Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2908 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2908 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Livorno il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Vecchiano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2021 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C) e per il rigetto dei ricorsi nel resto;
udito il difensore della parte civile fallimento RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il suo rigetto, e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
uditi i difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato, riducendo la durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza del Tribunale di Lucca del 23 ottobre 2018 che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per più condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, una condotta di bancarotta fraudolenta documentale ed una condotta di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose, in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato in data 11 aprile 2014 e, unificate a fini sanzionatori le varie condotte in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ex art. 219, secondo comma, n. 1, r d. n. 267 del 1942 ed applicata l’aggravante dal danno patrimoniale di rilevante gravità, li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia ed al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della curatela fallimentare, costituitasi parte civile, cui era assegnata una provvisionale.
In particolare, i due imputati, quali amministratori di fatto di detta societ fino alla dichiarazione di fallimento, l’COGNOME quale amministratrice unica dal 20 ottobre 2007 al 21 gennaio 2013, il COGNOME quale amministratore unico dal 21 gennaio al 19 marzo 2013, nonché quale institore dal 25 maggio 2006 al 21 gennaio 2013, all’esito del giudizio di secondo grado risultano condannati per: avere, in concorso tra loro, alienato in data 18 marzo 2013 il il complesso RAGIONE_SOCIALE «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE» alla neocostituita RAGIONE_SOCIALE, amministrata ed integralmente partecipata dalla COGNOME, ad un prezzo nettamente inferiore al suo valore e peraltro corrisposto mediante accollo non liberatorio di debito verso la Banca CR di Volterra (capo Al); per avere corrisposto nell’anno 2012 a NOME COGNOME, madre del COGNOME, la somma di euro 77.000,00 giustificando la dazione con un contratto preliminare simulato al quale non faceva seguito la stipula del definitivo e poi utilizzando parte di detta somma per la sottoscrizione dell’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE (capo A2); per avere distratto, in favore della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 40.000,00 ricevuta da NOME COGNOME quale acconto sul prezzo di acquisto di un immobile facente parte del suddetto complesso RAGIONE_SOCIALE (capo A3); per avere distratto un’autovettura condotta in leasing o almeno la somma di euro 10.000,00, pari a parte dei canoni già versati, in conseguenza della cessione a titolo gratuito del contratto di leasing alla RAGIONE_SOCIALE nel marzo 2013 (capo A4); per avere tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, in particolare omettendo di tenere i partitari ed ogni altra scrittura successivamente
al 31 dicembre 2011 (capo B); per avere cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose ed in particolare agendo sistematicamente in spregio degli impegni assunti nei confronti dei promissari acquirenti, promettendo in vendita immobili di cui la società non era proprietaria o promettendo in vendita gli stessi immobili a più persone ed in tal modo gravando la società di obbligazioni restitutorie o risarcitorie (capo C).
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dei loro difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando complessivamente dodici motivi.
2.1. Con il primo motivo entrambi i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione in ordine all’attribuzione nei loro confronti della qualifica d amministratori di fatto, non avendo la Corte di merito dato risposta a specifici motivi di gravame.
2.1.1. Quanto alla posizione di NOME COGNOME, dopo avere richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione in ordine alla figura dell’amministratore di fatto e aver posto in evidenza che per l’attribuzione di detta qualifica è necessaria un esercizio sistematico e continuativo di funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, il ricorrente segnala che gli elementi sulla base d quali gli è stata attribuita detta qualifica non sono congruenti, poiché la Corte di appello ha a tal fine evidenziato che tutti gli acquirenti si erano sempre relazionati con la coppia COGNOME ed COGNOME e che il COGNOME era stato institore della società con ampi poteri, ma la prima circostanza non valeva a dimostrare che il COGNOME fosse un amministratore di fatto e quanto alla seconda occorreva valutare l’estensione dei poteri conferiti con la procura, tali da non trasformare il COGNOME i un amministratore di fatto.
A tali rilievi non sarebbe stata data adeguata risposta, cosicché la motivazione risulterebbe apodittica.
Né potrebbero assumere rilevanza la circostanza che il COGNOME fosse titolare di una quota di partecipazione pari al 96% del capitale della società fallita, non essendo la qualità di socio indicativa di una contestuale qualità di amministratore di fatto, e la circostanza che la COGNOME ed il COGNOME convivessero ed avessero avuto un figlio.
