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Bancarotta fraudolenta: la complicità dell’extraneus

La Corte di Cassazione conferma la condanna per concorso in bancarotta fraudolenta a carico di un consulente legale e di un amministratore di una società terza. La sentenza chiarisce che la complicità sussiste anche se l’intervento avviene dopo il primo atto distrattivo, a condizione che sia parte di un piano unitario e consapevole, concordato in precedenza con l’amministratore della società fallita. La Corte ha ritenuto provata la piena consapevolezza degli imputati riguardo all’obiettivo di svuotare il patrimonio aziendale a danno dei creditori.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta: Quando il consulente esterno è complice? L’analisi della Cassazione

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale rappresenta una delle più gravi fattispecie a tutela del ceto creditorio. Ma cosa succede quando a contribuire alla spoliazione del patrimonio aziendale sono soggetti esterni alla società, come consulenti o amministratori di altre imprese? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26141/2024, offre chiarimenti fondamentali sulla configurabilità del concorso di persone in questo reato, anche per condotte successive al primo atto di distrazione.

I Fatti: Una Complessa Operazione di Svuotamento Aziendale

Il caso trae origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata (qui definita ‘società Alfa’). Le indagini hanno svelato un’articolata strategia, orchestrata dall’amministratore unico, finalizzata a sottrarre l’intero patrimonio aziendale ai creditori. L’operazione prevedeva diversi passaggi:
1. Prima Cessione Fittizia: I beni della società Alfa venivano ceduti a un’altra società (‘società Beta’), amministrata da uno degli imputati. La cessione avveniva a un prezzo vile e la provvista per l’acquisto era stata fornita dalla stessa cerchia dell’amministratore della società fallita.
2. Trasferimenti Successivi: I beni venivano poi trasferiti dalla società Beta a una terza società (‘società Gamma’), anch’essa riconducibile all’amministratore di Alfa.
3. Destinazione Finale all’Estero: L’ultimo passaggio vedeva il trasferimento dei beni a una società di diritto croato (‘società Delta’), appositamente costituita e amministrata da un avvocato, consulente legale dell’amministratore di Alfa.

Contro la condanna della Corte d’Appello, l’amministratore della società Beta e l’avvocato amministratore della società Delta hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, di non poter essere considerati complici, poiché il loro intervento era stato parziale e, nel caso dell’avvocato, successivo al primo atto distrattivo (la vendita da Alfa a Beta).

La Decisione della Corte: La Complicità nella Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando le condanne. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del concorso dell’estraneo (extraneus) nel reato proprio dell’amministratore (intraneus).

Il Principio dell’Accordo Unitario

La difesa sosteneva che un’azione compiuta dopo la consumazione del fatto non potesse configurare concorso. La Cassazione ha smontato questa tesi, chiarendo un punto cruciale: sebbene il singolo atto distrattivo si perfezioni con la diminuzione del patrimonio, il reato di bancarotta fraudolenta si consuma con la dichiarazione di fallimento. Di conseguenza, qualsiasi contributo fornito prima di tale dichiarazione può essere rilevante.
Il punto decisivo, secondo la Corte, è che l’atto del terzo, anche se temporalmente successivo alla prima distrazione, integra una condotta concorsuale se “sia stato posto in essere alla luce di un accordo intervenuto con l’intraneus in un momento anteriore al compimento della condotta”.

La Piena Consapevolezza del Piano Distrattivo

Per i giudici, era evidente che l’intera operazione, pur articolata in più fasi, fosse parte di un’unica strategia unitaria. Le prove, tra cui diverse comunicazioni via e-mail, hanno dimostrato che sia l’avvocato che l’amministratore della società Beta erano pienamente consapevoli dell’obiettivo finale: lo “svuotamento” della società Alfa. L’avvocato non era un consulente ignaro, ma un tassello fondamentale per la realizzazione del piano, avendo costituito la società estera destinata a ricevere i beni. Allo stesso modo, l’amministratore della società Beta aveva partecipato alla prima operazione fittizia, acquistando i beni a un prezzo irrisorio.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ribadito che per la sussistenza del dolo nel concorso in bancarotta fraudolenta, non è necessaria la conoscenza specifica dello stato di insolvenza della società, ma è sufficiente la consapevolezza del carattere depauperativo dell’operazione e la volontà di contribuire a realizzarla. L’intera catena di cessioni era funzionalmente collegata e mirava a un unico scopo illecito.
La Corte ha inoltre specificato che la condotta dell’avvocato aveva una duplice valenza distrattiva: una in relazione al patrimonio della società Alfa (proprietaria originaria) e una successiva in relazione al patrimonio di un’altra società coinvolta nel passaggio intermedio, anch’essa poi fallita. Questo dimostra la pervasività del disegno criminoso. Infine, è stata respinta la richiesta di sostituzione della pena detentiva, poiché la gravità dei fatti e la piena adesione al programma criminoso sono stati ritenuti indicatori della pericolosità sociale degli imputati.

Conclusioni

La sentenza n. 26141/2024 della Cassazione lancia un messaggio chiaro a professionisti, consulenti e amministratori di società terze. Partecipare, anche solo a un segmento di un’operazione finanziaria complessa, può comportare una condanna per concorso in bancarotta fraudolenta se si è consapevoli del fine ultimo di danneggiare i creditori. L’esistenza di un accordo preventivo e la coscienza di contribuire a un piano illecito sono elementi sufficienti per integrare la responsabilità penale, a prescindere dal momento esatto in cui si colloca il proprio intervento nella sequenza dei fatti.

Un professionista esterno (extraneus) può essere accusato di concorso in bancarotta fraudolenta se il suo intervento avviene dopo il primo atto di distrazione dei beni?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la complicità sussiste se l’azione del terzo, pur essendo successiva al primo atto distrattivo, si inserisce in un piano unitario concordato con l’amministratore della società fallita in un momento antecedente al compimento dell’atto stesso.

Per essere considerati complici in una bancarotta fraudolenta, è necessario conoscere lo stato di dissesto della società?
No, la sentenza chiarisce che la specifica conoscenza dello stato di dissesto non è un requisito indispensabile. È sufficiente avere la consapevolezza della valenza ‘depauperativa’ dell’operazione complessiva e la volontà di offrire il proprio contributo alla sua realizzazione a danno dei creditori.

La vendita di beni di una società poi fallita a un prezzo ‘vile’ (molto basso) è sufficiente a configurare un atto distrattivo?
Sì, la Corte conferma che un’operazione fittizia, come la vendita di beni a un prezzo significativamente inferiore al loro valore reale, costituisce di per sé un atto di natura distrattiva, soprattutto quando si inserisce in un contesto più ampio volto a svuotare il patrimonio aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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