Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44117 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44117 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME nato il 29/09/1971 a CAVA DE’ COGNOME NOME nato il 03/05/1960 a CAVA DE’ COGNOME
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostitut Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla condanna per la bancarotta fraudolenta relativa alla cessione del compendio immobiliare sito in Castelnuovo Cilento e il rigetto, nel resto, dei ricorsi;
letta la memoria presentata dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, nell’interesse di NOME COGNOME hanno presentato motivi nuovi e hanno insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Salerno in data 27 giugno 2023, NOME COGNOME e NOME COGNOME furono condannati alla pena, rispettivamente, di 3 anni e 6 mesi di reclusione e di 3 anni di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, dei reati, unificati dalla continuazione, previsti, per COGNOME, dagli artt. 110, 81 cpv cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, per avere, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Salerno del 22 giugno 2011, distratto o occultato beni (impianti e macchinari, attrezzature industriali, macchine d’ufficio, automezzi) per un valore di 220.866,17 euro (Proc. pen. n. 5476/2013 RGNR); nonché, per entrambi gli imputati, dagli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 216, comma 1, n. 1, comma 3, 223, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, per avere COGNOME, quale presidente del consiglio di amministrazione dalla costituzione, di liquidatore dal 27 maggio 2010 al 31 agosto 2010 e, successivamente, di amministratore di fatto, COGNOME quale amministratore delegato dal 26 gennaio 2005 al 31 agosto 2010, della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita in data 8 novembre 2010 con sentenza del Tribunale di Salerno, ceduto, con scrittura privata del 23 dicembre 2008, un compendio immobiliare sito in Castelnuovo Cilento, locINDIRIZZO, alla RAGIONE_SOCIALE al prezzo di 1.117.594,64 euro, simulando la cessione per essere la Trade rimasta proprietaria del compendio immobiliare e, ancora, per avere distratto la somma di 3.774.913,93 euro mediante finanziamenti concessi alla RAGIONE_SOCIALE (di proprietà della famiglia COGNOME – COGNOME) dal 2007 al 2010, la somma di 1.415.000,00 euro mediante finanziamenti alla RAGIONE_SOCIALE negli anni 2008-2009, la somma di 2.559.278,96 euro mediante finanziamenti alla RAGIONE_SOCIALE negli anni 20082009, fatti accertati in Salerno in data 8 novembre 2010 (capo a] del Proc. pen. n. 16857/2010 RGNR); nonché, per il solo COGNOME, dagli artt. 216, comma 1, nn. 1 e 2 e 223, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, perché, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita dal Tribunale di Salerno con sentenza in data 22 giugno 2011, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto: 1) distraeva, dissipava o comunque, occultava immobilizzazioni materiali per un valore di 109.473,00 euro e merci e rimanenze finali per un valore di 88.476,25 euro; 2) sottraeva o distruggeva il libro dei beni ammortizzabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della medesima; con le aggravanti: a) di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità;·b) di aver commesso più fatti tra quelli previsti dall’art. 216 legge fall.; in Salerno sin alla data di fallimento della società (Proc. Pen. N. 203/2014 RGNR). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con sentenza in data 17 maggio 2024, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto COGNOME dal reato di bancarotta documentale della società RAGIONE_SOCIALE per l’effetto rideterminando, nei suoi confronti, la pena nella misura di 3 anni, 4 mesi e 15 giorni di reclusione. Con lo stesso provvedimento, la Corte ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata, con condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali. Con riferimento alla bancarotta fraudolenta commessa dai due imputati in relazione al compendio immobiliare di Castelnuovo Cilento, la Corte di appello ha ritenuto che la condotta penalmente rilevante dai medesimi posta in essere consistesse nell’avvenuto pagamento del prezzo dell’immobile alla venditrice, RAGIONE_SOCIALE senza adeguata contropartita, essendo stato esso ceduto alla Cityline senza che la Trade RAGIONE_SOCIALE ricevesse alcun corrispettivo.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 216 legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al travisamento della prova della bancarotta per distrazione relativa ai fallimenti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, non essendo stato dimostrato che il mancato ritrovamento dei beni sociali fosse imputabile a COGNOME. Costui ne avrebbe puntualmente indicato l’ubicazione al curatore, COGNOME, sicché essi sarebbero stati ritenuti mancanti da quest’ultimo senza una effettiva ricerca. In particolare, i Giudici di merito non avrebbero considerato che, secondo la stessa relazione del curatore, COGNOME, trovandosi in Germania per lavoro e non potendo, dunque, incontrarlo, gli avrebbe indicato i luoghi in cui reperire i beni della Tranci di Bontà; e che, quanto alla RAGIONE_SOCIALE, lo stesso curatore aveva asserito di aver riscontrato la confusione dei beni strumentali delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, alcune delle quali fallite quasi simultaneamente, con la conseguente impossibilità di stabilire quali fossero i beni della fallita. Dunque, la Corte territoriale avrebbe travisato la prova ritenendo che i beni fossero stati «non rinvenuti» e che mancasse «una puntuale indicazione circa la loro destinazione», mentre in realtà COGNOME avrebbe indicato precisamente i luoghi in cui essi si trovavano, senza che il curatore li abbia effettivamente cercati, omettendo finanche di redigere un verbale.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 216, comma 1, 223, comma 1, legge fall., 177 e 522 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova in relazione alle condotte sanzionate quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE
In particolare, quanto alla cessione del compendio immobiliare in Castelnuovo Cilento alla società RAGIONE_SOCIALE, il primo giudice avrebbe affermato il carattere simulato dell’operazione, perché diretta a sottrarre i beni della fallita alle possibi azioni esecutive dei creditori; finalità smentita dalla scrittura del 6 agosto 2010 con cui la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE convenivano che la seconda, anziché pagare il prezzo, avrebbe ritrasferito alla prima gli immobili, ad eccezione di quello già venduto; cosa puntualmente avvenuta, come dichiarato dal curatore COGNOME in dibattimento. Ciò nonostante la Corte di appello avrebbe, comunque, ritenuto accertata la condotta distrattiva, rinvenendola non in un’operazione simulata diretta all’occultamento di beni immobili della società per sottrarli a eventuali azioni esecutive del creditori, come indicato nel capo di imputazione, ma in un fatto diverso, costituito dalla corresponsione di denaro da parte della Trade alla RAGIONE_SOCIALE incaricata di realizzare e alienare il compendio, con violazione degli artt. 111 Cost., 177 e 522 cod. proc. pen.
