Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8360 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8360 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a COMO il 06/06/1942
NOME nato a ROMA il 28/07/1949
avverso la sentenza del 03/05/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di entrambi i ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME per la parte civile, si riporta alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese
L’avvocato NOME COGNOME preliminarmente eccepisce la violazione del diritto di difesa per il mancato deposito della requisitoria da parte del Proc. Gen. e chiede il differimento dell’udienza ad altra successiva data. Nel resto si riporta ai motivi di
4
ricorso e ne chiede raccoglimento.
L’avvocato NOME COGNOME si associa alle richieste preliminari dell’avvocato COGNOME e insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa il 3.5.2024, la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della la pronuncia emessa in primo grado nei confronti, tra gli altri, di COGNOME NOME e di NOME – che aveva dichiarato, entrambi, colpevoli dei reati bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva (capi A2 e A5 relativi rispettivamente somme di denaro e a beni aziendali), il solo COGNOME colpevole anche dei reati di bancarotta fraudolenta documentale e di aggravamento del dissesto per omessa richiesta del fallimento (capi Al e A6) – ha, per quanto qui di interessa, dichiarato non dovers procedere nei confronti di COGNOME per il reato di cui al capo A6 perché estinto p intervenuta prescrizione e, per l’effetto, ha determinato la pena nei confronti del predett per i residui reati di cui ai capi Al, A2, A5 in anni quattro e mesi due di reclusione; altresì, assolto NOME dal reato di cui al capo A2 per non aver commesso il fatto ed, escluse le aggravanti contestate, ha rideterminato la pena per il reato di cui al cap A5 in anni tre di reclusione.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorrono per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME, dall’avv. NOME COGNOME si art in tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att proc. pen.
3.1.Col primo motivo deduce la violazione dell’art. 521 del codice di rito, lamentando la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza. La Corte di appello, pur avendo il merito di aver fatto chiarezza rispetto alla figura ibrida – tra amministratore di fat extraneus – elaborata dal Tribunale, ha chiaramente precisato di considerare l’Ariosto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta ritenendola concorrente extraneus con gli amministratori della società fallita. Ciò nonostante ha escluso che tale qualificazion giuridica integri violazione dell’art. 521 del codice di rito laddove il reato era stato as all’imputata quale amministratore di fatto.
3.2.Col secondo motivo deduce il difetto di motivazione in ordine all’elemento soggettivo, oltre che sul contributo causale,
Ed invero, una volta ritenuta la responsabilità penale della ricorrente quale concorrente extraneus nel delitto di bancarotta, sarebbe stata necessaria la dimostrazione della volontarietà della condotta di apporto a quella dell’intraneus, della consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori. Cosicché rileva a carico dell’extraneus non solo la volontà dolosamente diretta alla lesione dei diritti dei creditori del fallimento, ma anche, secondo i principi generali in materia di
l’accettazione del rischio di una siffatta eventualità. L’extraneus deve essers rappresentato la portata lesiva nei confronti dei creditori oltre che l’evento ulteriore fallimento. Nel caso di specie manca del tutto un’analisi in tal senso. Parimenti trascurat è l’aspetto del contribuito concorsuale e relativo nesso causale tra la condotta del soggetto terzo e l’evento.
3.3.Col terzo motivo deduce l’illogicità e contraddittorietà della motivazione. L Corte territoriale ha addebitato all’imputata NOME l’affermato, insufficien assolvimento dell’onere probatorio (relativo al suo diritto di percepire legittimamente canone di locazione di un appartamento di proprietà della società quale corrispettivo per prestazioni professionali prestate in favore di questa). L’imputata non avrebbe assolto all’onere probatorio, nemmeno sottoponendosi ad esame. La Corte di merito in tal modo ritiene di poter trarre un elemento di prova negativo a carico dell’imputato, che avvalendosi di un suo diritto, abbia deciso di non sottoporsi all’esame, La Corte peraltro poi, contraddittoriamente, afferma che l’Ariosto, in sede di esame, ha dichiarato di avere percepito per qualche tempo i pagamenti della locazione di un’unità immobiliare della società.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, dall’avv. NOME COGNOME si articola in due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, att. cod. proc. pen.