In relazione, poi, all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale (capo B), le procure institorie, la prima del 25 maggio 2006 e la seconda del 20 febbraio 2008, non facevano riferimento alcuno alla contabilità della società e non attribuivano al COGNOME alcun potere in proposito. Anche in relazione a tale questione la Corte territoriale è rimasta silente. Né in motivazione si chiarisce
come il COGNOME abbia contribuito al delitto di bancarotta fraudolenta documentale nel limitatissimo periodo in cui egli ha assunto la qualifica di amministratore unico della società poi fallita.
2.1.2. Quanto alla posizione di NOME COGNOME, con riferimento alla condotta di bancarotta fraudolenta documentale, la Corte territoriale, lamenta la ricorrente, ha omesso di prendere in considerazione alcuni aspetti emersi nel corso dell’esame del curatore fallimentare ossia che sino al 31 dicembre 2012 la contabilità era stata tenuta e nel 2012 era parzialmente incompleta con riguardo a partitari ed elenchi fornitori; poiché l’imputata aveva cessato di essere amministratrice unica il 21 gennaio 2013, non poteva esserle mosso alcun rimprovero, né sussistevano elementi sulla base dei quali affermare che l’imputata anche negli anni successivi avesse amministrato di fatto la società; sul punto la Corte di appello ha espresso una mera congettura basata sul rapporto affettivo tra i due imputati.
2.2. Con il secondo motivo entrambi gli imputati lamentano la manifesta illogicità della motivazione, anche in conseguenza del travisamento della prova, in ordine alla natura distrattiva della cessione del complesso «ex RAGIONE_SOCIALE», nonché la mancanza di motivazione in ordine a specifici motivi di gravame contenuti nell’appello.
I ricorrenti segnalano che la Corte di merito ha ritenuto irrilevante la entità del prezzo pattuito, osservando che esso non era stato corrisposto, non essendovi stata neppure l’estinzione dei due mutui ipotecari oggetto di accollo; l’estinzione dei mutui era avvenuta, per le rispettive frazioni di competenza, per effetto dei pagamenti eseguiti dagli acquirenti di singole frazioni del complesso RAGIONE_SOCIALE, ai quali le singole unità immobiliari erano state vendute dalla RAGIONE_SOCIALE ricavando un buon guadagno, superiore al milione di euro.
In tal modo la Corte di appello, lamentano i ricorrenti, avrebbe eluso il tema del prezzo di cessione del complesso RAGIONE_SOCIALE, che nel capo di imputazione era elemento centrale. Nell’atto di appello si era sostenuto che se il prezzo della cessione doveva ritenersi corretto, non poteva sostenersi che vi fosse stata distrazione.
La motivazione della sentenza di secondo grado sarebbe, poi, in ogni caso illogica, poiché, affermando che la corresponsione del prezzo non vi era stata, avrebbe trascurato il contenuto del gravame, al quale viene fatto rinvio nel ricorso, e avrebbe travisato un rilevante elemento di prova, avendo la RAGIONE_SOCIALE provveduto, oltre che ad accollarsi i mutui, a corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 492.492,00, risultante dal pagamento di tre fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per stati di avanzamento lavori anteriori alla cessione, ed euro 924.608,00, importo pari agli anticipi corrisposti
dai promissari acquirenti di dieci unità immobiliari alla RAGIONE_SOCIALE che erano state loro successivamente trasferite, a seguito della cessione del cantiere, dalla RAGIONE_SOCIALE
Le predette circostanze erano state argomentate e documentate dal consulente tecnico di parte, che aveva depositato la propria relazione, e ribadite nell’atto di appello, ma su di esse la Corte territoriale non si è pronunciata.
Quanto, poi, alla mancanza del corrispettivo ed al carattere non liberatorio dell’accollo, la Corte di merito non ha considerato che esso costituisce una tipica forma di pagamento del prezzo della compravendita RAGIONE_SOCIALE. Peraltro, il bene ceduto era gravato da tre ipoteche ed è irrilevante il carattere liberatorio o meno dell’accollo, poiché il creditore ipotecario aggredisce il bene e non il debitore. Ritenere distrattiva la vendita di un immobile gravato da garanzie ipotecarie è illogico poiché la cessione non comporta alcun pregiudizio per i creditori, poiché quelli garantiti da ipoteca conservano la loro garanzia, mentre quelli non garantiti da ipoteca non avrebbero potuto comunque soddisfarsi sul bene ceduto. In realtà il bene era gravato da mutui garantiti da ipoteca per un importo pari al doppio del mutuo erogato. Doveva, quindi, essere comunque valutata la congruità del prezzo di cessione.