Nel merito, si opina che dall’esame dei contratti e dai relativi pagamenti emergerebbe la simulazione assoluta dei contratti tra la Trade Rea! RAGIONE_SOCIALE e la Cityline, sicché la prima sarebbe sempre rimasta l’unica titolare del rapporto contrattuale con la RAGIONE_SOCIALE, alla quale aveva effettuato gli esborsi di danaro, che avrebbero trovato la loro contropartita nel complesso immobiliare, acquisito alla massa attiva del fallimento insieme alla somma di danaro corrispondente a uno degli immobili venduto nelle more (si citano, a riprova: 1) la nota dell’avv. COGNOME allegata alle relazioni del curatore COGNOME in cui s affermava, per conto della RAGIONE_SOCIALE s.p.a., l’evidente la simulazione del trasferimento, essendo la Trade la Reale proprietaria della consistenza immobiliare e la disponibilità della stessa RAGIONE_SOCIALE al suo ritrasferimento alla curatela a titolo di datio in solutum a fronte del debito di 1.504.000,00 euro nonché della somma di 90.000,00 euro quale valore dell’unico cespite venduto; 2) l’atto pubblico del notaio COGNOME tra la Cityline e la curatela in cui si formalizzava tale proposta; 3) le scritture private tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, da cui si evinceva che la prima aveva versato alla RAGIONE_SOCIALE gli importi quale corrispettivo del compendio immobiliare; 4) la scrittura privata con la Trade con la quale si prometteva la cessione degli immobili, affermando l’effettiva titolarità in capo alla Trade di tutti i beni del complesso immobiliare). In ogni caso, considerata la documentazione prodotta, dalla condotta contrattuale descritta, qualunque siano state le ragioni di strategia fiscale o di organizzazione amministrativa, non avrebbe potuto ricavarsi la prova piena della coscienza e volontà dell’occultamento dei beni sociali.
Quanto, poi, alla responsabilità dell’imputato per la distrazione commessa mediante i finanziamenti alle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si osserva che la RAGIONE_SOCIALE faceva parte della holding RAGIONE_SOCIALE, autorizzata dalla Banca d’Italia a procedere a finanziamenti in favore delle ventinove società del gruppo e che tali esborsi, consistenti in operazioni di c.d. cash pooling, sarebbero stati motivati dall’intento di raccolta di fondi e di finanziamento per le suddette società. Ciò sarebbe stato riconosciuto dallo stesso Tribunale, secondo cui la società fallita era stata progressivamente depauperata per fare fronte a investimenti poco oculati e per dare respiro alle altre società del gruppo trovavano in affanno, con la conseguenza che, ben presto, anche la RAGIONE_SOCIALE era andata in irrimediabile difficoltà e che le operazioni di finanziamento avevano contribuito a condurla al fallimento. Ciò, osserva la difesa, certificherebbe l’assenza negli imputati della volontà di utilizzare i finanziamenti per sottrarre beni ai creditor né potrebbe ravvisarsi il dolo eventuale richiesto dalla norma incriminatrice nell’eventuale errore di valutazione del fenomeno. Invero, la sentenza non argomenterebbe adeguatamente sulla presenza di una consapevole accettazione del rischio di tali operazioni, necessario per inquadrare i fatti nella ipotesi bancarotta cd. impropria. E del resto, considerato lo stretto legame tra le società del gruppo, il cui successo imprenditoriale o la cui sopravvivenza dipendeva dalla gestione delle altre e dalle relative manovre economico-finanziarie, sarebbe difficile negare, con giudizio ex ante, che gli amministratori non avessero la fondata speranza di salvare, nell’interesse del Gruppo, le società che si sarebbero potute riprendere, come la RAGIONE_SOCIALE, finanziata per realizzare di immobili a Mercato S. Severino per un valore di circa 3.000.0000 di euro, poi venduti.
Né, ai fini della prova del dolo eventuale degli amministratori, sarebbe sufficiente il richiamo ai pareri e agli inviti del collegio sindacale riportati a pag della sentenza impugnata, perché non suffragati dalla indicazione di specifiche e obiettive circostanze di fatto, potendo essi essere improntati a una eccesiva prudenza dettata dalla preoccupazione dei membri del collegio sindacale di incorrere in responsabilità anche penali. Né il dolo potrebbe dedursi dal successivo fallimento di tutte le società del gruppo, anche per le consistenti masse attive dei fallimenti, specialmente delle immobiliari RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, destinatarie dei finanziamenti per completare l’attività di costruzione di immobili già in atto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo otto motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 216-
223 legge fall., nonché la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. per dif correlazione tra l’accusa, avente ad oggetto un’ipotesi di bancarotta fraudo patrimoniale «per occultamento», commessa mediante la vendita «simulata» del compendio immobiliare di Castelnuovo Cilento in favore di RAGIONE_SOCIALE e quanto accertato con la sentenza di appello. Mentre la pronuncia di primo grado ave ritenuto il carattere simulato della vendita, come riconosciuto dalla RAGIONE_SOCIALE e confermato «dall’intricato svolgimento della complessiva situazione contrattual dalle improbabili modalità di pagamento» (cfr. sent. Trib. Salerno, pag. 17) Corte di appello avrebbe riconosciuto che l’operazione, «molto probabilmente» era reale, salvo aggiungere che la distrazione sarebbe stata integrata da un at trasferimento di denaro a favore della RAGIONE_SOCIALE, a cui sarebbe stato corrisposto un credito di oltre un milione e mezzo di euro annotato nel bilancio della Trade, uscito dalle casse della fallita in assenza di adeguata contropartita. Dunque, second Corte di appello gli immobili sarebbero usciti dal patrimonio della Trade, ma la distrazione riguarderebbe non tali beni, quanto la liquidità versata dalla Trade alla RAGIONE_SOCIALE, incaricata di realizzare e alienare il compendio immobiliare. In questo modo sarebbe stata realizzata una «immutazione» del fatto, attesa diversità della condotta, dell’effetto patrimoniale da essa scaturito, dell’ materiale della distrazione e del momento in cui si sarebbe perfezionata, quello della cessione dei beni immobili alla Cityline (il 23 dicembre 2008), ma quello del loro acquisto dalla Nuovo Sviluppo (30 novembre 2007).
La radicale diversità fra la contestazione originaria e il fatto per il quale pronunciata la condanna configurerebbe una violazione del principio d correlazione tra imputazione e sentenza, che ricorre quando nei fat rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un n comune, con la conseguenza che essi si pongano, tra loro, non in rapporto continenza, bensì di eterogeneità. Ciò configurerebbe una lesione del diritt difesa di COGNOME, avuto riguardo all’art. 6, par. 3, Convenzione EDU, riconosce all’accusato, tra gli altri, il diritto di «essere informato, nel tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, d natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico» e, dunque, de qualificazione giuridica del fatto contestato e dei profili fattuali della contes e considerata la giurisprudenza di legittimità in materia di diversa qualifica giuridica del fatto nel giudizio di cassazione, secondo cui in sede di legitti possibile assegnare al fatto una nuova qualificazione giuridica ex officio sempre che sia offerta alla parte la possibilità di contraddire sul punto e sempre ch caso in cui la qualificazione giuridica dipenda dalla valutazione delle prove, la di cassazione consenta il contraddittorio non solo sul “diritto” ovvero la legit della nuova qualifica, ma anche sulla efficacia dimostrativa delle fonti di rilevanti per l’eventuale nuovo inquadramento. Analogamente, la Corte di Giustizi
dell’Unione europea, chiamata a interpretare l’art. 6, par. 4, direttiva n 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, ha affermato che se pure tale disposizione non prevede particolari forme di comunicazione all’imputato a seguito della riqualificazione giuridica, «tali modalità non possono arrecare pregiudizio all’obiettivo perseguito, in particolare, dallo stesso articolo 6, che consiste, come emerge dal considerando 27 di detta direttiva, nel consentire alle persone indagate o imputate per aver commesso un reato di predisporre la propria difesa e nel garantire l’equità del procedimento . Siffatte modifiche e siffatti element devono tuttavia essere comunicati all’imputato o al suo avvocato in un momento in cui questi ultimi abbiano ancora la possibilità di reagire in modo effettivo, prima della deliberazione» (punti 52 e 53).
