Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11214 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11214 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Crotone il 07/05/1969, avverso la sentenza del 21/02/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Crotone che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose e, unificate le condotte in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ai sensi dell’art. 219, primo e secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del
1942, li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia.
In particolare, la Corte di appello ha prosciolto NOME COGNOME dall’imputazione di bancarotta fraudolenta impropria per non aver commesso il fatto e ha nel resto confermato la sentenza di primo grado.
A NOME COGNOME si contesta di avere, quale amministratore unico fino al 6 luglio 2010 della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 30 ottobre 201 successivamente quale amministratore di fatto della predetta società, distratto n. 6 autoveicoli in favore di società riconducibili ai suoi familiari, distratto complessiva somma di euro 45.005,00 in favore di società pure riconducibili a lui ed ai suoi familiari, distrutto le scritture contabili e cagionato il fallimento de società a mezzo di operazioni dolose consistite nella utilizzazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti onde evadere il pagamento delle imposte e nella sistematica omissione del pagamento dei contributi previdenziali, in tal modo cagionando un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando sette motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 517, 518, e 522 cod. pen. con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Sostiene che la contestazione suppletiva del reato di bancarotta fraudolenta impropria ha avuto ad oggetto un fatto nuovo ed autonomo rispetto ai reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale e non un fatto diverso.
Inoltre, l’applicabilità degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. presuppone che la prova del diverso reato oggetto di contestazione suppletiva sia già emersa o da completare, mentre nel caso di specie la prova sarebbe stata cercata in un secondo momento dal Tribunale, tanto da essersi resa necessaria una vera e propria attività istruttoria e di ricerca della prova.
Né era emerso alcun legame tra le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e quella di bancarotta fraudolenta impropria.
Conseguentemente, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 518 cod. proc. pen. che richiedeva il consenso dell’imputato.
La Corte di merito aveva ritenuto che la nullità fosse comunque sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato, mentre il difensore dell’imputato, prima di detta richiesta, aveva eccepito la nullità senza prestare alcun consenso.
Per effetto della contestazione suppletiva era stato violato il diritto di difesa dell’imputato, che era stato privato della fase dell’udienza preliminare in difetto del suo consenso.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la nullità della contestazione del capo di imputazione concernente la c.d. bancarotta fiscale per violazione del diritto di difesa.
La Corte di appello, segnala il ricorrente, ha rigettato l’eccezione di nullità affermando che le operazioni dolose erano state chiaramente individuate attraverso il richiamo alle operazioni di accertamento eseguite dalla Guardia di Finanza a partire dal 2005 nei confronti della società poi fallita e riportate nella relazione depositata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 33 r.d. n. 267 del 1942 e che in ogni caso la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato a seguito della contestazione suppletiva implicava necessariamente l’accettazione dell’imputazione formulata dall’accusa, sicché non era consentito eccepire la sua nullità per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione.
Il ricorrente deduce, allora, che la contestazione suppletiva è avvenuta all’udienza del 24 novembre 2019, mentre la relazione della Guardia di Finanza è stata acquisita successivamente, il 29 settembre 2020, e pertanto la contestazione non consentiva di comprendere quali fossero le operazioni dolose commesse dall’imputato. Né in relazione alle fatture per operazioni inesistenti era stato avviato alcun procedimento penale a carico del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 438, 441, comma 5, e 442, comma 1-bis, cod. proc. pen. e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME e del verbale di accertamento datato 27 dicembre 2007.
Il ricorrente evidenzia che la Corte di merito, per rigettare l’eccezione sollevata con l’atto di appello, ha invocato un precedente di questa Corte di cassazione (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete, Rv. 280968), sostenendo che i precedenti giurisprudenziali richiamati nell’atto di impugnazione erano risalenti.
Sostiene che la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria, poiché la decisione invocata dalla Corte territoriale ribadisce che, dovendo essere conservata la struttura accusatoria del giudizio abbreviato, il ricorso ai poteri di cui all’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. richiede che non ricorra una totale assenza di informazione probatoria.
Nel caso di specie l’integrazione probatoria sarebbe illegittima perché disposta a seguito della modifica del capo di imputazione. Dopo che le parti avevano rassegnato le loro conclusioni, il Tribunale aveva ritenuto necessario l’esame di tre testimoni e aveva disposto l’acquisizione di un verbale redatto dagli stessi testi; tale circostanza attestava la totale assenza di prova in ordine al fatto di cui alla contestazione suppletiva.
