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Bancarotta fraudolenta: la cessione fittizia è reato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico dell’amministratrice di una società immobiliare. La condannata aveva ceduto due terreni edificabili a società a lei collegate senza incassare alcun corrispettivo, pur iscrivendo il relativo credito a bilancio. La Corte ha ritenuto tale operazione una distrazione patrimoniale finalizzata a spogliare la società dei suoi beni, definendo l’iscrizione a bilancio un mero ‘escamotage’ per mascherare la reale consistenza patrimoniale ai danni dei creditori. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: Quando la Cessione di Immobili è Reato

La recente sentenza n. 19189/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale, chiarendo come anche operazioni apparentemente lecite, come l’iscrizione di un credito a bilancio, possano in realtà nascondere una condotta distrattiva penalmente rilevante. Il caso analizzato riguarda la cessione di beni immobiliari da parte di una società, poi fallita, a entità collegate, senza che vi fosse un reale incasso del prezzo pattuito. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Cessione di Immobili Senza Incasso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna inflitta all’amministratrice unica di una S.r.l. immobiliare per il reato di bancarotta fraudolenta. L’accusa si fondava sulla distrazione di due terreni edificabili dal patrimonio sociale.

In particolare, l’amministratrice, poco prima della cessazione dell’attività d’impresa e del successivo fallimento, aveva ceduto i due immobili a due società a lei strettamente collegate, costituite poco prima delle operazioni di vendita. Sebbene gli atti notarili prevedessero il pagamento del prezzo tramite assegni da consegnare alla stipula, è emerso che nessun corrispettivo era stato effettivamente versato nelle casse della società venditrice. La difesa dell’imputata sosteneva che l’operazione non costituisse reato, in quanto il credito corrispondente al prezzo di vendita era stato regolarmente iscritto nel bilancio della società fallita, configurando al massimo un’ipotesi di bancarotta semplice per mancata riscossione, ormai prescritta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’imputata inammissibile, confermando così la condanna per bancarotta fraudolenta. La Corte ha rigettato su tutta la linea la tesi difensiva, ritenendo che la motivazione della Corte d’Appello fosse logica, coerente e giuridicamente corretta nel qualificare la condotta come una vera e propria distrazione patrimoniale.

Le Motivazioni: la Sostanza Prevale sulla Forma nella Bancarotta Fraudolenta

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la forma contabile e la sostanza economica dell’operazione. Secondo i giudici di legittimità, l’iscrizione del credito a bilancio non è sufficiente a escludere il reato di bancarotta fraudolenta. Anzi, in questo contesto, è stata considerata un “utile escamotage” per creare l’apparenza fittizia di un patrimonio consistente e per dissimulare la reale situazione di depauperamento della società ai danni dei creditori.

La Corte ha valorizzato una serie di elementi fattuali per giungere a questa conclusione:

1. Mancato Incasso: Il fatto pacifico che il prezzo non sia mai stato pagato, nonostante quanto dichiarato nell’atto notarile.
2. Collegamenti Societari: Le società acquirenti erano strettamente collegate all’amministratrice e create ad hoc poco prima delle cessioni, suggerendo un intento preordinato a spogliare la società del suo patrimonio.
3. Assenza di Prove Contraria: Non è stata fornita alcuna prova di presunti accordi per una futura retrocessione dei beni, che avrebbero potuto (in astratto) giustificare il mancato pagamento.

La condotta distrattiva, secondo la Corte, si perfeziona al momento del trasferimento dei beni senza reale contropartita, perché è in quel momento che il patrimonio sociale viene effettivamente e concretamente diminuito. L’annotazione contabile è un mero artificio che non sana l’illecito, ma anzi ne rafforza l’intento fraudolento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati fallimentari: i giudici devono guardare alla sostanza economica delle operazioni e non fermarsi alla loro apparenza formale o contabile. Un’operazione di cessione di beni aziendali, soprattutto se effettuata in favore di parti correlate e senza un effettivo e contestuale incasso del corrispettivo, integra pienamente il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’iscrizione di un credito a bilancio, in un contesto simile, non solo non esclude il reato, ma può essere interpretata come un elemento che prova l’intento di ingannare i creditori sulla reale salute finanziaria dell’impresa.

La vendita di un bene sociale senza incassare il prezzo è sempre bancarotta fraudolenta?
Sì, secondo la Corte, il trasferimento di beni senza un reale corrispettivo costituisce una condotta distrattiva che perfeziona il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La sostanza dell’operazione, ovvero la diminuzione del patrimonio, prevale sulla forma.

Iscrivere il credito derivante dalla vendita nel bilancio della società può escludere il reato?
No. La sentenza chiarisce che l’iscrizione a bilancio del credito, in assenza di un effettivo incasso e in un contesto di operazioni con parti correlate, non esclude il reato. Anzi, è stata considerata un mero ‘escamotage’ per mascherare la distrazione e ingannare i creditori.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché mescolava in modo confuso censure sulla violazione di legge con critiche alla motivazione, e perché le argomentazioni della Corte d’Appello sono state giudicate logiche, coerenti e sufficienti a giustificare la condanna. Anche la richiesta generica di ‘benefici di legge’, senza elementi a supporto, ha contribuito all’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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