Ove, poi, si reputasse intervenuta una mera riqualificazione giuridica del fatto risulterebbe parimenti violato il diritto di difesa di COGNOME per non essere stato messo in condizione di confutare la ricostruzione della Corte di appello.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223-216, comma 1, n. 1, legge fall. anche in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla contestazione riguardante la cessione alla Cityline del compendio immobiliare sito in Castelnuovo Cilento, difettando i requisiti costitutivi della distrazion fallimentare e non essendo configurabile il dolo della distrazione, finendo la motivazione con l’esaurirsi nella ricognizione di princìpi giurisprudenziali.
La natura distrattiva della cessione si fonderebbe sul suo carattere simulato. In realtà, l’esistenza della simulazione sarebbe stata esclusa dal fatto che la cessionaria avrebbe «realmente» e non «simulatamente» disposto dei beni; la cedente avrebbe appostato in bilancio il relativo credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, comunque, nella contabilità societaria vi sarebbe la traccia documentale dell’intera l’operazione; sarebbe stata vergata una scrittura privata recante la transazione tra la Trade e la RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la vendita del complesso di Castelnuovo Cilento, ottenendo la «restituzione» degli immobili in luogo dell’adempimento del credito pecuniario, essendo la RAGIONE_SOCIALE impossibilitata a farvi fronte; la simulazione sarebbe era stata accertata, avendo il curatore aderito alla proposta di datio in solutum della RAGIONE_SOCIALE. La stessa sentenza avrebbe riconosciuto la natura reale e non simulata dell’operazione, sigché verrebbe meno il carattere «atipico» del trasferimento di denaro menzionato dal curatore, che troverebbe reale causa e acclarata contropartita in una prestazione di segno corrispettivo (i trasferimenti da Trade a Nuovo Sviluppo quale caparra per l’acquisto degli immobili; quelli da Cityline a Trade quale prezzo per la cessione del contratto di acquisto). La fuoriuscita di denaro dalle casse della fallita avrebbe
avuto, infatti, come contropartita l’acquisto di immobili, poi ceduti alla Cityline e, di fronte al mancato versamento del prezzo pattuito, da quest’ultima trasferiti a titolo di datio in solutum, tanto da essere successivamente venduti dalla curatela fallimentare con beneficio dei creditori, essendo la stessa tornata in possesso del compendio immobiliare di Castelnuovo Cilento, vendendone all’asta tutti i cespiti e ripartendo il ricavato a favore dei creditori di Trade. In sostanza, la fuoriuscita di somme versate a titolo di caparra dalla Trade avrebbe avuto una tangibile contropartita, rappresentata dall’obbligazione reale della RAGIONE_SOCIALE avente a oggetto la realizzazione e successiva vendita del compendio immobiliare. A tale operazione avrebbe fatto seguito la cessione del preliminare alla RAGIONE_SOCIALE, con conseguente acquisto da parte della Trade del credito del prezzo pattuito, laddove a fronte dell’impossibilità per la debitrice di adempiere alla propria obbligazione, sarebbe stato stipulato un atto transattivo che avrebbe restituito in integrum la fallita prima della decozione, attribuendo nuovamente alla Trade il complesso immobiliare, acquisito all’attivo fallimentare e utilizzato per soddisfare i creditori
4.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40-41 cod. pen., 216, 223 legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al raccordo oggettivo fra «distrazione» e «insolvenza» e l’evento di pericolo per i creditori. Benché la giurisprudenza esiga l’accertamento del pericolo per le ragioni creditorie, collegandolo alla determinazione di uno squilibrio fra attivo e passivo o quanto meno a uno stato di insolvenza preesistente e nel cui seno la distrazione ricada, la motivazione difetterebbe «testualmente» quanto all’evento di pericolo derivato dalla distrazione, alla sua esistenza nel momento storico della realizzazione di quest’ultima, nonché alle condizioni economiche della Trade in quel periodo, omettendo di verificare se, al tempo del suo perfezionarsi (contratto del novembre 2007 e versamento della caparra confirmatoria), l’operazione avesse un qualsiasi rapporto di prossimità con la “crisi” e potesse, perciò, dirsi pericolosa per i creditori, considerato che i dati istruttori descriverebbero una crisi della Trade in epoca successiva, essendo stata per la prima volta segnalata dal collegio sindacale solo il 22 aprile 2010 (cfr. pag. 40 sentenza di appello).
4.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 43 cod. peri., 216, 223 legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al dolo della contestata distrazione.
Mentre nella bancarotta mediante occultamento/dissimulazione il dolo si sostanzierebbe nella volontà di “nascondere” una componente attiva, sottraendola alla garanzia dei creditori, il dolo della distrazione esigerebbe la consapevolezza della concreta incidenza dell’operazione distrattiva sulle prospettive di
soddisfacimento del diritto dei creditori. Secondo la giurisprudenza, in alcuni casi la fattispecie concreta darebbe conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa, della «fraudolenza» dell’operazione e, dunque, anche del dolo del reato, come, ad esempio, ove il singolo fatto si collochi in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa, o nel caso di ingenti prelievi, vendita sottocosto di rami d’azienda, incassi non versati e anomale gestioni di importi rilevanti, essendosi in presenza di attività di consistente rilievo economico e, dunque, necessariamente depauperative della garanzie del ceto creditorio. La Corte salernitana, tuttavia, non si sarebbe confrontata con gli «indici di frode» elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, identificando indebitamente il dolo dell’occultamento e quello della distrazione, affermando che gli amministratori si fossero resi «perfettamente conto della pericolosità di tale operazione rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori» (cfr. sentenza impugnata, pag. 36), configurando, in definitiva, un dolo in re ipsa. Inoltre, la motivazione non spiegherebbe: come la riconosciuta «effettività» della compravendita immobiliare si concili con il carattere ingiustificato del pagamento della caparra confirnnatoria da parte di Trade; perché il credito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE non fosse, nella rappresentazione di chi l’ha compiuta, «effettiva» e «congrua» contropartita del versamento iniziale; perché l’atto transattivo del 6 agosto 2010 non fosse un indice di liceità dell’operazione e di consolidamento della garanzia creditoria; perché la documentazione rinvenuta dalla curatela non fosse un indice negativo del dolo distrattivo.
4.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla natura distrattiva delle operazioni di finanziamento contestate, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La sentenza impugnata attribuirebbe natura di «distrazioni» alle operazioni infragruppo realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE, costituite dai finanziamenti alle società controllate e/o collegate RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in quanto trasferimenti di risorse effettuati, senza alcuna contropartita economica, da una società che versava in gravi difficoltà finanziarie a vantaggio di società in difficoltà economiche, sicché nessuna prognosi fausta dell’operazione avrebbe potuto essere compiuta. In realtà, al momento dell’erogazione dei finanziamenti, la RAGIONE_SOCIALE non versava in condizioni di difficoltà economica, avendo la stessa sentenza impugnata ricordato che solo il 22 aprile 2010 il Collegio sindacale aveva segnalato «la presenza di una crisi economica e di uno squilibrio finanziario dovuto a significative perdite» (cfr. pag. 40 sentenza di appello), laddove i finanziamenti erano stati erogati nel 2007 (in favore della Value) e nel 2008 (in favore della Va/suo e della Building).