Né poteva avere rilievo che i mutui fossero stati poi estinti dagli acquirenti delle singole unità derivate dal frazionamento del complesso RAGIONE_SOCIALE o che la società acquirente facesse capo all’imputata COGNOME.
Quanto, poi, alla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE avesse ottenuto dalla vendita delle unità ricavate dal frazionamento del complesso RAGIONE_SOCIALE un buon guadagno, anch’essa doveva ritenersi irrilevante, in mancanza di una stima del complesso al momento della sua cessione.
2.3. Con il terzo motivo (rubricato come «MOTIVO II -BIS»), i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 191 e 238-bis cod. proc. pen. e quindi la inutilizzabilità della sentenza del 18 settembre 2019 del Tribunale di Lucca, in quanto non irrevocabile.
Con detta sentenza il Tribunale di Lucca ha accolto l’azione revocatoria proposta dalla curatela fallimentare contro la RAGIONE_SOCIALE e volta a far dichiarare l’inefficacia della cessione del predetto complesso.
La difesa degli imputati si era opposta all’acquisizione del documento, prodotto dalla parte civile nel giudizio di appello, ma la Corte di appello aveva acquisito il provvedimento, utilizzandolo per motivare la decisione in ordine alla dannosità della cessione per i creditori.
2.4. Con il quarto motivo (rubricato come «MOTIVO II-TER»), i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso una perizia di stima del
valore del complesso RAGIONE_SOCIALE alla data della cessione.
Sostengono che la Corte territoriale non avrebbe motivato sul punto, limitandosi ad osservare l’irrilevanza della entità del prezzo pattuito per poi affermare il pregiudizio per le ragioni creditorie derivante dalla cessione utilizzando la suddetta sentenza civile non irrevocabile e quindi non utilizzabile.
2.5. Con il quinto motivo (rubricato come «MOTIVO III»), i ricorrenti lamentano la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine a specifici motivi di appello con riguardo al carattere simulato del contratto preliminare di vendita di un immobile tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME ed alla connessa distrazione di somme di denaro.
In relazione al capo A2) i ricorrenti affermano di avere dedotto con l’atto di appello che il contratto preliminare aveva ad oggetto una vendita di cosa futura o altrui, costituita da un immobile della famiglia paterna del COGNOME e che, sulla base di accordi intervenuti tra il padre e gli zii dell’imputato, sarebbe dovuto rientrare nell’asse ereditario paterno e quindi essere destinato al COGNOME ed alla madre di questo, NOME COGNOME, che ne avrebbe conservato una piccola porzione da destinare a propria abitazione.
La prova di tali circostanze era ricavabile non solo dalle dichiarazioni dell’imputato, ma anche da numerosi documenti prodotti dalla difesa e che dimostravano l’esistenza di un progetto di frazionamento e ristrutturazione dell’immobile risalente al 13 novembre 2009 e la volontà delle zie dell’imputato di vendere le loro quote del bene, come rappresentato in una lettera proveniente dall’AVV_NOTAIO e datata 21 ottobre 2010.
La Corte di appello aveva ritenuto fittizia tale operazione sulla base di mere congetture, osservando che non era stata presentata alcuna pratica edilizia al Comune competente e che gli accordi interni tra coeredi non potevano vincolare soggetti terzi, ai quali avrebbero invece dovuto partecipare gli effettivi proprietari del bene promesso in vendita.
Sostengono allora i ricorrenti che il primo argomento è irrilevante, atteso che alla presentazione delle pratiche avrebbero provveduto l’imputato e sua madre dopo avere acquistato la proprietà dell’immobile, non potendo i relativi oneri essere fatti gravare sui venditori, mentre il secondo argomento è fallace, essendo del tutto lecite la vendita di cosa futura e la vendita di cosa altrui, disciplinate dagli artt. 1472 e 1478 cod. civ. Né era stata dimostrata l’insussistenza originaria delle condizioni per la stipula di un contratto preliminare di vendita di cosa futura.
Neppure la Corte di appello si è confrontata con le prove offerte dalla difesa, cosicché la sentenza risulta affetta anche da carenza di motivazione.
2.6. Con il sesto motivo (rubricato come «MOTIVO IV»), i ricorrenti si
dolgono, in relazione al reato di cui al capo A3) dell’imputazione, della manifesta illogicità e mancanza della motivazione in ordine ai motivi di gravame oltre che in conseguenza del travisamento della doglianza contenuta nell’atto di appello.
