Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23848 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23848 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POLISTENA il 13/01/1981
avverso la sentenza del 13/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione,
NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Udite le conclusioni del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 febbraio 2025 la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato in punto di trattamento sanzionatorio e nel resto confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palmi del 5 aprile 2018, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale nella qualità di titolare della impresa individuale ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME‘ , dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Palmi in data 30 giugno 2014.
Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l’imputato, attraverso il difensore di fiducia, articolando i motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della bancarotta fraudolenta distrattiva e alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nella fase delle indagini preliminari.
La sentenza impugnata ha posto a fondamento della decisione le dichiarazioni rese dall’allora indagato nella fase delle indagini in assenza del difensore, in quanto tali inutilizzabili.
Né alcun inventario presso il magazzino dell’impresa è stato effettuato in ragione della indisponibilità di cancellieri presso il Tribunale in periodo feriale. Conseguentemente non vi è prova della sussistenza di cespiti attivi ed esistenti e, in quanto tali, sottratti.
2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della bancarotta fraudolenta documentale e alla mancata riqualificazione in ipotesi di bancarotta documentale semplice.
Contrariamente a quanto affermato in sentenza, l’imputato si è trovato nella impossibilità di consegnare la documentazione contabile in quanto la stessa è stata distrutta da un incendio del 2013. La circostanza che dell’incendio non risulti traccia documentale non comporta automaticamente che le dichiarazioni rese dall’imputato siano da considerarsi non veritiere.
Né vi è motivazione in relazione alla sussistenza del dolo specifico e della volontà di recare pregiudizio ai creditori.
2.3. Con il terzo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessività della pena.
La sentenza impugnata ha escluso le circostanze attenuanti generiche con motivazione apparente ritenendo ostativa la chiusura della procedura per mancanza di attivo per il soddisfacimento anche parziale dei crediti e delle spese della procedura.
Quanto alla pena in concreto irrogata vi è omessa motivazione essendosi il giudice discostato di ben sei mesi dal minimo edittale senza peraltro motivare le ragioni del consistente aumento di mesi tre per la cd. continuazione fallimentare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato, ma va rilevata d’ufficio l’illegalità della pena accessoria di cui all’art. 29 cod. pen., confermata sebbene la pena principale sia stata rideterminata in misura inferiore agli anni tre di reclusione.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. Le dichiarazioni che il ricorrente assume essere inutilizzabili sono quelle rese, per come emerge dalla sentenza impugnata, al curatore fallimentare.
Ebbene, le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attività ispettive e di vigilanza (Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep.2018, Castelletto, Rv. 272664 – 01).
1.2. Quanto alla configurabilità della condotta distrattiva, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta per distrazione, è necessario che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, COGNOME, Rv. 249715): una volta raggiunta tale dimostrazione, tuttavia, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 255385), in quanto le condotte descritte all’art. 216, comma primo, n. 1 l. fall., hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie. (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 255385).
Sul punto la sentenza impugnata ha chiarito che la prova della precedente disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa è frutto di ammissione da parte dello stesso imputato, che riferiva al curatore di avere proceduto a svuotare, prima della dichiarazione di fallimento (intervenuta nel 2014) i capannoni e garage utilizzati nel corso degli anni di attività imprenditoriale, senza tuttavia offrire alcuna indicazione circa la sorte dei beni aziendali giacenti nei locali ‘svuotati’ (beni non rinvenuti, il cui valore è stato quantificato sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate dal fallito con riferimento agli anni di imposta dal 2010 al 2013).
Del tutto generica risulta la doglianza formulata in punto di elemento soggettivo.
Il secondo motivo è infondato.
La sentenza impugnata, nel valorizzare il dato pacifico della totale mancanza della documentazione contabile, ha con motivazione immune da vizi logici ravvisato la implausibilità della distruzione della documentazione anzidetta ad
opera di un incendio avvenuto poco prima della dichiarazione di fallimento e di cui non risultava alcuna forma di prova.
Inoltre, ha riconosciuto quali indici rivelatori inequivoci del dolo specifico una serie di circostanze quali la condotta distrattiva di tutti i beni aziendali e la totale assenza di attivo. Indici della volontà di Multari di impedire la ricostruzione dei movimenti degli affari e del patrimonio dell’impresa per assicurarsi un ingiusto profitto in danno dei creditori.
Sul punto questa Corte ha chiarito che l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture (cfr. Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650); che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, la sottrazione/mancata consegna della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (cfr. Sez., n. 18320 del 07/11/2019, dep.2020, COGNOME, Rv. 279179); e tale scopo ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda, dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo.
Il terzo motivo, nella parte in cui censura il diniego delle attenuanti generiche, risulta reiterativo delle medesime argomentazioni proposte in appello e disattese dalla sentenza impugnata.
Ancora una volta la Corte territoriale ha con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, chiarito le ragioni per il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La sentenza ha operato buon governo dell’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato. (Sez.3 n. 2233 del 17/06/2021, dep.2022, COGNOME, Rv. 282693).
Infondata è la censura relativa alla determinazione della pena, giacché la Corte territoriale ha motivato sia con riferimento alla quantificazione della pena base per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sia in ordine alla pena per
la bancarotta documentale indicata in aumento in applicazione della cd. continuazione fallimentare (pag. 9 della sentenza).
Va rilevata d’ufficio l’illegalità della pena accessoria di cui all’art. 29 cod. pen. a seguito della riduzione della pena principale.
La Corte territoriale ha rideterminato in anni due e mesi sei di reclusione la pena inflitta, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 29 cod. pen., non poteva essere applicata la pena dell’interdizione sia pure temporanea dai pubblici uffici.
L’illegalità della pena accessoria erroneamente applicata è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione (Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286862, relativa all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale e alla sospensione della responsabilità genitoriale durante la pena, disposte avendo riguardo alla pena complessiva, quale risultante dall’aumento per la continuazione, piuttosto che alla pena principale irrogata per il reato più grave, all’esito della comparazione tra circostanze e della diminuzione per il rito) ed è da considerarsi illegale in quanto applicata in assenza dei presupposti di legge. ( Sez. 5, n. 19400 del 24/03/2021, Tuci, Rv. 281263).
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria di cui all’art. 29 cod. pen., che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma in data 22 maggio 2025