Quanto all’affermazione secondo la quale i finanziamenti nei confronti delle società controllate/collegate sarebbero stati erogati dalla RAGIONE_SOCIALE Estate in assenza di una contropartita economica, si osserva che secondo la giurisprudenza la natura distrattiva dei trasferimenti tra società appartenenti allo stesso gruppo può essere riconosciuta esclusivamente quando, sulla base di una prognosi ex ante, risulti che, al momento del loro compimento, nessun vantaggio per la società depauperata fosse ragionevolmente prevedibile. Viceversa, nella vicenda in esame, sarebbe stato ragionevolmente prevedibile un vantaggio derivante dalla crescita delle società appartenenti al gruppo, cui era finalizzata l’erogazione dei finanziamenti da parte della RAGIONE_SOCIALE.
4.6. Con il sesto motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al dolo del delitto di bancarotta fraudolenta, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
La Corte di appello desumerebbe la prova del dolo in capo a COGNOME dalla circostanza che il collegio sindacale, nelle riunioni dell’8 giugno 2009 e del 4 dicembre 2009, avesse espresso perplessità circa l’opportunità dei finanziamenti in favore della Value s.r.l. (cfr. pag. 42 sentenza), sicché COGNOME sarebbe stato consapevole della natura pericolosa delle operazioni realizzate e, dunque, del potenziale pregiudizio per i creditori. Senonché – a parte il fatto che l’episodio era riferito al solo finanziamento della RAGIONE_SOCIALE e non delle altre due società – si tratterebbe di circostanze successive alle condotte contestate (risalendo le note del collegio sindacale al 2007 e 2008, essendo errato il riferimento temporale al 2009 rinvenibile nella sentenza impugnata) e, perciò, prive di valenza dimostrativa in ordine al dolo, non potendo la rappresentazione da parte di COGNOME del possibile pregiudizio per i creditori desumersi da informazioni apprese solo successivamente. Infatti, l’esistenza di una crisi economica e di uno squilibrio finanziario dovuto a significative perdite della Trade sarebbe stata segnalata dal collegio sindacale il 22 aprile 2010, due anni dopo la concessione dei finanziamenti.
Totalmente obliterato dalla Corte di appello sarebbe stato, per contro, quanto rilevato dalla difesa di COGNOME con il quinto motivo di appello, ovvero che gli istituti di credito, al momento dell’erogazione dei finanziamenti, nulla ebbero a obiettare in ordine all’opportunità degli stessi. Fermo restando che COGNOME, come si legge in sentenza, avrebbe recepito le indicazioni dell’organo di controllo della società, convocando l’assemblea dei soci, che aveva ratificato le operazioni finanziarie contestate, peraltro in un momento in cui, a differenza dell’originaria epoca dei finanziamenti, era subentrata la crisi. La stessa Corte di appello avrebbe riconosciuto che i finanziamenti erano stati mantenuti fermi, mutando “veste” al fine di dar respiro alle altre società, evitando il fallimento delle stesse e della Trade. Dunque, COGNOME non avrebbe agito con dolo, sia pur eventuale, difettando
certamente l’accettazione dell’evento, come la Corte territoriale avrebbe potuto accertare applicando gli indici del dolo eventuale, quali, in particolare, comportamento successivo al fatto e l’obiettivo perseguito dall’agente.
4.7. Con il settimo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come bancarotta fraudolenta anziché come bancarotta semplice. La Corte di appello avrebbe riportato che, in occasione della riunione del 14 maggio 2010, il collegio sindacale «bollò quelle operazioni come manifestamente imprudenti, azzardate, tali da compromettere l’integrità del patrimonio sociale» (cfr. pag. 41 sentenza), senza qualificarle come «distrazioni». Da tale presupposto conseguirebbe l’integrazione di un’ipotesi di bancarotta semplice per operazioni manifestamente imprudenti e non di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione/dissipazione, la quale richiederebbe una cosciente e volontaria condotta di dispersione del patrimonio per scopi del tutto estranei all’impresa, ovvero il compimento di atti economici del tutto estranei all’esercizio dell’impresa comportanti un depauperamento secco del patrimonio in mancanza di ogni possibilità di ottenere una controprestazione. Nel caso di specie, la stessa Corte territoriale riconoscerebbe che la RAGIONE_SOCIALE «fu progressivamente depauperata per fare fronte a investimenti poco oculati e per dare respiro, per il tramite di essa, alle altre società del gruppo ch si trovavano in difficoltà» (cfr. pag. 41 sentenza). Dunque, si sarebbe trattato di operazioni imprudenti, ma non di distrazioni volte a sottrarre ai creditori la garanzia patrimoniale.
4.8. Con l’ottavo motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223-216, ultimo comma, anche in relazione agli artt. 133 cod. pen. e 546 cod. proc. pen., nonché la mancanza della motivazione in relazione alla quantificazione della pena accessoria dell’inabilitazione ai ruoli direttivi nelle imprese commerciali.
La sentenza impugnata ha applicato la pena accessoria della inabilitazione a ricoprire uffici direttivi nelle imprese commerciali per la durata di cinque anni, d gran lunga superiore alla pena principale inflitta al ricorrente, pari a tre anni confermando quanto deciso dal primo giudice. E ciò in contrasto con la sentenza n. 28910/2019 delle Sezioni Unite, la quale, conformandosi alla pronuncia n. 222/2018 della Corte costituzionale, ha affermato che «le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.». Al contrario, n caso di specie la pena accessoria applicata a NOME sarebbe stata determinata, senza alcuna motivazione, in misura nettamente superiore rispetto alla pena principale, invece applicata nel minimo edittale.
La sentenza impugnata ha ritenuto le attenuanti generiche applicate a COGNOME equivalenti all’aggravante dell’avere commesso più fatti di bancarotta, aderendo pedissequamente alla valutazione del Tribunale, che a tale conclusione era pervenuto in ragione dei precedenti penali, valutati come indici della proclività dell’imputato nel delitto e, quindi, della sua pericolosità sociale. Ciò sarebbe in contraddizione logica con l’esclusione, da parte dello stesso Tribunale, dell’aumento di pena per la contestata recidiva, motivato con la circostanza che il fatto concreto non fosse espressione di una maggiore pericolosità dell’imputato.
In data 16 settembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la memoria a firma degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, nell’interesse di NOME COGNOME, hanno presentato motivi nuovi con cui, oltre ad allegare documenti a sostegno, hanno dedotto violazione degli artt. 216-223 legge fall. e illogicità della motivazione con riferimento alla natura distrattiva dell’operazione intercorsa tra le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere respinti.
Preliminarmente va riassunta, per una migliore comprensione delle questioni poste con gli odierni ricorsi, la ricostruzione dei profili fattuali della pres vicenda processuale come operata dalle due sentenze di merito.