La sentenza di secondo grado aveva erroneamente affermato che i fatti non erano contestati, mentre con il gravame si era sostenuta la legittimità dell’operazione.
Nell’atto di appello era stato evidenziato che il preliminare di vendita era stato concluso da NOME COGNOME con la RAGIONE_SOCIALE in data 18 febbraio 2013, ma, poiché questa aveva promesso in vendita alla RAGIONE_SOCIALE il complesso di cui faceva parte l’unità RAGIONE_SOCIALE oggetto del contratto con il COGNOME con effetti economici dal 1 gennaio 2013, doveva ritenersi del tutto legittimo l’incasso da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’acconto sul prezzo relativo alla vendita di una unità che era parte del complesso da essa acquistato.
Solo la circostanza che l’acconto fosse stato versato dal COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE non aveva costituito oggetto di contestazione, cosicché la Corte territoriale, con la motivazione della sentenza qui impugnata, ha dimostrato di avere travisato il significato del rilevo formulato con l’appello.
Peraltro, il COGNOME aveva poi definitivamente acquistato la proprietà dell’immobile.
Neppure la Corte di appello si era pronunciata sulla richiesta di ritenere la distrazione della somma di euro 40.000,00 versata dal COGNOME a titolo di acconto assorbita nella condotta di cui al capo Al).
2.7. Con il settimo motivo (rubricato come «MOTIVO V»), i ricorrenti lamentano, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato al capo A4), la manifesta illogicità della motivazione, anche quale effetto del travisamento della documentazione attestante il subentro della RAGIONE_SOCIALE nel contratto di leasing dell’autovettura, nonché la mancanza di motivazione in ordine ai motivi di appello.
Il Tribunale aveva ritenuto la cessione del contratto di leasing una condotta distrattiva in quanto attuata senza alcuna contropartita per la fallita e quindi gratuitamente.
In realtà, era stato provato che la fallita non era proprietaria della autovettura, detenuta in virtù di un contratto di leasing, e che la RAGIONE_SOCIALE era regolarmente subentrata nel contratto versando una somma di denaro.
La Corte territoriale, alla quale era stato rappresentato quanto sopra esposto, ha replicato che non risultava il contratto di cessione del leasing e che neppure vi era una fattura di vendita del bene al suo valore ed al netto delle rate
ancora non scadute.
In realtà, il contratto avente ad oggetto la cessione del contratto di leasing era stato prodotto all’udienza del 16 gennaio 2018 ed indicato quale Allegato B1.
La difesa dell’imputato aveva anche provato che la cessione era avvenuta a titolo oneroso producendo una scrittura privata del 11 novembre 2013 che prevedeva la dazione di un assegno di euro 10.000,00 (Allegato B2) e che il valore dell’auto, risultante dai listini pubblicati su riviste specializzate, era pari euro 31.000,00, IVA compresa.
Considerate le rate residue da versare, pari ad euro 20.791,54, la somma di euro 10.000,00 era da ritenersi congrua.
Quanto, poi, alla mancanza della fattura di vendita, il rilievo della Corte territoriale risulta illogico, potendo detta mancanza integrare, semmai, una mera irregolarità fiscale.
In ogni caso, la motivazione risulta mancante, non avendo dato risposta ai motivi di appello.
2.8. Con l’ottavo motivo (rubricato come «MOTIVO VI»), i ricorrenti lamentano, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato al capo B), la violazione dell’art. 216, primo comma, n. 2, r.d. n. 267 del 1942, per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nonché la manifesta illogicità e mancanza della motivazione, in ordine alla sussistenza del dolo.
I ricorrenti, oltre a ribadire che non sussiste in capo ad essi il requisit soggettivo della qualità di amministratori della fallita, sostengono che essendo il curatore fallimentare, grazie ai suoi sforzi, comunque riuscito a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari della fallita sulla base della documentazione acquisita, non ricorrerebbe uno degli elementi costitutivi del reato; a tal fine richiamano la giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279346) laddove ha affermato che sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta documentale anche laddove la documentazione sia stata ricostruita aliunde, ossia ricorrendo ad elementi estranei alla contabilità e sostengono la ricostruzione operata dal curatore è stata resa possibile dalla documentazione allo stesso consegnata, cosicché non solo è mancato il danno all’interesse protetto, ma anche il mero pericolo.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato, limitandosi ad affermare in modo apodittico che sarebbe evidente la sussistenza di un disegno volto ad impedire la ricostruzione di quanto accaduto, onde occultare le distrazioni e gli altri illeciti commessi dagli imputati. In realtà, per i ricorrenti, l’omessa tenuta della contabilità nell’ann 2013 andava ricondotta all’inattività della società in quell’anno.
