Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2451 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2451 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TREGNAGO il 02/04/1974
avverso la sentenza del 11/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
letta la memoria a firma del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, emessa in data 11 gennaio 2024, la Corte di Appello di Venezia in riforma della sentenza del Tribunale di Verona, previa dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione del delitto di bancarotta preferenziale, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME
1.1. L’imputato è stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, nell sua qualità di amministratore di fatto della società cooperativa La Corte di Gloria, dichiara fallita in data 20 aprile 2016.
È stato contestato di avere sottratto dal patrimonio della società fallita somme di denaro a mezzo bonifico con causale prestito infruttifero (per complessivi 39.5000,00 euro) destinate ad altre società (RAGIONE_SOCIALE), riconducibili al medesimo imputato.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione delle norme processuali in relazione agli artt. 178 lett. b), cod. proc. pen., 415 bis e 423, comma 1, cod proc. pen.
In particolare, il ricorrente sostiene la nullità della richiesta di rinvio a giudizi conseguente decreto che dispone il giudizio, con nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello, giacché l’avviso di conclusioni indagini notificato non riportava compiutamente l’ipotesi della bancarotta preferenziale (non contemplando alcuni pagamenti), né riportava fatti riconducibili alla bancarotta distrattiva.
2.2. Con il secondo motivo si deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla bancarotta fraudolenta per distrazione.
La Corte di Appello si è limitata a riportarsi alle motivazioni del giudice di primo grad senza confrontarsi con le argomentazioni prospettate dalla difesa.
2.3. Con il terzo motivo si deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessone delle circostanze attenuati generiche.
In particolare, i giudici di merito non avevano valorizzato ai fini della concessione del circostanze ex art. 62 bis cod. proc. pen.: –a) la esiguità degli importi oggetto di contestazione; –b) la collaborazione fornita al curatore fallimentare; –c) il corretto comportamento processuale.
Con requisitoria scritta del 22.10.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Con conclusioni scritte del 4 dicembre 2024, la difesa insisteva per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, già disatteso in sentenza, è infondato.
Il rigetto del motivo di gravame adottato dalla sentenza impugnata, invocando la possibilità del P.M. – in tema di bancarotta fraudolenta – di modificare nel cors dell’istruzione dibattimentale l’imputazione ovvero contestare una circostanza aggravante, ove emergano diverse modalità della condotta illecita ovvero ulteriori condotte distrattive va confermato, pur se con diversa motivazione.
Invero, la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di cita a giudizio ai sensi dell’articolo 416 cod. proc. pen. è consentita soltanto quando manchi la previa notifica dell’avviso di cui all’articolo 415 bis cod. proc. pen., e non anche quando la enunciazion del fatto sia ritenuta insufficiente.
In altri termini, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio è prevista nei casi tass cui all’art. 416 cod. proc. pen. tra i quali non figura quello invocato dal ricorrente mentre l’ della richiesta ex art. 415 bis cod. proc. pen., previsto tra le condizioni di validità della ric di rinvio a giudizio, è stato puntualmente effettuato.
L’avviso di conclusione delle indagini non ha la funzione di contestare il fatto reato, ma ha uno scopo eminentemente informativo, nel senso che il Pubblico ministero avvisa l’indagato che, con riferimento ad una determinata vicenda (ecco perché vanno indicate le coordinate del procedimento e la sommaria enunciazione del fatto, ovvero quegli elementi che consentano all’indagato di capire bene di che cosa si tratta) le indagini sono concluse e che gli esiti d stesse sono messi a sua disposizione (Sez. 5, n. 28548 del 18/07/2007, P.M. in proc. COGNOME ed altri, Rv. 237568).
Il Pubblico Ministero con l’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen., avverte, inoltr l’indagato che ha la possibilità di prendere visione dei documenti raccolti nel corso delle indagin di presentare memorie, indagini difensive e di chiedere di essere interrogato.
Insomma, lo scopo evidente dell’istituto è quello di mettere in condizioni l’indagato d apprestare la sua difesa e di evitare, mediante la immediata esposizione delle sue ragioni, un inutile processo.
Orbene tali finalità sono perfettamente conseguite con una sommaria enunciazione del fatto proprio perché la finalità dell’istituto, come si è già notato, non è la contestazione del r che avverrà in un momento successivo, ma la esatta individuazione del procedimento e del fatto sul quale si sono sviluppate le indagini.
La circostanza che tale avviso, il quale prelude all’instaurazione del contraddittorio su contenuto dell’accusa, deve contenere soltanto la sommaria enunciazione del fatto e delle norme di legge che si assumono violate, è significativo della sostanziale fluidità dell’accusa, a differe della richiesta di rinvio a giudizio in cui l’enunciazione del fatto deve essere chiara e precisa dimostrazione della possibile progressività della formazione dell’accusa anche alla luce dell’esercizio delle facoltà attribuite all’indagato dall’art. 415 bis, comma 3, cod. proc. pen. ( 5, n. 1705 del 13/01/2017, COGNOME Rv 268909).
Pertanto, il risultato cui perviene la decisione della Corte d’appello è sostanzialmente corretto, pur con la correzione della motivazione nei sensi indicati.