2.1. Le imputazioni di cui si discute hanno ad oggetto alcune condotte distrattive operate nella gestione di tre distinte società – la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE partecipate dalla RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), holding costituita in RAGIONE_SOCIALE in data 8 marzo 20C)1, trasformata in s.p.a. il 30 dicembre 2008 e amministrata da NOME COGNOME. Nel dettaglio, il 70% delle quote della RAGIONE_SOCIALE, costituita il 12 ottobre 2007 ed esercente attività di produzione e commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari, e il 91% della RAGIONE_SOCIALE, costituita il 27 marzo 2001 ed esercente dapprima commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli di telefonia fissa e mobile e di articoli telematici e poi commercio all’ingrosso e al dettaglio di mobili e arredi per la casa, appartenevano alla HDC.
2.2. Secondo quanto ritenuto in sede di merito, il fallimento della RAGIONE_SOCIALE era stato dichiarato su richiesta di COGNOME con sentenza del Tribunale di Salerno in data 22 giugno 2011 ed era stato determinato dalla crisi di impresa della RAGIONE_SOCIALE, la sua maggior cliente, che rappresentava quasi il 50% del fatturato, come confermato dall’analisi delle scritture contabili. Quanto, invece, alla RAGIONE_SOCIALE, anche in questo caso il fallimento era stato dichiarato con
sentenza del Tribunale di Salerno in data 22 giugno 2011 e, ancora una volta su richiesta di COGNOME, a causa della “mancata attività remunerativa sul mercato di riferimento” del principale cliente, anche in questo caso individuato nella Cava RAGIONE_SOCIALE.
Per quanto specificamente attiene alla RAGIONE_SOCIALE, costituita a Napoli il 10 gennaio 2015 ed esercente attività di costruzione, acquisto, locazione, permuta di immobili, le sentenze di merito hanno evidenziato che le relative quote, di cui erano titolari, per il 20% ciascuno, le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano state conferite il 28 giugno 2008 alla RAGIONE_SOCIALE; che la RAGIONE_SOCIALE possedeva partecipazioni di maggioranza in diverse società, la RAGIONE_SOCIALE (80%), la RAGIONE_SOCIALE (80%), la RAGIONE_SOCIALE (70%) e la RAGIONE_SOCIALE (55%); che il suo fallimento, chiesto dalla RAGIONE_SOCIALE, altra società di Della Monica, era stato determinato dalle mancate o ritardate restituzioni di prestiti e finanziamenti ricevuti da società del gruppo RAGIONE_SOCIALE (in particolare, da RAGIONE_SOCIALE) e da istituti di credito, nonché dai finanziamenti concessi alle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – e dalla mancata riscossione dei canoni di locazione di diversi beni immobili di proprietà della società.
2.4. Secondo quanto accertato in sede di merito, successivamente al fallimento della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE il curatore aveva tentato, inutilmente, di recuperare i beni delle due società, senza che dall’amministratore, NOME COGNOME, giungessero informazioni puntuali e affidabili circa la relativa ubicazione, sicché l’imputato era stato ritenuto responsabile di averli distratti. Quanto, poi, alla RAGIONE_SOCIALE, le indagini compiute dal curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento avevano fatto emergere, da un lato, cospicui versamenti in denaro effettuati a favore di alcune società del gruppo facente capo alla RAGIONE_SOCIALE, diretti a soccorrerle in ragione della situazione di difficoltà economica in cui versavano e la cui mancata restituzione aveva certamente concorso a determinare il dissesto della Trade; e, dall’altro lato, un’operazione negoziale avente ad oggetto un cespite immobiliare di rilevante valore economico in relazione al quale la società poi fallita aveva versato una ingente somma senza adeguato corrispettivo, concorrendo ad aggravare la propria situazione di dissesto.
Tanto premesso, giova soffermarsi, in primo luogo, sulle censure mosse con il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e con il quinto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Si opina, da parte delle difese, la liceità delle operazioni di finanziamento compiute dalla RAGIONE_SOCIALE a beneficio delle società RAGIONE_SOCIALE (di proprietà della famiglia COGNOME – COGNOME) dal 2007 al 2010 per 3.774.913,93 euro, Va/suo sRAGIONE_SOCIALE negli anni 2008-2009 per 1.415.000,00 euro, RAGIONE_SOCIALE negli anni 2008-2009 per 2.559.278,96 euro; operazioni che,
secondo la tesi esposta nel corso dei due giudizi di merito e ribadita dagli odierni ricorsi, rientrerebbero nell’ambito di finanziamenti intragruppo consistenti in operazioni di c.d. cash pooling tra società collegate, considerato, che la RAGIONE_SOCIALE faceva parte della holding RAGIONE_SOCIALE, autorizzata dalla Banca d’Italia a procedere a finanziamenti in favore delle società del gruppo. Tali esborsi sarebbero stati connessi a dei vantaggi compensativi, atteso che, sulla base di una prognosi ex ante, al momento del loro compimento sarebbe stato ragionevolmente prevedibile il conseguimento di un vantaggio per le società appartenenti al gruppo, consistente nella loro crescita o nel loro salvataggio, posto che il successo imprenditoriale o la sopravvivenza delle società del gruppo dipendeva dalla gestione delle altre e dalle relative manovre economico-finanziarie. Infatti, con il suo quinto motivo, il ricorso di COGNOME sottolinea che al momento della erogazione dei finanziamenti la RAGIONE_SOCIALE non versava in condizioni di difficoltà economica e che solo il 22 aprile 2010 il Collegio sindacale aveva segnalato «la presenza di una crisi economica e di uno squilibrio finanziario dovuto a significative perdite» (cfr. pag. 40 sentenza di appello), laddove i finanziamenti erano stati erogati nel 2007 (in favore della Value) e nel 2008 (in favore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE).
3.2. Come correttamente evidenziato dalle due sentenze di merito, la tesi difensiva non può trovare accoglimento, sicché le doglianze sul punto devono ritenersi infondate.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo invocando l’operatività del contratto a causa mista cd. di cash pooling è necessario che ricorra la formalizzazione di tale negozio di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione delle modalità e dei termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare e anche all’ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti e all’eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell’attività di tesoriere (così Sez. 5, n. 34157 del 5/04/2018, Castiglioni, Rv. 273625 – 01). Inoltre, l’intera operazione di cash pooling può ritenersi inoffensiva unicamente in ragione dell’esistenza di compensazioni comunque realizzate per effetto della partecipazione della singola società apparentemente “depredata” al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi (Sez. 5, n. 37062 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283661 – 02), i quali riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzin gli svantaggi per i creditori sociali (Sez. 1, n. 18333 del 1/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284537 – 01; Sez. 5, n. 16206 del 2/03/2017, Magno, Rv. 269702 – 01). Pertanto, non è sufficiente allegare l’esistenza di un generico vantaggio per
la società fallita, dovendo l’interessato dimostrare il saldo finale positivo del operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME, Rv. 277545 – 01; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, COGNOME, Rv. 268675 – 01; Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 271149 – 01; Sez. 5, n. 44963 del 27/09/2012, COGNOME, Rv. 254519 – 01). Né è in grado di escludere la distrazione integrante una bancarotta fraudolenta la condotta di finanziamento di ingenti somme in favore di società dello stesso gruppo, effettuato dalla società fallita quando già si trovava in situazione di difficoltà finanziaria, mancanza di garanzie e senza vantaggi compensativi (Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 257562 – 01; Sez. 5, n. 20039 del 21/02/2013, COGNOME, Rv. 255646 – 01; Sez. 5, n. 37370 del 07/06/2011, COGNOME, Rv. 250492 01; Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, COGNOME, Rv. 245136 – 01).
