Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA&
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CITTA’ SANT’ANGELO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/05/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN IFATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata il 26 maggio 2023 dalla Corte di appello di L’Aquila, che ha confermato la decisione del Tribunale di Teramo, che aveva condannato NOME COGNOME per i delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal Tribunale di Teramo il 3 novembre 2011, società di cui l’imputato era stato amministratore, prima ufficiale e poi di fatto.
All’imputato sono addebitati i reati di:
bancarotta fraudolenta documentale.
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bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione alla cessione dei contratti di leasing di alcuni veicoli alla società “RAGIONE_SOCIALE“.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, formulando quattro motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vari vizi motivazionali in relazione al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva.
In primo luogo, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe travisato la testimonianza resa il primo dicembre 2016 dal Maresciallo della Guardia di Finanza NOME COGNOME, quanto al pagamento dei veicoli ceduti. A fini dell’autosufficienza del ricorso, oltre al verbale dell’udienza suddetta, la parte indica una serie di assegni e di documenti bancari e lamenta incompatibilità logica e silenzio della Corte territoriale, a dispetto di specifico motivo di appello, sulle prove a discarico fornite ed emerse.
In secondo luogo, la parte denunzia omessa motivazione sul secondo motivo di appello, concernente l’incidenza, sulla prova della distrazione e della sussistenza del relativo coefficiente soggettivo, del risparmio assicurato alla fallita dal trasferimento degli oneri di corresponsione delle rate di leasing e del prezzo di riscatto in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
In terzo luogo, la decisione avversata ha erroneamente collocato l’accertamento del nocumento patrimoniale derivante dalla cessione dei beni detenuti in leasing al momento della conclusione del contratto e non già al momento del fallimento. In realtà, in ossequio agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare come da sollecitazione contenuta nell’appello – che effettivamente la curatela fallimentare avrebbe potuto ricavare dalle vendite dei beni in leasing più di quanto la fallita aveva ricevuto dalla RAGIONE_SOCIALE, dell’importo delle rate e del prezzo di riscatto che quest’ultima aveva pagato (così come da riepilogo già contenuto nell’atto di appello). Quindi l’errore della Corte distrettuale era stato quello di comparare il valore di acquisto con quello di realizzo nel momento in cui le cessioni “incriminate” erano avvenute e non con quello che sarebbe stato il possibile ricavo al momento del fallimento, in coerenza con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il tempus commissi delicti della bancarotta corrisponde alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Contesta, poi, il ricorrente il ricorso della Corte territoriale al fatto notori costituto dal margine di decremento del valore di un veicolo rispetto al momento dell’acquisto, che i Giudici di appello hanno individuato nel 30 % nei primi due anni.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorso – premesso che afferma esplicitamente di non contestare la sentenza impugnata quanto al ritenuto ruolo di amministratore di fatto dello COGNOME – si dilunga nel lamentare l’approccio che la Corte di appello aveva avuto al motivo di appello circa la valorizzazione del ripianamento dell’esposizione debitoria di RAGIONE_SOCIALE. PA. presso l’istituto Carichieti.
Vi sarebbe, altresì, una divaricazione tra sentenza di primo grado e sentenza di appello.
Avrebbe errato la Corte di appello nel liquidare la doglianza circa la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. affermando che il Tribunale non aveva trasformato l’addebito, in quanto aveva solo evidenziato quali fossero i motivi che avevano condotto COGNOME a tenere la documentazione in maniera confusionaria. Al contrario, il Giudice di prime cure, a dispetto dell’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale generale, aveva affermato che vi era stata una parziale ma chirurgica dispersione di documentazione contabile ed aveva fatto riferimento al dolo specifico della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale specifica.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge sempre in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale.
La prima censura concerne la mancata riqualificazione in bancarotta semplice documentale, che la Corte di appello ha ancorato alla natura dolosa e non colposa della condotta, mostrando di ignorare che, dell’ipotesi di cui all’art. 217 legge fall., si può rispondere anche a titolo di dolo.
