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Bancarotta fraudolenta: la cessione fittizia d’azienda

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi contro una condanna per bancarotta fraudolenta. Il caso riguarda il cedente di una società che, dopo averla indebitata, l’ha venduta a un successore inesperto in un’operazione fittizia. La Corte ha confermato che questo schema collusivo, finalizzato a distrarre beni e danneggiare i creditori, integra il reato, confermando la responsabilità di entrambi gli amministratori.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cessione Fittizia d’Azienda e Bancarotta Fraudolenta: L’Analisi della Cassazione

La bancarotta fraudolenta rappresenta uno dei reati più gravi nel contesto del diritto fallimentare, poiché colpisce direttamente la garanzia patrimoniale dei creditori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10435/2024) offre importanti chiarimenti sulla responsabilità penale che sorge da una cessione d’azienda fittizia, orchestrata al solo scopo di sottrarre beni alla massa fallimentare. Questo articolo analizza la decisione, evidenziando come la collaborazione tra l’amministratore uscente e quello subentrante possa configurare un concorso nel reato.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda una società operante nel settore ortofrutticolo, dichiarata fallita. Le indagini hanno rivelato una gestione dolosa da parte dei due imputati: l’amministratore originario e il suo successore.

L’amministratore originario, dopo aver accumulato ingenti debiti verso fornitori e società di leasing, ha ceduto l’intero pacchetto azionario al secondo imputato per una cifra irrisoria. Quest’ultimo, descritto come un soggetto inesperto del settore, era subentrato formalmente nella gestione, ma di fatto l’operazione si è rivelata una manovra per svuotare la società e renderla insolvente.

Le contestazioni includevano la distrazione di immobilizzazioni, rimanenze, crediti e liquidità, oltre all’occultamento delle scritture contabili per impedire la ricostruzione del patrimonio. I giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto la colpevolezza di entrambi, delineando un quadro di piena collusione tra i due.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Bancarotta Fraudolenta

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da entrambi gli imputati, confermando di fatto la loro condanna. I motivi dei ricorsi sono stati ritenuti generici e tesi a ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti, già ampiamente esaminati nei precedenti gradi di giudizio.

I motivi del ricorso del nuovo amministratore

Il successore lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alle aggravanti. Sosteneva di aver avuto un ruolo marginale e di aver collaborato con la giustizia, ammettendo le proprie responsabilità. La Corte ha respinto questa tesi, ritenendo corretta e adeguatamente motivata la valutazione dei giudici di merito, che avevano già concesso le attenuanti in regime di equivalenza, applicando una pena congrua.

I motivi del ricorso dell’amministratore cedente

L’amministratore originario contestava la sua responsabilità penale, sostenendo la mancanza di prove di un accordo con il successore e l’assenza di atti di distrazione durante la sua gestione. Inoltre, invocava la prescrizione del reato, assumendo che l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità fosse stata esclusa. Anche questi motivi sono stati respinti. La Cassazione ha sottolineato come le prove dimostrassero chiaramente il suo ruolo di ideatore dello schema fraudolento.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella conferma della ricostruzione fattuale operata dai giudici di merito. La Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: la responsabilità dell’amministratore cessato per bancarotta fraudolenta può essere affermata non solo se gli atti di distrazione sono avvenuti durante la sua gestione, ma anche se esiste un accordo fraudolento con l’amministratore subentrato.

Nel caso di specie, la cessione della società è stata considerata una manovra architettata con l’intento di sottrarre i beni alle pretese creditorie. La Corte ha evidenziato come l’intero declino della società fosse iniziato sotto la gestione del primo amministratore, culminando in una vendita fittizia a un soggetto privo delle competenze necessarie, che ha poi condotto l’azienda al fallimento definitivo.

Cruciale è stata la questione della prescrizione. La difesa sosteneva che il reato fosse prescritto, ma la Corte ha chiarito che l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non era mai stata esclusa. Tale aggravante, essendo stata ritenuta sussistente, comporta un termine di prescrizione più lungo, che nel caso di specie non era ancora decorso. Pertanto, il motivo relativo alla prescrizione è stato giudicato manifestamente infondato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza in esame rafforza la tutela dei creditori e lancia un chiaro monito agli amministratori d’azienda. Cedere una società in crisi non è di per sé un illecito, ma diventa un reato grave se l’operazione è finalizzata a spogliare l’azienda del suo patrimonio a danno di terzi. La responsabilità penale può estendersi in solido tra cedente e cessionario se viene provato un accordo collusivo.

Questa pronuncia conferma che la giustizia è in grado di guardare oltre le apparenze formali di un’operazione commerciale per colpire la sostanza fraudolenta. Per gli imprenditori, la lezione è chiara: la trasparenza e la correttezza nella gestione aziendale, anche nelle fasi di crisi e di passaggio di proprietà, sono fondamentali per evitare di incorrere in gravi conseguenze penali.

Chi risponde per bancarotta fraudolenta se un’azienda viene venduta prima del fallimento?
Secondo la sentenza, possono rispondere penalmente sia l’amministratore cedente sia quello subentrato, qualora venga provato che hanno agito in concorso attraverso un accordo fraudolento finalizzato a distrarre beni e danneggiare i creditori.

L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità incide sulla prescrizione del reato?
Sì, la Corte ha confermato che la presenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità comporta un allungamento dei termini di prescrizione del reato di bancarotta, rendendo più difficile per gli imputati sottrarsi alla giustizia per il decorso del tempo.

La Corte di Cassazione può modificare la valutazione del giudice sulle circostanze attenuanti?
No, il giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti è un potere valutativo riservato al giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione è assente, illogica o contraddittoria, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di grado inferiore se questa è congruamente motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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