Sul punto, i Giudici di merito, facendo puntuale applicazione dei principi appena richiamati, ha evidenziato che: la società capogruppo che aveva ottenuto dalla Banca d’Italia, in data 14 ottobre 2008, l’iscrizione nell’elenco generale degli intermediari finanziari, era la HDC e non la RAGIONE_SOCIALE; non vi era traccia del contratto di cash pooling avente i sopraindicati requisiti, né del conto accentrato nella titolarità del pooler, né l’oggetto sociale della holding faceva specifico riferimento a operazioni finanziarie immobiliari; rispetto ai concret finanziamenti, effettuati per importi assai rilevanti, non poteva rinvenirsi alcuna adeguata contropartita o compensazione per la RAGIONE_SOCIALE, né erano stati indicati quali vantaggi i finanziamenti avrebbero potuto apportare alla stessa Trade, come riconosciuto anche dal consulente della difesa, che non era stato in grado di specificarli, al di là di un generico riferimento alla volontà di favorire sviluppo delle società del gruppo, laddove, come correttamente evidenziato dalla pronuncia di primo grado, l’utilità di un atto dispositivo va apprezzata in rapporto alla società che si impoverisce e ai soggetti da esso pregiudicati, dovendo il beneficio sempre ancorarsi all’incremento diffuso dei patrimoni sociali, nel contesto di collegamenti reali e non meramente presunti per la sola presenza del novero societario; il collegio sindacale aveva sottolineato in ben tre occasioni, la prima delle quali in data 8 giugno 2009, l’inopportunità dei finanziamenti alla RAGIONE_SOCIALE E su tali basi, dunque, le due sentenze di merito hanno correttamente ritenuto che le operazioni di finanziamento effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE configurassero attività distrattive, essendo stata la società progressivamente depauperata per dare respiro alle altre società del gruppo in difficoltà, ma determinando, in assenza di contropartita economica, l’effetto concreto di far sì che, ben presto, la stessa RAGIONE_SOCIALE andasse in irrimediabile difficoltà, concorrendo a condurla al fallimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte della esaustiva motivazione appena riassunta, entrambi i ricorsi, senza confrontarsi puntualmente con essa, reiterano, sostanzialmente, le medesime
considerazioni già svolte in sede di merito, già prese in esame ed efficacemente confutate alla stregua dei richiamati principi giurisprudenziali in argomento.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, con il secondo motivo, e quello presentato per COGNOME, con il suo sesto motivo, hanno ulteriormente censurato l’affermazione della consapevolezza, in capo ai due imputati, del possibile .pregiudizio derivante ai creditori dalle operazioni di finanziamento, peraltro assentite dagli istituti di credito, avendo le stesse sentenze qualificato ta finanziamenti come operazioni imprudenti e azzardate. Né la sentenza argomenterebbe adeguatamente sulla presenza di una consapevole accettazione del rischio di tali operazioni, necessario per inquadrare i fatti nella ipotesi bancarotta cd. impropria. In particolare, la prova del dolo non potrebbe desumersi dalla circostanza che il collegio sindacale avesse espresso perplessità circa l’opportunità dei finanziamenti alla RAGIONE_SOCIALE, atteso che, in disparte il fatto c:he l’episodio non riguardava i finanziamenti in favore delle società RAGIONE_SOCIALE Va/suo, le somme sarebbero state erogate in precedenza, ovvero nel 2007 e 2008, laddove le segnalazioni del collegio sindacale erano intervenute solo il 22 aprile 2010, allorché COGNOME, a riprova della sua buona fede, aveva convocato l’assemblea dei soci. Fermo restando che i pareri e gli inviti del collegio sindacale non erano suffragati da specifiche e obiettive circostanze di fatto, potendo essi essere improntati a una eccesiva prudenza dettata dalla preoccupazione dei membri del collegio sindacale di incorrere in responsabilità.
4.1. In punto di elemento soggettivo, va preliminarmente ribadito per la sussistenza del dolo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione non è necessaria la rappresentazione, da parte dell’agente, del rischio di una sicura lesione degli interessi creditori, né, tantomeno, che l’agente persegua direttamente il danno dei creditori, essendo, invece, sufficiente la generica consapevolezza della presenza di una situazione di concreto pericolo per la garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 261367 – 01), da apprezzarsi alla stregua di «indici di fraudolenza», rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condol:ta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezz imprenditoriale (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
4.2. Nel caso di specie, le sentenze di merito hanno motivato la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico a partire dal «continuo trasferimento di risorse che per anni è rimasto sprovvisto di corrispettivo», che all’evidenza «non autorizzava nessuna prognosi fausta delle operazioni per la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE», trattandosi di finanziamenti «privi di qualsiasi logica (correttamente) imprenditoriale» rispetto ai concreti interessi della società poi fallita. Ne consegue che non appare conferente la censura relativa alla mancanza di una adeguata motivazione in ordine alla maturata accettazione del rischio da parte degli imputati in ordine alla natura pericolosa delle operazioni di finanziamento, avendo le sentenze all’evidenza ricondotto l’atteggiamento psicologico dei due imputati non allo schema del dolo eventuale, quanto a quello del dolo diretto, avendo ritenuto che proprio la totale assenza di logica imprenditoriale rispetto ai continui finanziamenti che avevano dissanguato la società rendesse palese la piena consapevolezza del pericolo di un vulnus all’interesse dei suoi creditori, sia pure per l’obiettivo di concorrere al salvataggio di altre società del gruppo. In questo senso, i ripetuti caveat del collegio sindacale, che aveva espresso contrarietà ai finanziamenti in favore della RAGIONE_SOCIALE, non paiono rilevare in rapporto al fatto che fossero stati ignorati dai due imputati, quanto per il loro significato di obietti conferma del carattere temerario delle operazioni compiute, che gli amministratori, al pari dei componenti del collegio sindacale, non potevano non avere rilevato. E per la stessa ragione non appare significativo, nei termini evocati dalla difesa, il riferimento al carattere avventato delle operazioni di finanziamento, atteso che esso è stato valorizzato dalle sentenze, come appena osservato, non per ricondurre gli esborsi a un ambito di mancanza di prudenza o cautela, quanto per desumerne un atteggiamento psicologico di piena consapevolezza dell’incidenza di essi sulla garanzia patrimoniale dei creditori della RAGIONE_SOCIALE.
4.3. Le considerazioni da ultimo svolte consentono di ritenere infondate anche le argomentazioni svolte con il settimo motivo del ricorso di COGNOME, con cui la difesa lamenta la qualificazione giuridica del fatto come bancarotta fraudolenta anziché come bancarotta semplice nonostante che lo stesso collegio sindacale avesse bollato le operazioni «come manifestamente imprudenti, azzardate, tali da compromettere l’integrità del patrimonio sociale».