A seguire il ricorrente, dopo alcune riflessioni teoriche sulla classificazione delle varie ipotesi di bancarotta documentale, sostiene che le singole anomalie addebitate al ricorrente riguardano omissioni parziali nella tenuta di alcune scritture che andrebbero ricondotte alla bancarotta animata da dolo specifico. A seguire, il ricorrente contesta la ricostruzione anche in termini di mero dolo generico e ritiene indimostrato il coefficiente soggettivo
2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, non rimodulato nonostante la presenza di elementi che avrebbero dovuto essere vagliati nel senso più favorevole zill’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati, sicché la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.
E’, fondato, in primo luogo, il primo motivo di ricorso, che concerne la motivazione della conferma della condanna di COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Induce a tale conclusione la constatazione di una serie di vizi motivazionali che hanno caratterizzato la decisione avversata.
1.1. In primo luogo, va osservato che la Corte di appello ha giustificato la propria decisione sostenendo – non senza una torsione prospettica rispetto alla contestazione, incentrata sulla distrazione dei beni – che ad essere distratto era stato il prezzo incamerato a seguito della cessione dei beni di cui al capo b), dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE, giacché quello risultante dalle fatture nn. 79 80 non era entrato o era comunque poi fuoriuscito dal patrimonio sociale, nel primo caso perché nessuna somma era stata corrisposta, nel secondo caso perché il corrispettivo non era stato rinvenuto dalla curatela.
Ebbene, rispetto soprattutto all’importo della prima delle fatture sopra indicate, la decisione avversata patisce un difetto di motivazione rispetto a quando dedotto con l’atto di appello; la Corte di merito, infatti, risolve, con una motivazione apparentemente tranchant, ma priva delle necessarie puntualizzazioni, un tema difensivo che, passando attraverso la rievocazione della testimonianza COGNOME, in ipotesi travisata, e l’evocazione di specifica documentazione bancaria, sosteneva la tesi dell’effettivo incameramento del prezzo da parte della RAGIONE_SOCIALE. Il RAGIONE_SOCIALE non ignora che, qualora il prezzo fosse stato incamerato, ma poi fosse stato sottratto alla società e alla garanzia del relativo ceto creditorio, ciò integrerebbe una distrazione a prescindere dalla circostanza, agitata nell’appello e poi nel ricorso, del pagamento del prezzo all’epoca della cessione dei beni; tale conclusione, tuttavia, avrebbe richiesto una specificazione che nella sentenza impugnata manca.
1.2. Altra questione è quella del prezzo vile a cui sarebbero stati ceduti contratti di leasing dei beni indicati al capo b) dell’imputazione. Da questo punto di vista, la motivazione della sentenza impugnata presta il fianc:o a due critiche.
La prima è quella di avere adottato un’impostazione fallace nella misura in essa cui pare riferirsi non già alla cessione dei contratti di leasing, ma alla vendita dei veicoli stessi e – si aggiunge – attestandosi su una valutazione ferma all’epoca delle vendite, ancorché il fallimento sia stato dichiarato nel 2011, e senza conformare il proprio scrutinio agli insegnamenti di questa Corte sulle condizioni per attribuire valenza distrattiva alla cessione dei contratti di leasing. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la cessione a titolo gratuito, da parte del fallito, di un contratto di locazione finanziaria ad altro utilizzatore, nel c:aso in cui possa
accertarsi che la prosecuzione del rapporto da parte del curatore fallimentare avrebbe in concreto costituito una risorsa economica per i creditori e non soltanto un onere (Sez. 5, n. 3429 del 06/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284120; Sez. 5, n. 9427 del 03/11/2011, dep. 2012, Rv. 251996; Sez. 5, n. 3612/07 del 06/11/2006, COGNOME, Rv. 236043; Sez. 5, n. 30492 del 23/04/2003, COGNOME, Rv. 227705). Questa impostazione è coerente c:on la prospettiva secondo cui il patrimonio a garanzia dei creditori risulta decurtato non già della proprietà del bene – che non appartiene all’impresa fallita – ma dei diritti e delle facoltà nascenti dal negozio, a partire dalla possibilità di riscatto del bene nel momento di scadenza del rapporto.