Né poteva sostenersi che le finalità indicate dalla Corte di merito potessero essere realizzate attraverso l’omessa tenuta della contabilità relativa al solo anno 2013, risultando invece correttamente tenute le scritture relative agli anni precedenti.
2.9. Con il nono motivo (rubricato come «MOTIVO VI-BIS»), i ricorrenti lamentano, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato al capo B), la violazione dell’art. 217, secondo comma, r.d. n. 267 del 1942, per non avere la Corte territoriale riqualificato il fatto come bancarotta semplice documentale, e mancanza di motivazione in ordine al rigetto di specifici motivi di gravame.
I ricorrenti sostengono che la Corte di merito non avrebbe dato risposta ai motivi di gravame volti ad invocare la suddetta riqualificazione e che, poiché l’omessa tenuta delle scritture contabili era contenuta in un periodo compreso nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento, il fatto andava riqualificato come bancarotta semplice documentale e sussiste la violazione del citato art. 217.
2.10. Con il decimo motivo (rubricato come «MOTIVO VII»), i ricorrenti lamentano, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato al capo C), la violazione dell’art. 223, secondo comma, n. 2, r.d. n. 267 del 1942, nonché la mancanza della motivazione in ordine al rigetto dei motivi di appello.
Sostengono che la Corte di merito avrebbe affermato la loro responsabilità limitandosi ad affermare il compimento da parte loro delle azioni dolose ed il nesso causale tra tali operazioni e l’intervenuto fallimento, senza motivare in ordine all’elemento soggettivo che richiede la prevedibilità del dissesto quale effetto della condotta antidoverosa; il fallimento deve essere previsto quale conseguenza dell’azione.
Con l’atto di appello si era sostenuto che le condotte contestate agli imputati non integravano azioni dolose, che le stesse non avevano cagionato il fallimento e che comunque tali condotte non érano state attuate con la consapevolezza o la previsione che da esse potesse derivare il fallimento della società.
L’atto di appello, al punto 2 del terzo motivo, censurava anche la ricostruzione fattuale operata dalla sentenza di primo grado, sostenendo che le operazioni, esaminate analiticamente, erano colpose e non dolose.
In particolare, quanto alla vendita dell’immobile a NOME COGNOME era stato evidenziato che quest’ultimo era stato citato dalla RAGIONE_SOCIALE e non viceversa e gli altri contratti preliminari risalivano a molti anni prima de fallimento, cosicché non era sostenibile che essi fossero preordinati alla causazione del fallimento o che fossero stati conclusi in sua previsione. Alcuni
contenziosi erano stati conclusi transattivamente mentre in relazione ad altre vicende non vi era stata alcuna attività istruttoria.
Sul punto la Corte di merito si era limitata ad affermare che «È impressionante il contenzioso che questo comportamento spregiudicato degli imputati ha fatto sorgere», ritenendo che dalla molteplicità delle operazioni emergesse la prova del dolo, cosicché la motivazione risulta meramente apparente.
2.11. Con l’undicesimo motivo (rubricato come «MOTIVO VII-BIS»), i ricorrenti lamentano, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato al capo C), la violazione dell’art. 224 r.d. n. 267 del 1942, per non avere la Corte territoriale riqualificato il fatto come bancarotta semplice impropria, e mancanza di motivazione in ordine al rigetto di specifici motivi di gravame.
Sostengono che la Corte di appello, limitandosi ad affermare che non può esservi dubbio sulla circostanza che gli imputati abbiano commesso operazioni dolose che hanno concorso a cagionare o aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge, ha reso una motivazione meramente apparente.
2.12. Con il dodicesimo motivo (rubricato come «MOTIVO VIII»), i ricorrenti lamentano, in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Sostengono che, a fronte dei motivi di appello, anche in relazione a tale punto la motivazione sarebbe meramente apparente; né sarebbe stata fornita motivazione sul carattere doloso delle operazioni di cui al capo C) e quindi sulla gravità del reato. Neppure la Corte territoriale si confronta con l’incensuratezza della COGNOME e con lo scarso rilievo attribuito dal Tribunale ai precedenti penali del COGNOME o motiva sull’effettiva entità del danno cagionato, fatto coincidere in modo automatico con l’ammontare del passivo. La motivazione sarebbe altresì illogica laddove non attribuisce rilievo alla condotta processuale degli imputati, affermando che gli stessi si sarebbero solo preoccupati di difendersi dalle accuse proponendo una ricostruzione fattuale rimasta indimostrata, sanzionandoli per avere legittimamente esercitato il loro diritto a difendersi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve rilevarsi che la qualifica di amministratori di fatto in capo agli odierni ricorrenti non assume rilievo ai fini dell’affermazione di penale responsabilità per
i fatti per i quali essi sono risultano condannati all’esito del giudizio di appello.
