Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13630 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13630 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Capua il DATA_NASCITA
2. COGNOME NOME, nata a Minturno il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 09/05/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso;
lette le richieste del difensore del ricorrente NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le richieste del difensore della ricorrente NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Cassino del 28 marzo 2019 nella parte in
cui aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di
bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, unificati a fini sanzionatori in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1 r.d. n. 267 del 1942, e di NOME COGNOME quale concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e li aveva condannati alle pene di giustizia, nonché al risarcimento del danno, liquidato in sentenza, in favore della curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE, costituita parte civile.
A NOME COGNOME si contesta di avere, quale amministratore unico fino al 28 giugno 2012 della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 11 marzo 2013, ceduto l’intera azienda a NOME COGNOME in cambio della somma di euro 138.620,00 da corrispondere a rate e senza interessi, somma poi non pagata perché asseritamente compensata con crediti inesistenti, nonché di avere sottratto le scritture contabili della società allo scopo di procurarsi un profitto e di arrecar pregiudizio ai creditori.
A NOME COGNOME si contesta il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sopra descritto.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed affidando le sue censure a due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la violazione degli artt. 216 e 223 r.d. n. 267 del 1942 e dell’art. 2560 cod. civ. sostenendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere distrattiva la cessione dell’azienda, in quanto era stato fissato un prezzo di vendita e tale circostanza escludeva che le parti avessero inteso depauperare il patrimonio sociale.
Il corrispettivo pattuito e l’accollo dei debiti della società da parte del cessionaria dovevano portare all’esclusione della natura distrattiva della cessione e la compensazione era un modo di estinzione dell’obbligazione di pagare il prezzo diverso dall’adempimento.
Laddove si fosse ritenuto inesistente il credito opposto in compensazione dalla COGNOME, la cessione avrebbe dovuto essere considerata simulata e l’azienda andrebbe comunque retrocessa alla società fallita, con conseguente insussistenza di alcun danno.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale, la mera apparenza della motivazione, inidonea a far comprendere il ragionamento sul quale si fonda la decisione, nonché la violazione dell’art. 192, comma 3′ cod. proc. pen., per avere la Corte
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di appello fondato la sua decisione sulle dichiarazioni accusatorie della coimputata COGNOME, amministratrice di diritto della fallita dal 28 gennaio 2012 sino alla dichiarazione di fallimento, nonostante la sua inattendibilità, in quanto interessata a scaricare sul ricorrente le responsabilità relative al mancato rinvenimento delle scritture contabili, ed in assenza di validi riscontri.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando quattro motivi di impugnazione.
3.1. Con il primo motivo la ricorrente sostiene che non vi è prova che i beni oggetto di cessione valessero il prezzo pattuito e che la cessione sarebbe fittizia perché i beni ceduti in realtà non sarebbero mai esistiti.
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 110 e 117 cod. pen. e 216 e 223 r.d. n. 267 del 1942, poiché le norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta andrebbero intese nel senso della loro applicabilità esclusivamente ai soggetti indicati nel citato art. 223 e non al cosiddetto extraneus concorrente, poiché altrimenti sarebbe stato inutile elencare in detta disposizione i soggetti chiamati a rispondere per i reati di bancarotta.
3.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta il travisamento della prova, osservando di essersi resa cessionaria dell’azienda per compensare almeno parzialmente un suo maggior credito. Afferma di avere chiesto al curatore di essere informata circa le sorti della RAGIONE_SOCIALE e solo a causa dell’inerzia del curatore aveva omesso di insinuarsi al passivo. NOME COGNOME aveva attribuito ogni responsabilità al COGNOME. Tali elementi non erano stai:i adeguatamente valutati.