Le prove disposte d’ufficio attenevano alla ricostruzione storica del fatto, in ordine alla quale la giurisprudenza di questa Corte di legittimità non ammetterebbe l’esercizio dei poteri previsti dalla disposizione poco sopra citata (il ricorrente cita Sez. 1, n. 13739 del 28/02/2020, COGNOME, Rv. 278975).
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., della violazione degli artt. 216 e 223 r.d. n. 267 del 1942, nonché della omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione.
Quanto alla bancarotta fraudolenta impropria, nell’atto di appello era stato evidenziato che dalle relazioni del curatore fallimentare risultava che nel periodo della gestione del ricorrente la società era moderna ed efficiente ed era caratterizzata da rilevanti volumi d’affari.
La Corte di merito, lamenta il ricorrente, non ha motivato in ordine alla prevedibilità del dissesto. Il debito era pari a poco più di un milione di euro come riferito da uno dei testi appartenenti alla Guardia di Finanza, e non a oltre trentadue milioni di euro, come affermato nella motivazione della sentenza.
In ogni caso, non risulta provato in modo certo che la società poi fallita abbia utilizzato fatture per operazioni inesistenti, non essendo dall’accertamento della Guardia di Finanza scaturito alcun procedimento penale.
Con l’atto di appello era stata contestata la sussistenza del nesso causale tra l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti ed il dissesto che aveva condotto la società al fallimento e anche su tale punto la Corte di appello non ha fornito adeguata motivazione.
La sentenza ha pure motivato in modo illogico e contraddittorio nella parte in cui ha affermato la qualità di amministratore di fatto della società fallita capo al ricorrente per il periodo successivo al 2010.
La circostanza che il Muto si fosse occupato del parco automezzi della società non valeva a dimostrare tale sua qualità e l’essersi egli adoperato per individuare e recuperare alcuni veicoli era una condotta che non mirava solo a collaborare con la curatela fallimentare, ma trovava giustificazione anche nell’esigenza di tutelare i propri interessi, avendo egli garantito con fideiussione le obbligazioni della società verso i fornitori degli autoveicoli. Anche su tal censure la Corte di appello non si è espressa.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 216 e 223 r.d. n. 267 del 1942 in relazione alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, nonché la carenza di motivazione sul dolo.
Le condotte distrattive erano successive alla cessazione della carica di amministratore della società in capo al ricorrente. La Corte di merito, tuttavia, ha
desunto che egli avesse assunto la qualità di amministratore di fatto della fallita sia dalle dichiarazioni di NOME COGNOME secondo il quale il COGNOME si era sempre occupato del parco veicolare della fallita, sia dall’impegno profuso da NOME COGNOME per individuare e recuperare i veicoli in favore della curatela.
La Corte di appello, sostiene il ricorrente, non ha adeguatamente motivato in ordine alla consapevolezza delle vendite dei veicoli in capo al Muto e in ordine alla sussistenza del dolo specifico.
Anche in ordine alla distrazione della somma di denaro, non vi sarebbe prova della consapevolezza della condotta distrattiva in capo all’imputato e comunque sul punto non vi sarebbe adeguata motivazione.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 216 e 223 r.d. n. 267 del 1942 in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale, nonché la carenza di motivazione sul dolo specifico.
La Corte territoriale, segnala il ricorrente, ha affermato che le scritture contabili sono esistite sino a quando NOME COGNOME ha ricoperto la carica di amministratore della fallita e che tuttavia non è provata la loro consegna al nuovo amministratore.
Sostiene il ricorrente che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che fosse onere dell’imputato dimostrare la consegna delle scritture al nuovo amministratore, cosicché l’affermazione di penale responsabilità fondata sul mancato assolvimento di detto onere rende illogica e contraddittoria la sentenza di secondo grado.
Né la Corte di merito avrebbe motivato in ordine alla sussistenza del dolo specifico, consistente nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profit o di arrecare pregiudizio ai creditori. In ogni caso l’elemento soggettivo non può essere desunto dalla sola mancanza delle scritture contabili.