Come più sopra osservato, proprio il carattere del tutto azzardato delle operazioni di finanziamento, ossia l’assenza di qualunque ragionevole prospettiva di un vantaggio per la società che li effettuava, ha condotto i Giudici di merito, in maniera tutt’altro che illogica, a ritenere che gli imputati fossero pienamente consapevoli del pericolo che stavano determinando sulla garanzia dei creditori. Ciò che, pertanto, ha correttamente condotto la sentenza impugnata a configurare il dolo di distrazione necessario a integrare la fattispecie di bancarotta fraudolenta contestata.
Con il secondo motivo del ricorso di COGNOME e con i primi quattro motivi del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, sono state poste, inoltre, una serie di articolate questioni in ordine alla operazione distrattiva riconducibile all
17 GLYPH
ue/- cessione alla RAGIONE_SOCIALE del compendio immobiliare sito in Castelnuovo Cilento. Le censure sono riconducibili a due nuclei problematici fondamentali: il primo concerne la possibilità di qualificare l’operazione come distrattiva e di ravvisare, nella relativa condotta dei due imputati, i necessari indici di fraudolenza; il secondo attiene alla ipotizzata violazione del principio di corrispondenza tra l’imputazione e la sentenza, sul presupposto che i Giudici di merito abbiano compiuto una non consentita immutatio facti rispetto all’originaria contestazione.
5.1. La prima questione, a sua volta, racchiude due profili ulteriori: quello del carattere realmente simulato della cessione e, dunque, dell’esistenza di una distrazione sul piano oggettivo; quello della sussistenza del dolo distrattivo e, dunque, dell’elemento soggettivo della contestata bancarotta.
5.1.1. Con riferimento al primo profilo, si opina che, da un lato, la natura distrattiva della cessione sarebbe stata fondata sul carattere simulato del negozio; e che, dall’altro lato, l’esistenza della simulazione sarebbe stata esclusa in quanto la cessione dell’immobile sarebbe stata reale. Ciò sarebbe confermato, secondo la difesa di COGNOME, dal fatto che la società cedente avrebbe appostato in bilancio il relativo credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; che nella contabilità societaria vi sarebbe la traccia documentale dell’intera l’operazione e che, a fronte della cessione, vi sarebbero state delle prestazioni di segno corrispettivo (ovvero i trasferimenti dalla Trade alla Nuovo Sviluppo quale caparra per l’acquisto degli immobili; quelli dalla Cityline alla Trade quale prezzo per la cessione del contratto di acquisto); che la cessionaria avrebbe «realmente» disposto dei beni; che sarebbe stata vergata una scrittura privata con cui la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE convenivano, a fronte dell’impossibilità del versamento del prezzo pattuito da parte di quest’ultima, la «restituzione» dell’immobile a titolo di datio in solutum ovvero in luogo dell’adempimento del credito pecuniario; che il curatore avrebbe aderito alla proposta di datio in solutum della Cityline, con conseguente nuova attribuzione alla Trade del complesso immobiliare, acquisito all’attivo fallimentare e utilizzato per il soddisfacimento dei creditori. Viceversa, secondo la difesa di COGNOME, dall’esame dei contratti e dai relativi pagamenti emergerebbe che, effettivamente, i contratti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano stati oggetto di una simulazione assoluta, sicché la prima era sempre rimasta l’unica titolare del rapporto contrattuale con la RAGIONE_SOCIALE per il quale aveva effettuato gli esborsi di danaro, che avrebbero trovato la loro contropartita nello stesso complesso immobiliare, acquisito alla massa attiva del fallimento insieme alla somma di danaro corrispondente a uno degli immobili venduto nelle more. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.1.1.1. Osserva, in proposito, il Collegio che le argomentazioni svolte dalla difesa di COGNOME non sono in grado di inficiare la ricostruzione compiuta dalla pronuncia di appello, alla quale, anzi, è sostanzialmente corrispondente. Infatti, anche la Corte territoriale ha aderito, sia pure in termini non definitivi, alla t
che era stata esposta dalle difese nei rispettivi atti di appello (e dalla quale difesa di COGNOME ora si discosta), affermando che «probabilmente» vi era stata una effettiva cessione alla RAGIONE_SOCIALE della propria posizione contrattuale da parte della RAGIONE_SOCIALE. E, tuttavia, come chiaramente evidenziato nella sentenza impugnata, l’avere escluso il carattere simulato dell’operazione negoziale e, in definitiva, la sua qualificazione in termine di occultamento di beni da parte della fallita, formulata dalla pronuncia di primo grado, non consente di escludere la rilevanza penale della stessa, dal momento che, attraverso di essa, la società poi fallita aveva comunque fatto uscire dal proprio patrimonio, attraverso un «atipico trasferimento», una cospicua somma di denaro «in assenza di adeguata contropartita» ovvero «di una contropartita “reperibile”», allorché, dopo il compromesso del 30 novembre 2007 e dopo la scrittura privata del 23 dicembre 2008, la RAGIONE_SOCIALE aveva versato circa un milione di euro dietro la mera promessa di pagamento da parte della RAGIONE_SOCIALE. Una condotta, quella appena descritta, di evidente matrice distrattiva, che la sentenza impugnata ha ricostruito in maniera congrua e senza smagliature del tessuto logico-argomentativo, con una motivazione del tutto adeguata, contro la quale si infrangono i tentativi di opposta rilettura del materiale probatorio compiuti dalle difese, nel caso di COGNOME accedendo alla tesi della simulazione negoziale e, dunque, a una non consentita ricostruzione alternativa dei contorni fattuali della vicenda.
5.1.1.2. Sotto un ulteriore profilo, la difesa di COGNOME, con il terzo motivo di ricorso, ha censurato la mancata individuazione, nelle sentenze di merito, del necessario raccordo oggettivo fra la asserita condotta di «distrazione», lo stato di «insolvenza» e l’evento di pericolo per i creditori. Tuttavia, sul punto, è appena il caso di osservare che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 – 01, che in motivazione ha precisato come i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumano rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si sia realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza; in termini, tra le altre, Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437 – 01, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389 – 01; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683 – 01; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942 – 01). Tuttavia, secondo tale condiviso indirizzo occorre anche che la condotta depauperativa abbia cagionato un concreto pericolo per la garanzia
patrimoniale a disposizione dei creditori, essendo il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo a esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare. Un pericolo la cui esistenza è stata finanche ritenuta «evidente» dalla Corte di appello, avuto riguardo «all’intero andamento dell’operazione» (v. pag. 36 della sentenza di appello), con ciò rivelandosi ancora una volta infondata la censura difensiva prospettata sul punto.
5.1.2. Con il quarto motivo, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo della distrazione operata con i finanziamenti delle società del gruppo; dolo che esigerebbe la consapevolezza della concreta incidenza dell’operazione distrattiva sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori. La Corte salernitana, si opina, non si sarebbe confrontata con gli «indici di frode» elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, identificando indebitamente il dolo dell’occultamento e quello della distrazione, affermando che gli amministratori si fossero resi «perfettamente conto della pericolosità di tale operazione rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori», configurando, in definitiva, un dolo in re ipsa.
Osserva, sul punto, il Collegio che la motivazione offerta dalla sentenza impugnata, per quanto estremamente succinta, non può ritenersi apparente, né insufficiente, attingendo a una massima di esperienza solidamente persuasiva la circostanza che la fuoriuscita dal patrimonio sociale di una somma assai ingente, pari a circa un milione di euro, non potesse che essere considerata idonea a erodere la garanzia dei creditori da parte degli amministratori della società. Una massima di esperienza che, non a caso, è richiamata proprio dagli arresti che accedono alla tesi della necessaria configurabilità degli indici di fraudolenza, tra i quali, appunto, vi è anche quello di un ingente atto dispositivo privo di adeguata controprestazione sul piano economico.
