Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13632 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13632 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TOLLEGNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nonché la memoria trasmessa nell’interesse del ricorrente.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 aprile 2023, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha riqualificato la recidiva attribuita ad NOME COGNOME come semplice, ha concesso a quest’ultimo le circostanze attenuanti generiche prevalenti, rinnodulando la pena inflitta,, ha eliminato la pena dell’interdizione dai pubblici uffici e ha rideterminato la durata delle pene accessorie fallimentari. Per il resto, ha . confermato la decisione di primo grado quanto all’affermazione di responsabilità del COGNOME e di NOME COGNOME, non ricorrente in cassazione, in relazione ai delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentali loro attribuiti quali amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 3 marzo 2016.
Nell’interesse del COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. Si osserva: a) che la Corte territoriale era giunta a qualificare il dolo del reato come intenzionale, pur in assenza di qualsivoglia elemento che suggerisse persino il perseguimento di un fine di profitto; b) che contraddittoriamente la sentenza impugnata, dopo avere attribuito credibilità ad altri fini alle dichiarazioni dell’amministratore di diritto, NOME COGNOME, aveva svalutato le conferme provenienti da quest’ultimo, quanto all’impiego, per finalità coerenti con l’oggetto sociale, delle somme bonificate nel gennaio 2009 in favore della RAGIONE_SOCIALE; b) che la Corte d’appello illogicamente aveva concluso per la sussistenza del dolo, dal momento che, alla stregua di quanto dedotto con l’atto di appello, il quadro economico – finanziario della società, nel momento in cui i bonifici erano stati disposti, era tale da escludere qualunque consapevolezza di ledere la garanzia patrimoniale; e) che, pertanto, l’operazione poteva al più essere qualificata come manifestamente imprudente.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di lecige, in relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, posto che, incontroversa la mancanza di contabilità a partire dall’esercizio 2009, la curatela era riuscita ad individuare immediatamente l’operazione ritenuta sospetta; d’altra parte, si aggiunge, dal 2009 la società era inattiva, con la conseguenza che non vi erano altre operazioni da contabilizzare.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, dal momento che erroneamente la sentenza impugnata aveva escluso che si
fosse verificato l’effetto estintivo di cui all’art. 445 cod. proc. pen., in relazione al reato oggetto della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Biella del 21 marzo 2000, irrevocabile il 22 maggio 2000, in ragione della commissione, nel quinquennio, del delitto oggetto della sentenza del medesimo G.i.p. del 12 febbraio 2003, irrevocabile il 5 aprile 2003: infatti quest’ultima riguardava un reato commesso il 14 dicembre 1999, ossia in data antecedente al passaggio in giudicato della sentenza del 21 marzo 2000.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, nonché conclusioni scritte nell’interesse dell’imputato.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è, nel suo complesso, infondato, dal momento che, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
Premesso che nessuno dubita che la deposizione del teste COGNOME costituisca prova dichiarativa, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto non determinante la conferma proveniente dal primo, quanto all’utilizzo delle risorse contestate come distratte per il compimento di un atto rientrante nell’oggetto sociale, rilevando che lo stesso aveva riferito de relato. Il ricorso contesta siffatta conclusione, ma non indica le basi obiettive di siffatta affermazione, con la conseguenza che, sul punto, è del tutto assertivo. Quanto osservato dimostra che il giudice di secondo grado non è incorso in alcuna contraddittorietà poiché
non ha ritenuto che il COGNOME, in questo caso, abbia mentito ma ha solo dubitato dell’obiettivo fondamento della conoscenza dei fatti.
Ma vi è di più. La Corte d’appello, indipendentemente dalla fonte di conoscenza sulla quale riposerebbe il narrato del COGNOME, ha escluso la veridicità della deduzione secondo la quale le somme distratte sarebbero state destinate all’acquisto di un immobile all’estero, sia perché le fatture ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE in corrispondenza del pagamento indicavano come causale dei due bonifici non l’acquisto di un immobile ma Oa consulenza immobiliare prestata dalla RAGIONE_SOCIALE (e sul punto il ricorso è del tutto silente) sia perché, in stretta correlazione temporale, era stato concluso un mutuo di scopo, finalizzato alla ristrutturazione di altro immobile della società e grazie al quale erano state ottenute le somme poi “scomparse” nell’affare del quale si tratta: tutto questo in un contesto di integrale assenza di documentazione contabile che illumina il dolo degli agenti (e, per quanto qui rileva, del COGNOME).
Il fatto che la società sia stata in grado di pagare le rate di mutuo sino al giugno 2011 non esclude in alcun modo il concreto pericolo per le ragioni creditorie verificatosi nel momento in cui nel 2009 un importo certamente significativo (120.000 euro) è stato distratto senza contropartita alcuna, nonostante gli impegni assunti per la ristrutturazione dell’immobile della società.
Il secondo motivo è privo di specificità, dal momento che reitera censure alle quali la Corte d’appello ha puntualmente replicato in t:ermini che non esibiscono alcuna illogicità. Invero, fermo restando che proprio le operazioni sopra ricordate smentiscono in radice che la società fosse “inattiva” (e ciò rende ultronea ogni considerazione sul fatto che i doveri di tenuta delle scritture non vengono meno in tale ipotesi), si osserva che razionalmente i giudici di merito hanno correlato la carenza di scritture, sul piano cronologico e teleologico, all’operazione distrattiva, ricostruita solo grazie alla documentazione dei movimenti bancari e non certo all’osservanza dei doveri contabili dell’imprenditore.
È invece fondato il terzo motivo di ricorso, dal momento che la decisione della Corte di escludere l’operatività del meccanismo estintivo previsto dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., in relazione al reato oggetto della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Biella del 21 marzo 2000, per effetto della condanna inflitta con la sentenza del medesimo G.i.p. del 12 febbraio 2003, non considera che il reato giudicato con quest’ultima sentenza è stato commesso in data 14 dicembre 1999 ed è, pertanto, anteriore alla data di pronuncia della prima sentenza, laddove la rilevanza del nuovo illecito richiede che esso sia commesso
nei cinque anni dall’irrevocabilità della sentenza di patteggiamento (v., ad es., in motivazione, Sez. 1, n. 28616 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281642 – O). Ne segue l’annullamento senza rinvio della sentenza sul punto, senza rideterminazione della pena, che resta immutata, posto che l’incidenza della recidiva è stata elisa dal riconoscimento nella massima estensione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti applicate sul minimo edittale della pena.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23/02/2024