2.7. Con il settimo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt 62-bis e 133 cod. pen. e della carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
La motivazione del diniego delle attenuanti generiche sarebbe carente, poiché la Corte di merito avrebbe omesso di considerare la collaborazione prestata dall’imputato per individuare e reperire i veicoli in favore della curatela fallimentare, il buon comportamento processuale, le sue capacità imprenditoriali e la circostanza che il passivo fallimentare era stato generato quasi tutto da soprattasse ed interessi applicati sui debiti tributari della società.
Anche in ordine alla quantificazione della pena base e delle pene accessorie, non vi sarebbe un’adeguata motivazione, non essendo stata fornita risposta alle censure contenute nell’atto di appello con il quale si evidenziava la condotta
collaborativa successiva alla commissione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui sostiene che non sarebbe applicabile l’art. 517 cod. proc. pen., ma l’art. 518 cod. proc. pen. per non essere la bancarotta fraudolenta impropria connessa con i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale.
Deve in primo luogo osservarsi che, avendo il ricorrente chiesto che si procedesse nelle forme del rito abbreviato, la pretesa nullità invocata dal ricorrente ai sensi degli artt. 518 e 522 cod. proc. pen. sarebbe sanata ai sensi dell’art. 439, comma 6-bis cod. proc. pen.
Inoltre, anche qualora non si ritenesse operante detta sanatoria, deve osservarsi che con l’atto di appello l’odierno ricorrente ha sostenuto la nullità della contestazione suppletiva esclusivamente sotto due profili, ossia sulla base della circostanza che la contestazione fosse avvenuta sebbene nel corso del dibattimento non fosse ancora emersa alcuna prova della bancarotta fraudolenta impropria e perché nel capo di imputazione non venivano specificate, anche sotto il profilo cronologico, le singole operazioni inesistenti le cui fatt sarebbero state utilizzate dalla società poi fallita per ridurre in modo fraudolento il suo onere tributario.
Nell’atto di appello tali profili di doglianza vengono esplicitati nel primo e ne secondo motivo. L’odierno ricorrente, con la sua impugnazione avverso la sentenza di primo grado, non si doleva della mancanza di connessione tra i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, oggetto della originaria contestazione, e quello di bancarotta fraudolenta impropria, oggetto della contestazione suppletiva.
Ne deriva che il motivo, formulato per la prima volta con il ricorso per cassazione, incorre comunque nella sanzione dell’inammissibilità ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., considerato che la violazione dell’art. 518 cod. proc. pen. dà luogo ad una nullità a regime intermedio e non assoluta (Sez. 4, Sentenza n. 19043 del 29/03/2017, COGNOME, Rv. 269886; Sez. 2, n. 9171 del 29/01/2008, COGNOME, Rv. 239545).
Il primo motivo di ricorso è, invece, manifestamente infondato laddove si sostiene che la applicabilità degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. sarebbe preclusa laddove la prova della circostanza aggravante o del reato oggetto di contestazione suppletiva non sia già emersa nel corso del dibattimento.
Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di nuove contestazioni,
che la modifica dell’imputazione e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruttoria dibattimentale e, quindi, anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264903). La modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate all’esito dell’istruttori dibattimentale anche nel caso in cui nel corso della medesima non siano emersi elementi di prova diversi da quelli di cui il pubblico ministero disponeva al momento dell’esercizio dell’azione penale (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757; Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, Costa, Rv. 259857; Sez. 6, n. 44501 del 29/10/2009, COGNOME, Rv. 245006).
In ogni caso dalla sentenza di primo grado emerge che l’utilizzo da parte della società fallita di fatture per operazioni inesistenti e l’aggravamento del dissesto per effetto dell’applicazione di sanzioni ed interessi sono circostanze comunque emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale e precisamente a seguito dell’esame del curatore fallimentare.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato che, secondo quanto già affermato da questa Corte, si ha incertezza sul fatto che determina l’imputazione solo quando l’imputato non sia stato posto in grado di conoscere l’oggetto dell’addebito e l’attività materiale (nei suoi profili storici essenziali) in ordine alla quale viene chiamato a rispondere, risultando in tal modo preclusa o resa difficoltosa la possibilità di difesa (tra l altre, Sez. 1, n. 297 del 09/02/1990, Frau, Rv. 183761).