3.4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’omessa motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, sebbene nella proposta di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. e nelle memorie difensive depositate in appello fossero state esplicitate le ragioni che militavano a favore dell’accoglimento della istanza finalizzata alla loro applicazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
I giudici del merito hanno ritenuto che l’alienazione dell’azienda fosse simulata in quanto il COGNOME e la COGNOME, non essendosi accordati per trasferire a quest’ultima i beni della fallita, non intendevano in realtà accompagnare detta cessione al pagamento del prezzo pattuito a favore della società. Tale volontà, diversa da quella indicata nel contratto, è stata desunta sia dalla pattuizione di
modalità rateali per la corresponsione del prezzo non accompagnata dalla previsione del pagamento di interessi sulla somma fissata come prezzo, sia dalle inverosimili giustificazioni offerte dalla COGNOME al curatore, avendo l’imputata asserito di avere maturato un credito di euro 224.000,00 per forniture eseguite in favore della RAGIONE_SOCIALE pochi giorni prima del suo fallimento, sebbene la stessa avesse cessato di operare già nel 2012 a causa del suo stato di insolvenza.
La pattuizione del prezzo è quindi meramente apparente e non vale ad escludere la natura distrattiva della cessione.
Né può escludersi tale natura distrattiva sol perché il curatore potrebbe far valere la simulazione ed ottenere la restituzione del compendio ceduto, atteso che il recupero del bene distratto non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della res rappresenta solo un posterius equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto – avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori (vedi Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, COGNOME, Rv. 248658, in tema di beni recuperati a seguito di azione revocatoria).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto alla mera apparenza della motivazione, la stessa deve escludersi, avendo la Corte di appello affermato che la RAGIONE_SOCIALE ha assunto la qualifica di amministratrice della società fallita solo quale prestanome del COGNOME che ha omesso di consegnare alla stessa le scritture contabili al momento del suo subentro e che la responsabilità del COGNOME si ricava anche dall’essere egli l’ideatore della condotta di distrazione patrimoniale.
La motivazione appare sintetica, ma adeguata e priva di contraddizioni o illogicità, atteso che il dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di sottrazione o occultamento delle scritture è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.
Il motivo incorre nella sanzione dell’inammissibilità ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., laddove, invece, il COGNOME lamenta la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di violazione denunciata per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
3.1. Il primo motivo è inammissibile, poiché la inesistenza dei beni oggetto di cessione è stata dedotta per la prima voltai con il ricorso per cassazione, con conseguente applicazione della sanzione di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., e comunque si tratta di una censura di merito non deducibile in questa sede.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, atteso che la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione ammette il concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, neppure richiedendosi in capo allo stesso la conoscenza dello stato di insolvenza (vedi, tra le tante, Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, Bratomi, Rv. 27183’7).
3.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, poiché, oltre ad essere estremamente generico, con esso, in realtà, la ricorrente non lamenta il travisamento di specifiche prove, ma chiede a questa Corte di cassazione una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimità.
3.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., il giudice di appello può applicare anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e uno o più circostanze attenuanti.
Quanto al dovere del giudice di motivare in ordine all’esercizio di tale potere discrezionale, questa Corte di cassazione ha affermato che il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063).
Ancora prima le Sezioni Unite, sia pure in relazione al potere di applicare la sospensione condizionale della pena, hanno affermato che, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio
di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376).
L’imputato, quindi, potendo il giudice di appello concedere anche d’ufficio le circostanze attenuanti generiche, ben può limitarsi a richiedere genericamente la loro applicazione nell’atto di impugnazione, riservando alle memorie depositate nel corso del giudizio di secondo grado l’illustrazione delle ragioni della richiesta, facendo così sorgere il dovere di motivare l’eventuale rigetto di tale richiesta.
Nel caso di specie l’odierna ricorrente si è limitata ad invocare genericamente, con l’atto di appello, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, e nemmeno con la proposta di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. o con memorie depositate nel corso del giudizio di secondo grado, ha indicato le specifiche ragioni della sua richiesta, cosicché non può sostenersi che fosse sorto in capo alla Corte di merito l’onere di motivare il mancato accoglimento di detta richiesta.
Non sussiste, quindi, la carenza di motivazione denunciata dalla ricorrente e anche su tale punto il ricorso risulta inammissibile.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/12/2023.