Deve rilevarsi, infatti, che, sulla base della ricostruzione fattuale dei giudic del merito, non oggetto di contestazione sul punto, NOME COGNOME è stato institore dal 25 maggio 2006 al 21 gennaio 2013 e poi amministratore unico dal 21 gennaio 2013 al 19 marzo 2013.
In particolare, ai sensi dell’art. 227 r.d. n. 267 del 1942, all’instito dell’imprenditore dichiarato fallito che, nella gestione affidatagli, si sia re colpevole dei fatti di cui agli artt. 216, 217, 218 e 220 si applicano le pene previste dalle medesime disposizioni.
L’art. 2204 cod. civ. prevede che l’institore può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura.
I poteri dell’institore sono, quindi, amplissimi e il contenuto della procura vale solo ad individuare eventuali limiti a tali poteri; nel silenzio della procur tali limiti devono ritenersi inesistenti.
Ai sensi dell’art. 2205 cod. civ. l’institore, per le imprese o le sedi secondarie alle quali è preposto, è tenuto, insieme all’imprenditore, all’osservanza delle disposizioni riguardanti la tenuta delle scritture contabili.
Ne consegue che per il periodo dal 2006 al 19 marzo 2013 l’affermazione di penale responsabilità del COGNOME per i reati per i quali ha riportato condanna non richiede il possesso da parte sua della qualità di amministratore di fatto, essendo sufficiente quella di institore sino al 21 gennaio 2013 e poi quella di amministratore di diritto sino al 19 marzo 2013.
Quanto alla ricorrente COGNOME, la stessa ha rivestito la posizione di amministratrice di diritto dal 20 ottobre 2007 al 29 gennaio 2013, cosicché per tale periodo la questione è priva di rilievo. Per il periodo successivo, basta osservare che la stessa è stata amministratrice della RAGIONE_SOCIALE, acquirente del compendio RAGIONE_SOCIALE «RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE» e comunque destinataria delle altre utilità economiche che hanno costituito oggetto di distrazione, cosicché la sua responsabilità poggia non sulla qualità di amministratrice di fatto della fallita, ma sulla qualità di extranea concorrente nelle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesse dal COGNOME.
Laddove, poi, la ricorrente COGNOME sostiene, in seno al primo motivo di ricorso, con riferimento alla condotta di bancarotta fraudolenta documentale, che la contabilità era stata tenuta fino al 2012 e che, avendo la stessa cessato di essere amministratrice della fallita in data 21 gennaio 2013, non le potrebbe essere mosso alcun rimprovero, deve osservarsi che, contrariamente a quanto dalla stessa sostenuto, i giudici del merito hanno accertato che le scritture contabili hanno consentito di ricostruire il movimento degli affari solo sino a tutto
il 2011, mentre per il 2012 la loro incompletezza non ha permesso detto accertamento e, considerato che nel periodo successivo al 2011 si concentrano le condotte distrattive, hanno ritenuto sussistente il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, essendo l’irregolare tenuta delle scritture diretta anche ad occultare tali condotte.
In tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, COGNOME, Rv. 283659).
Da quanto sopra esposto deriva anche la infondatezza dell’ottavo e del nono motivo di ricorso, che possono essere trattati assieme, in quanto entrambi volti ad attaccare l’affermazione di penale responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Entrambi i giudici del merito affermano che le carenze nella tenuta delle scritture contabili non hanno consentito di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari sia per l’anno 2012, sia per l’anno 2013, cosicché l’ottavo motivo, che poggia su una ricostruzione fattuale diversa, secondo la quale la irregolare tenuta delle scritture sarebbe limitata all’anno 2013 e troverebbe giustificazione nella sopravvenuta inattività della società poi fallita, risu inammissibile in questa sede di legittimità, poiché postula una rivalutazione del fatto alla quale potrebbe pervenirsi solo attraverso un nuovo esame del materiale istruttorio, non consentito a questa Corte di cassazione.