Peraltro, mentre, in tema di reati tributari, in caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, si configura un unico reato, che si consuma alla data dell’ultima fattura, pure se l’emissione sia avvenuta nella veste di legale rappresentante di società diverse, dovendosi fare riferimento, ai fini dell’unificazione in un medesimo reato dell’emissione di più fatture, non tanto all’identità del responsabile-persona fisica, quanto a quella del soggetto-contribuente cui l’emissione è imputabile (Sez. F., n. 34824 del 08/08/2023, COGNOME, Rv. 285095), cosicché ad ogni periodo di imposta corrisponde un autonomo reato ed assume, quindi, rilievo l’indicazione almeno dei vari periodi di imposta cui si riferiscono dette fatture, nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria c.d. fiscale non assumono rilievo i singoli periodi di imposta ma la complessiva condotta dolosa che abbia determinato anche solo un aggravamento del dissesto che abbia poi condotto
alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso di specie, la Corte ha evidenziato che le operazioni di accertamento effettuate dalla Guardia di Finanza già erano state riportate nella relazione ex art. 33 I. fall. redatta dal curatore e prodotta nel corso della iniziale istrutt dibattimentale, cosicché l’imputato era a conoscenza della condotta che gli veniva addebitata con la contestazione suppletiva.
Non rileva, quindi, la circostanza che il verbale di accertamento redatto dalla Guardia di Finanza sia stato acquisito solo in un momento successivo alla contestazione suppletiva ed alla instaurazione del giudizio abbreviato.
Né alcuna norma prevede la necessità, per la contestazione suppletiva del reato di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose, che i reati tributari abbiano costituito oggetto di altro procedimento penale e che essi siano stati definitivamente accertati in altra sede.
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Si è già detto sopra che, come emerge dalle due sentenze di merito, la bancarotta fraudolenta impropria c.d. fiscale era già emersa, nei suoi tratti essenziali dalla relazione redatta dal curatore fallimentare ed acquisita nel corso della iniziale istruttoria dibattimentale, cosicché, anche laddove si aderisse alla tesi sostenuta dal ricorrente, secondo la quale l’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. sarebbe applicabile solo per colmare le lacune di una prova incompleta ma non del tutto assente, siffatto principio sarebbe inapplicabile al caso di specie.
5. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La più recente giurisprudenza di legittimità afferma che le operazioni dolose di cui all’art. 223, secondo comma, n. 2, I. fall. attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la «salute» economico-finanziaria dell’impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione, che può anche non esserci), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato ( vedi Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247316).
È, comunque, necessaria l’astratta prevedibilità della causazione o dell’aggravamento del dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento
fallimentare (Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, COGNOME, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Rv. 212613).
Quanto alla bancarotta fraudolenta impropria c.d. fiscale, la astratta prevedibilità del dissesto è evidente, poiché il protratto esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive e tributarie, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali ed impositori, rende prevedibile il conseguente dissesto della società, in ragione della crescita esponenziale del debito dovuta all’applicazione di sanzioni ed interessi (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014 – dep. 2014, COGNOME, Rv. 261684, in motivazione). Non rileva, quindi, che inizialmente, all’epoca dell’accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza, il debito tributario risultasse ancora sostenibile e la società versasse in buone condizioni economiche.
Nel resto il ricorrente invoca una valutazione di merito in ordine alla prevedibilità del dissesto non consentita in questa sede.
Infondato è il motivo anche laddove si sostiene che la Corte di merito non avrebbe motivato in ordine al nesso di causalità tra le operazioni dolose e il dissesto della società. Il protratto, sistematico e totale inadempimento delle obbligazioni contributive e tributarie ha raggiunto dimensioni di decine di milioni di euro, tali da non risultare più fronteggiabili in alcun modo dalla società, come affermato dalla Corte di merito alle pagine 8 e 9 della motivazione della sentenza impugnata.
Quanto alla attribuzione al ricorrente della veste di amministratore di fatto della società fallita nel periodo successivo alla nomina di NOME COGNOME quale amministratore unico, deve osservarsi che, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose, rileva il possesso della qualifica – di amministratore di diritto in capo a NOME COGNOME al momento della condotta penalmente illecita ossia al momento del compimento delle operazioni dolose, restando irrilevante che nel momento in cui sono state applicate le sanzioni e gli interessi e si è prodotto l’aggravamento del dissesto la carica di amministratore della società fosse stata assunta da NOME COGNOME
Il possesso della qualità di amministratore rileva se posseduta al momento della condotta che integra il fatto di bancarotta, indipendentemente dalla avvenuta cessazione dalla carica nel momento in cui viene a prodursi il dissesto o viene dichiarato il fallimento della società.