La sentenza impugnata manca del tutto di questa prognosi circa la proficuità della prosecuzione del rapporto da parte del curatore, il che ne impone l’annullamento.
1.2. Le considerazioni appena formulate fanno “scolorire” la portata demolitiva di un’altra ragione di censura, vale a dire quella legata all’assertività della Corte territoriale quando ha individuato un presunto indice di decremento del valore dei beni a cui ha collegato la conclusione circa la viltà del prezzo di cessione.
Ora, se questa argomentazione della Corte di merito è vittima di una cattiva impostazione circa l’individuazione dell’oggetto della cessione – che la Corte pare identificare nei veicoli e non già nei relativi contratti di leasing non è superfluo segnalare, anche per orientare la valutazione della Corte del rinvio, che ogni considerazione di ordine economico deve contare su riferimenti precisi e non ipotetici e dare conto anche di specifici dati di fatto, quali, tra l’altro, non solo prezzo di cessione dei contratti e quello di riscatto, ma anche l’ammontare delle rate che la fallita aveva già pagato al momento della cessione e quello delle rate residue che sono passate in carico alla cessionaria.
Il secondo motivo di ricorso – che lamenta violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. nella condanna da parte del Tribunale per la bancarotta fraudolenta documentale e invoca la nullità delle sentenze di merito – è in1:ondato.
Innanzitutto va rimarcato che il ricorso non è chiaro quando accenna al tema della qualità di amministratore di fatto dell’imputato – che afferma esplicitamente di non contestare – e quando poi si sofferma sull’estinzione della posizione debitoria della società presso l’istituto di credito Caric:hieti.
Ad ogni buon conto, il ricorso è infondato quando sostiene l’immutazione del fatto – e, quindi, la nullità sia della sentenza di primo grado che di quella di appello – da parte del Tribunale, dal momento che, come sostenuto dalla Corte di appello in risposta ad analoga eccezione, la motivazione del primo Giudice non
andava nel senso della trasformazione da bancarotta fraudolenta documentale cosiddetta generale a bancarotta fraudolenta documentale specifica; può sostenersi, infatti, che il RAGIONE_SOCIALE di prime cure avesse illustrato non già il coefficiente soggettivo – dolo specifico – che aveva sostenuto l’azione illecita, ma i motivi che avevano condotto l’imputato a tenere la documentazione contabile in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio aziendale e del movimento degli affari.
D’altra parte la lettura del combinato disposto degli arti:. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, Ci -. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/201:3, Baj e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673).
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
Orbene, dalla lettura delle sentenze di merito, può trarsi la conclusione che siano stati ampiamente esplorati sia la condotta tenuta dal prevenuto quanto alla documentazione contabile, sia quella, ad essa strettamente collegata, della condotta predatoria, il che esclude che la contestazione — quand’anche la condanna di primo grado fosse per bancarotta da dolo speciFico – possa dirsi sovvertita in termini tali da pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa.
Piuttosto, il ricorso – con il suo terzo motivo – coglie nel segno sul tema dell’inquadramento della condotta nella fattispecie di cui all’art. 217 legge fall., giacché la Corte territoriale affida la risposta al motivo di appello ad un’argomentazione errata in diritto, vale a dire quella secondo cui la riqualificazione in bonam partem invocata dall’appellante non sarebbe stata possibile perché la condotta non sarebbe colposa, trascurando la circostanza che il reato di cui all’art. 217 legge fall. può essere punito, indifferentemente, sia titolo di dolo che di colpa (Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, COGNOME, Rv. 275133; Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, COGNOME, Rv. 244823).
Il quarto motivo di ricorso, sul trattamento sanzionatorio, è assorbito.
Tanto premesso, la Corte di appello di Perugia dovrà riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà evitare di incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia .
Così deciso il 14/02/2024.