Laddove, poi, essi sostengono che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è stata possibile per il curatore, sebbene con uno sforzo particolare, sulla base delle sole scritture contabili, il motivo è infondato.
Nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo c particolare diligenza (Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455; Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 265682; Sez. 5, n.
21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965).
Con riguardo al nono motivo di ricorso, entrambi i giudici del merito hanno evidenziato che la concomitanza tra le condotte distrattive e la condotta di irregolare tenuta della contabilità, fa apparire quest’ultima finalizzata nascondere le prime, cosicché appare corretta la qualificazione giuridica del reato contestato al capo B), non rilevando che l’irregolare tenuta delle scritture sia compresa nel triennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, considerato il diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico, finalizzato, nel caso di specie, a celare le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti diretti ad attaccare l’affermazione di penale responsabilità per il delitto di cui al capo Al), sono infondati.
Secondo la ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, sul punto non contestata dai ricorrenti, il complesso è stato ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 2.867.000,00, che è stato regolato tra le parti, già nell’atto di vendita, mediante accollo no liberatorio di due mutui fondiari, garantiti da ipoteca, erogati dalla Cassa di risparmio di Volterra.
Questa Corte di cassazione ha già più volte affermato che è idonea ad integrare un’ipotesi di bancarotta per distrazione la cessione di beni gravati da ipoteca senza corrispettivo in denaro, ma solo mediante accollo cumulativo da parte dell’acquirente del mutuo concesso per l’acquisto degli stessi, accollo che non libera il debitore (Sez. 5, n. 20807 del 05/03/2018, Esposito, Rv. 273032) poiché simili cessioni determinano una «perdita secca» per la società fallita che si priva di propri beni, mantenendo l’intero debito ad essi relativo (vedi anche Sez. 5, n. 55409 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271876; Sez. 5, n. 48061 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 278313).
La congruità dell’ammontare del prezzo pattuito è, quindi, irrilevante ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dei due imputati, potendo al massimo rilevare per accertare l’ammontare del danno cagionato ai creditori sociali.
Del tutto correttamente, quindi, i giudici del merito hanno ritenuto di rigettare la richiesta della difesa di procedere ad una perizia al fine di stabilir quale fosse il valore del compendio RAGIONE_SOCIALE.
È del pari irrilevante la circostanza che la Corte di appello, nel motivare la sua decisione, abbia fatto riferimento anche alla sentenza che ha accolto l’azione revocatoria proposta dalla curatela fallimentare, atteso che anche laddove essa fosse inutilizzabile, la natura distrattiva della cessione rimarrebbe ferma. In
sostanza, la sentenza suddetta non risulta avere carattere decisivo in questo giudizio penale.
La censura con la quale i ricorrenti si dolgono dell’omessa motivazione in ordine alle somme che essi asseríscono essere state versate dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, ossia euro 492.492,00 versati per estinguere il debito portato da tre fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e la somma di euro 924.608,00, pari agli anticipi corrisposti dai promissari acquirenti di immobili della RAGIONE_SOCIALE che erano poi stati ad essi alienati, successivamente alla cessione del compendio RAGIONE_SOCIALE «ex RAGIONE_SOCIALE», dalla RAGIONE_SOCIALE, il ricorso risulta infondato, poich anche laddove tali versamenti fossero accertati, non verrebbe meno la natura distrattiva della cessione, atteso che il prezzo di vendita non corrisposto, in quanto «coperto» dall’accollo non liberatorio dei mutui gravanti su detto compendio, risulta ben superiore alla sommatoria di detti importi.
La questione potrebbe, semmai, assumere rilievo ai fini della quantificazione del danno cagionato alla parte civile.
4. Infondato è il quinto motivo di ricorso.
I giudici del merito hanno ritenuto distrattiva la stipula del contratt preliminare di cui al capo A2) accompagnata dalla dazione a COGNOME NOME della somma di euro 67.000,00 non perché ritenessero invalida la promessa di vendita di cosa altrui o di cosa futura, ma perché hanno ritenuto il contratto preliminare affetto da nullità assoluta, in quanto meramente volto a fornire una giustificazione contabile alla fuoriuscita della somma di denaro dal patrimonio della società poi fallita.