Nel caso di specie, secondo la ricostruzione fattuale operata dalle due sentenze di merito, l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti è avvenuta in anni di imposta in cui NOME COGNOME rivestiva la carica di legale rappresentante della società poi fallita.
6. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
Le condotte distrattive sono avvenute dopo che NOME COGNOME era cessato dalla carica di amministratore di diritto della società. Tuttavia, la Corte di appell ha comunque affermato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente in quanto amministratore di fatto della fallita.
Deve, infatti, ricordarsi che, in tema di reati fallimentari, l’amministratore d fatto della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Assello, Rv. 250844, relativa a fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale).
In tema di bancarotta, la qualifica di amministratore di fatto di una società non richiede l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, essen necessaria e sufficiente una significativa e continua attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire indici sintomati dell’organico inserimento del soggetto, quale intraneus, nell’assetto societario. (Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285881).
Le due sentenze di merito affermano che NOME COGNOME nel corso della sua audizione da parte del curatore fallimentare, ha affermato che dei veicoli della società si era occupato in modo esclusivo NOME COGNOME anche nel periodo in cui quest’ultimo aveva cessato la carica di amministratore della società; inoltre, afferma la sentenza di appello, il COGNOME aveva curato i rapporti con i clienti ed i fornitori.
Tali dichiarazioni, ha cura di evidenziare la sentenza di primo grado, sono state rese da NOME COGNOME al curatore alla presenza di NOME COGNOME che non ha smentito il loro contenuto.
Peraltro, le stesse hanno trovato riscontro, secondo i due giudici di merito, nel comportamento di NOME COGNOME che effettivamente ha dimostrato di conoscere bene le vicende relative ai vari veicoli intestati alla società, consentendo la individuazione ed il recupero di un gran numero di essi.
Da tali elementi, la Corte di appello ha desunto, con motivazione giuridicamente corretta e priva di contraddizioni o illogicità, il possesso della qualità di amministratore della fallita in capo a NOME COGNOME e la ingerenza di quest’ultimo nelle condotte distrattive relative ai veicoli della fallita.
Quanto alla distrazione della somma di denaro, in materia di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società
dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 255385). Anche ipotizzando che la distrazione sia materialmente stata attuata da NOME COGNOME, di essa deve rispondere anche l’odierno ricorrente in qualità di amministratore di fatto, atteso che, in base al precedente giurisprudenziale più sopra richiamato, anche all’amministratore di fatto si applica il principio per il quale è configurabile il concorso ex art. 40, secondo comma, cod. pen. qualora l’amministratore di una società, violando l’obbligo di vigilanza e quello di attivarsi in presenza di atti pregiudizievoli, abb consentito ad altri amministratori (e quindi anche all’amministratore di diritto) di perpetrare delitti fallimentari.
7. Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha affermato che NOME COGNOME dopo essere cessato dalla carica di amministratore di diritto, ha comunque continuato ad amministrare di fatto la società poi fallita, cosicché anche su di lui, e non solo su NOME COGNOME gravava l’obbligo di custodire le scritture contabili per il periodo dal 2010 sino alla dichiarazione di fallimento.
La avvenuta consegna delle scritture contabili al Mesoraca è, quindi, circostanza irrilevante ai fini della affermazione della penale responsabilità dell’odierno ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Quanto alla denunciata carenza di motivazione del dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale mediante sottrazione o occultamento delle scritture contabili, essa non ricorre, atteso che la Corte di merito ha adeguatamente motivato, ponendo in collegamento la distruzione delle scritture contabili con le condotte di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose e patrimoniale, osservando che la scomparsa delle scritture trova giustificazione nell’intento di NOME COGNOME e NOME Mesoraca di occultare tali condotte ed assicurarsi l’impunità e tale motivazione appare del tutto logica, considerato che la distruzione delle scritture è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.
8. Il settimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269).
In particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899) e nel caso di specie la Corte di appello ha fatto riferimento alla notevole gravità del fatto, che denota una spiccata capacità a delinquere.
Quanto alla determinazione della pena base ed alla durata delle pene accessorie, la Corte di appello ha motivato richiamando la motivazione del Tribunale che ha affermato la necessità di applicare una pena distante dal