manifestamente infondato.
Come noto, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01).
Alla luce degli indicati principi, nella fattispecie considerata, a fronte dell’evidente distrazione delle somme, non si è realizzato un mutamento dell’imputazione nei suoi elementi essenziali poiché la Banach si è fatta interprete dell’attività distrattiva consentendo, con l’erogazione delle predette somme in proprio favore, di fornire un pretesto per la fuoriuscita delle stesse dalle casse sociali.
Il terzo motivo è inammissibile alla luce di quanto sinora osservato sui precedenti motivi di ricorso, dovendosi peraltro rimarcare che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, comma 1, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanz processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Il quinto motivo, che deve essere vagliato con priorità logica rispetto al quarto, è manifestamente infondato non potendosi considerare, nonostante il valore del passivo accertato di oltre sei milioni di euro, un danno patrimoniale di speciale tenuità quello oggetto delle distrazioni poste in essere, per somme superiori ad euro 100.0000,00.
Giova ricordare, in proposito, che, in tema di bancarotta fraudolenta, la speciale tenuità del danno, integrativa dell’attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge 16 marzo 1942, n. 267, va valutata in relazione all’importo della distrazione, e non invece all’entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento (ex aliis, Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019,
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COGNOME Rv. 277658 – 01; Sez. 5, n. 5300 del 16/01/2008, COGNOME Rv. 239118 – 01).
Il sesto motivo, il cui esame va parimenti anteposto a quello del quarto, è inammissibile poiché con esso il ricorrente veicola contestazioni, rispetto alla recidiva, applicata già in primo grado, che non sono state formulate in appello, dove era stata dedotta solo la carenza di motivazione della decisione del Tribunale in punto di applicazione della recidiva contestata.
Il quarto motivo è manifestamente infondato, stante che il delitto di cui al capo b) si è prescritto dopo la pronuncia della sentenza impugnata, nella data del 16 giugno 2023, considerata la recidiva.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2023 Il Consigliere Estensore
Il Presidente