5.2.2. Le considerazioni che precedono consentono di affrontare agevolmente l’ulteriore questione relativa alla ipotizzata violazione dell’art. 521 cod. proc. pen per difetto di correlazione tra l’accusa, avente ad oggetto un’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale «per occultamento», commessa mediante la vendita «simulata» del compendio immobiliare di Castelnuovo Cilento in favore di RAGIONE_SOCIALE, e quanto accertato con la sentenza di appello, ove invece è stata ritenuta configurabile un’ipotesi di autentica distrazione conseguente a un anomalo trasferimento di denaro.
5.2.2.1. Sul punto, va ricordato che le Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato come, per aversi mutamento del fatto, occorra una trasformazione
radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassuma l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire a un’incerte2:za sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra imputazione e decisione, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l’imputato, nel corso del processo, si sia trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine al fatto ritenuto in sentenza (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205617 – 01). E’, quindi, necessario, al fine di verificare se vi sia stata una trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito, non solo apprezzare in concreto se nella contestazione, considerata nella sua interezza, non si rinvengano gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, ma anche se una tale trasformazione, sostituzione o variazione abbia realmente inciso sul diritto di difesa dell’imputato e cioè se egli si sia trovato o meno nella condizione concreta di potersi difendere.
5.2.2.2. Tale verifica, nel caso in esame, conduce a ritenere insussistente la denunciata violazione di legge, posto che nel capo di imputazione è stata compiutamente descritta l’attività negoziale ritenuta illecita, attraverso la indicazione delle sue essenziali cadenze operative, i soggetti coinvolti, i termini dell’accordo; che, dunque, il tema che era stato posto nel corso del giudizio di merito riguardava la qualificazione giuridica dell’operazione; che a fronte della sua sussunzione nello schema dell’occultamento ad opera del primo Giudice, le difese avevano compiutamente interloquito nei rispettivi atti di gravame, sostenendo il carattere reale e non simulato dell’operazione; che proprio a partire dalla qualificazione della cessione del contratto preliminare di vendita dell’immobile come valida ed efficace, risultava evidente l’assenza di giustificazione del versamento di denaro senza alcuna contropartita, se non quella, non illogicamente ritenuta inadeguata, di una mera obbligazione di ritrasferimento, assunta con scrittura privata del 6 agosto 2010 e rimasta inadempiuta ancora al momento del fallimento, dichiarato in data 8 novembre 2010.
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza delle censure difensive sul punto.
Le attività distrattive contestate a NOME COGNOME nell’ambito del Proc. pen. n. 5476/2013 RGNR e del Proc. Pen. N. 203/2014 RGNR in relazione ai fallimenti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
6.1. Con il primo motivo di doglianza, la difesa di COGNOME ha dedotto che, con riferimento ai fallimenti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stato dimostrato che il mancato ritrovamento dei beni sociali fosse
imputabile a COGNOME che ne avrebbe puntualmente indicato l’ubicazione al curatore, il quale, per quanto concerne specificamente la RAGIONE_SOCIALE, avrebbe riferito nella sua relazione di aver riscontrato la confusione dei beni strumentali delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE con la conseguente impossibilità di stabilire quali fossero i beni della fallita.
6.2. Le censure difensive sono, tuttavia, infondate.
Va, infatti, ribadito che il delitto di bancarotta per distrazione, come ricordato dalla stessa difesa, richiede l’accertamento della originaria disponibilità dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 55805 del 3/10/2018, RAGIONE_SOCIALE c/o COGNOME, Rv. 274621 – 01; Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262197 – 01; Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, COGNOME, Rv. 249715 – 01; Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, COGNOME, R,v. 248425 – 01; Sez. 5, n. 22787 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247520 – 01; Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, COGNOME, Rv. 235767 – 01).
Tuttavia, essendo il fallito tenuto a garantire la conservazione dei beni, destinati al soddisfacimento dei creditori, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società fallita può essere desunta dalla mancata indicazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n, 669 del 04/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282643 – 01; Sez. 5, n. 8260/16 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 267710 – 01; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262740 – 01; Sez. 5, n. 19896 del 7/03/2014, COGNOME, Rv. 259848 – 01). Una volta accertato che vi fossero nel patrimonio dell’imprenditore componenti attive, in assenza di tali indicazioni, che debbono essere specifiche e consentire il recupero dei beni, ovvero l’individuazione dela loro effettiva destinazione, l’impossibilità di ricostruire la loro destinazio consente di desumere che i beni, nella consapevolezza del fallito, siano stati sottratti alla garanzia dei creditori. Si è, peraltro, condivisibilmente affermato che il giudice non può ignorare l’affermazione dell’imputato di aver impiegato tali beni per finalità aziendali o di averli restituiti all’avente diritto, in assenza di una chi smentita emergente dagli elementi probatori acquisiti, quando le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; Sez. 5, n. 19896 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 259848 – 01). E che, viceversa, informazioni generiche o l’assoluta mancanza di indicazioni al curatore, non possono valere a superare la prova della distrazione derivante dalla mancata dimostrazione della destinazione dei beni non rinvenuti.
Correttamente, sulla base di tali coordinate ermeneutiche, i Giudici di merito hanno ritenuto che il ricorrente, lungi dal tenere la condotta doverosa di collaborazione con il curatore, abbia omesso di fornire specifiche indicazioni sulla
esatta ubicazione dei beni sociali, dando informazioni tardive e generiche, che non hanno consentito agli organi della curatela di identificarli e appropriarsene. Come,
infatti, riferito dal curatore nel corso dell’istruttoria, non solo non vi erano trac documentali circa l’avvenuto trasporto dei beni, ma il luogo in cui il ricorrente
aveva genericamente indicato che essi si trovavano era comune a una serie di società fallite, circostanza che aveva comportato una confusione dei patrimoni; e
l’assenza poi, del registro dei beni ammortizzabili aveva impedito la identificazione dei beni delle società fallite, rispetto alla quale le informazioni offerte dall’imputa
erano state sostanzialmente inutili.
7. Quanto, infine, all’ottavo motivo del ricorso proposto nell’interesse di
NOME COGNOME, con cui la difesa censura la quantificazione della pena accessoria della inabilitazione a ricoprire uffici direttivi nelle imprese commerciali
per la durata di 5 anni, di gran lunga superiore alla pena principale inflitta, pari a
3 anni, dolendosi, altresì, della manifesta illogicità della motivazione in punto di bilanciamento tra circostanze, le relative doglianze sono inammissibili.
Invero, l’atto di appello proposto nell’interesse di COGNOME non aveva argomentato, se non in maniera del tutto generica, in ordine alla dosimetria della pena inflitta con la sentenza di primo grado. Ne consegue che le osservazioni critiche svolte con l’odierno ricorso si connotano in termini di sostanziale novità e, pertanto, non possono trovare ingresso in sede di legittimità, secondo quanto stabilito dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 4 ottobre 2024
Il Presidente
Il Consigliere estensore