3. Il secondo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con le principali argomentazioni della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento d decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che poss integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrent
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
In ordine a tali censuri mosse alla struttura motivazionale della pronuncia impugnata, va ricordato che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, maggior ragione, quando ì motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Pertanto, specie in presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841).
Ciò premesso, deve precisarsi che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, COGNOME, Rv. 243295). Secondo la giurisprudenza di legittimità, “l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono l garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima” e ” l’art. 87, comma terzo, legge fall, (anche nella sua formulazione precedente alla sua riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale.
Osservazioni che giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazioni a proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attin o compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al di interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestio può rendere (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282652).
Peraltro, fin dalla pronuncia di questa Quinta Sezione, imp. COGNOME – sentenza n. 38396 del 23/06/2017, Rv. 270763 – si è inteso affermare che, in tema di bancarotta fraudolenta
per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibil esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del f generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolez imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzi dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà del condotta in concreto pericolosa.
Così che anche invocate “scelte imprenditoriali” che conducano ad un esito depauperativo del patrimonio della fallita acquistano rilievo penale. Rilievo che non è escluso dal fatto che momento delle condotte la società fosse, in ipotesi, priva di squilibri economici e finanziari, pos che si è detto come l’epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell’agente presen elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando i depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un’alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, COGNOME, Rv. 282284; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280550).
Inoltre, è stato chiarito che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolent patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui c pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 261739); si è precisato, altresì, che oggetto del reato in tale fattispecie, non è la consapevolezz del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giunnelli, Rv. 261367).
3.1. La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici, ha chiarito la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva dal punto di vista oggetti evidenziando che: –a) la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE, beneficiarie dei pagamenti, non avevano svolto alcun tipo di attività professionale in favore della società fallita (assenza contratti attestanti il conferimento dell’incarico); –b) la RAGIONE_SOCIALE era interamente partecipata dal coimputato COGNOME che era anche suo rappresentante; –c) al momento del versamento dell’assegno dell’importo di euro 35.000,00 la RAGIONE_SOCIALE aveva il conto in negativo; –d) i pagamenti effettuati in favore della RAGIONE_SOCIALE erano privi di causale; –e) l’RAGIONE_SOCIALE era partecipata al 50% ciascuno dal COGNOME e dal COGNOME; –f) relativamente ai pagamenti effettuati in favore della RAGIONE_SOCIALE, l’imputato ha affermato che si trattava d
pagamento di proprie attività professionali diverso rispetto alla causale indicata nel bonifi (prestito infruttifero) e comunque successive all’operazione.
La sentenza impugnata ha operato buon governo del consolidato e costante principio indicato da questa Corte secondo cui integrano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori anche attraverso il distacco di beni da detto patrimonio, senza immettervi alcun corrispettivo, cosi da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
In conclusione, la Corte di Appello ha desunto la responsabilità del ricorrente dalla circostanza che i due pagamenti hanno avuto quali beneficiarie due società schermo, per attività non documentate, sicché si è trattato di versamenti fittizi diretti al depauperamen societario.
Dunque anche in questo caso il giudice di appello ha desunto la sussistenza del dolo in capo al prevenuto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, la corte territoriale coerentemente risalita alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarn la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La circostanza relativa alla mancata valutazione dell’esiguità degli importi oggetto di contestazione è inammissibile perché dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Ciò posto, i giudici di merito hanno evidenziato la insussistenza di elementi idonei al loro riconoscimento (nella sentenza di primo grado è stato valorizzato il tradimento dello scopo mutualistico tipico della edilizia popolare, il danno subito dai prenotatari di alloggio di edilizia popolare e la affidabilità che era fornita dall’imputato in ragione dell’attiv professionale svolta).
La motivazione, pertanto, non può dirsi viziata né mancante. Va infatti ricordato che in via generale, le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal D.L. 14 settembre 1944, n. 288, rappresentano uno strumento di individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano – in positivo – elementi del fatto o della personalità, tali da rend necessaria la mitigazione, ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge.
L’applicazione della norma necessita – pertanto – di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludersi l’esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di cont apprezzarsi e valorizzarsi un “aspetto” del fatto o della personalità risultante dagli atti giudizio. Da qui, stante l’ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato e la neces di ancorare l’applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fattoreato dall’altro, è derivato il filone interpretativo che individua nelle categorie gen
descritte nell’art. 133 cod. pen. il principale “serbatoio” di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la valutazione del giudicante.
In tal senso, si è ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazion della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima, ben potendo un dato polivalente esser utilizzato più volte per distinti fini e conseguenze (Sez. 1, n. 1376 del 28/10/1997 COGNOME, Rv. 209841).
Le linee-guida della “gravità del reato” (art. 133, comma primo, cod. pen.) e della “capacità a delinquere del colpevole” (art. 133, comma secondo, cod. pen.) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis c pen. e, in assenza di allegazioni specifiche, la motivazione tesa a negare l’applicazione delle attenuanti generiche è del tutto legittima ove sia ancorata alla considerazione della gravità del fatto o alla negativa personalità dell’autore del reato.
Al rigetto dell’impugnazione consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10/12/2024
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Il residente