A tale conclusione essi sono pervenuti osservando che i promittenti venditori erano NOME COGNOME, odierno imputato, e la madre di quest’ultimo, NOME COGNOME, che neppure avevano ancora acquistato la proprietà dell’immobile da essi promesso in vendita e che la società promittente acquirente già versava in stato di insolvenza; in effetti, appare anomalo che la RAGIONE_SOCIALE si privasse di una somma di denaro non irrilevante in un periodo di difficoltà finanziaria senza avere la possibilità di utilizzare entro tempi brevi l’immobile nel proprio ciclo produttivo, atteso che, per le sue condizioni, la RAGIONE_SOCIALE non era più in grado di sviluppare nuovi progetti. La conclusione del contratto trova invece la sua spiegazione, secondo quanto evidenziato dai giudici del merito, nella necessità della coppia COGNOME ed COGNOME di reperire la somma di denaro occorrente per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE, alla quale trasferire, senza che fosse versato alcun corrispettivo in contanti, il complesso RAGIONE_SOCIALE ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, atteso che della somma corrisposta a
NOME COGNOME euro 50.000,00 vengono prelevati dalla COGNOME ed utilizzati quale capitale per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE In realtà, quindi, contratto preliminare di vendita era del tutto simulato e le parti del contratto non avevano alcuna intenzione di procedere alla alienazione dell’immobile che ne costituiva oggetto e, a conferma di tale circostanza, i giudici del merito evidenziano che nessuna pratica volta al frazionamento del bene o alla sua ristrutturazione era stata avviata presso le competenti autorità.
La motivazione fornita sul punto dalle due sentenze di merito, le cui motivazioni si integrano vicendevolmente, non appare carente o contraddittoria, né manifestamente illogica; né appaiono decisive le prove orali volte a dimostrare l’esistenza di accordi verbali tra i familiari del COGNOME affinch l’immobile promesso in vendita fosse assegnato a lui ed a sua madre NOME COGNOME, poiché, come si è detto, la simulazione non è stata desunta dalla altruità del bene, ma dalle ulteriori circostanze di fatto sopra indicate.
5. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Poiché, per quanto sopra già esposto, deve ritenersi la natura distrattiva della cessione del complesso RAGIONE_SOCIALE «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», la dazione alla RAGIONE_SOCIALE della somma che la RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto da NOME COGNOME a titolo di acconto per l’acquisto di una delle unità immobiliari ricavate dalla ristrutturazione di detto complesso non può trovare giustificazione nella necessità di rimettere alla cessionaria vantaggi economici derivanti dai contratti preliminari stipulati con gli acquirenti delle singole uni immobiliari.
Né può ritenersi tale dazione assorbita dalla cessione del complesso edilizio alla RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di condotta, sotto il profilo naturalisti distinta da quella di cessione della proprietà del complesso «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», avente ad oggetto un bene diverso, il denaro, e attuata in un momento diverso rispetto a quella di cessione della proprietà del complesso.
In tema di bancarotta fraudolenta distrattiva, si ha pluralità di reati laddove le singole condotte, riconducibili alle azioni tipiche previste dalle singol fattispecie incriminatrici, siano distinte sul piano ontologico, psicologico funzionale e abbiano a oggetto beni specifici differenti (Sez. 5, n. 17799 del 01/04/2022, Rizzo, Rv. 283253).
6. È, invece, fondato il settimo motivo di ricorso.
La Corte di appello ha fondato la sua decisione sulla mancanza dell’atto di cessione del contratto di leasing e sulla gratuità della cessione del contratto, mentre l’odierno ricorrente aveva prodotto documentazione, descritta nel ricorso
introduttivo del giudizio di legittimità ed ad esso allegata, al fine di provare che la cessione del contratto di leasing era avvenuta e che a fronte della stessa era stato consegnato un assegno di euro 10.000,00 a copertura della differenza tra il valore del veicolo e l’importo delle rate ancora da versare per acquistarne la proprietà.
La Corte di appello ha omesso di prendere in esame detta documentazione e comunque di motivare sul motivo di appello relativo a tale capo della sentenza, cosicché la sentenza deve essere annullata limitatamente ad esso.
7. Fondato è anche il decimo motivo.
La Corte di appello non ha affatto motivato in ordine al rigetto dei motivi di gravame volti a contestare la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose contestate al capo C), limitandosi essa ad affermare la sussistenza del nesso causale tra le «operazioni dolose» e il dissesto. Neppure viene data risposta al motivo di appello nella parte in cui si sostiene che le operazioni sarebbero caratterizzate da colpa e non da dolo. La motivazione è composta da affermazioni apodittiche e come tale risulta meramente apparente.
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente ai capi A4) e C), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio tra le parti private. L’undicesimo ed il dodicesimo motivo restano assorbiti, mentre nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo C) ed al capo A4) e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 15/09/2023.