4.1.Col primo motivo deduce la nullità della notifica del decreto di citazione in grad di appello. Dalla documentazione in atti, emerge, infatti, che la notificazione del decret di citazione in grado di appello è stata effettuata presso l’ex difensore di fidu dell’imputato, e domiciliatario, avv. NOME COGNOME il quale, tuttavia, si scopriva nel del giudizio, essere già deceduto al momento della notificazione. La Corte di merito disponeva la notificazione del decreto presso il precedente difensore ove l’imputato risultava ancora elettivamente domiciliato, tale notificazione tuttavia non si perfezionava sicché il giudice di secondo grado, in sede di prima udienza, in data 2 novembre 2023 disponeva la rinnovazione della stessa rinviando l’udienza al giorno 9 Febbraio 2023. In tale udienza – cui non partecipavano i difensori degli imputati che aderivano all’astensione proclamata dall’unione delle Camere Penali – la Corte rilevava nuovamente il mancato perfezionamento della notificazione disponendone nuovamente la rinnovazione sempre presso il dorniciliatario avv. COGNOME rinviando l’udienza al 3 maggio 2024. In tal data la difesa riferiva, preliminarmente, di essere venuta a conoscenza del fatto che l’avvocato COGNOME fosse in realtà deceduto e che il decesso fosse intervenuto già prima della notificazione del decreto di citazione, onde eccepiva l’impossibilità sopravvenuta della notificazione chiedendo il rinvio e la rinnovazione della stessa. La Corte, tuttavi respingeva l’eccezione ritenendo applicabile la disposizione di cui all’art. 161, comma 4 del codice dì rito, affermando una responsabilità dell’imputato COGNOME il qual
avrebbe avuto l’onere, disatteso, di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto.
Ebbene, si osserva al riguardo che risulta ormai consolidato il princìpio per cui la morte del domiciliatario configura un’ipotesi di impossibilità di notificazione sopravvenut all’elezione del domicilio non ricollegabile al comportamento del destinatario, la quale comporta – sempre che non risulti dagli atti o sia comunque evidente che il destinatario avesse contezza della morte del domiciliatario – non già l’applicazione della norma di cui all’art. 161 comma 4 bensì delle disposizioni di cui agli articoli 157 e 159 del codice rito, non potendosi ritenere che l’imputato sia stato nell’effettiva condizione comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto. Ciò è proprio quanto si è verificato nel caso di specie in cui, peraltro, non vi è stato alcun accertamento in meri alla circostanza che l’imputato fosse a conoscenza della morte del proprio domiciliatario e che pertanto fosse in grado di ottemperare alle indicazioni di legge.
4.2. Col secondo motivo deduce il travisamento dei fatti e il difetto di motivazione nonché l’errata qualificazione di amministratore di fatto in capo al ricorrente e violazione degli articoli 110, 216, 219 e 223 legge fallimentare. Non vi è traccia nell documentazione in atti né nelle dichiarazioni dei testi di atti concreti di amministrazio posti in essere dal COGNOME dopo la dismissione delle cariche formali. Prive di attendibilità, in quanto volte solo ad alleggerire la propria responsabilità, sono inoltr affermazioni – massimamente valorizzate dalla Corte di merito – rese dal teste NOME COGNOME già collaboratore dell’architetto COGNOME e reale amministratore di fatto del società fallita RAGIONE_SOCIALE, il quale si è res t o financo responsabile dell’apposizione di numerose sottoscrizioni a nome dell’amministratore di diritto, NOME COGNOME risultate apocrife, in calce ad assegni, sottraendo in tal modo centinaia di migliaia di euro all società, La Corte d’appello ha inoltre ritenuto rilevante la circostanza che la sede operativa della società fosse ubicata in Como presso lo studio professionale del Margheritis, senza considerare che proprio il suindicato teste COGNOME all’epoca dei fatt lavorava presso gli uffici del Margherith ed era lui, e solo lui, ad avere un contro gestionale continuativo e significativo della società. Ne è in alcun modo emerso che l’imputato abbia compiuto un qualsiasi atto a lui direttamente attribuibile. Eg indubbiamente rivestiva all’interno della società un ruolo di primaria importanza ma esclusivamente di natura tecnica, posto che la professione da lui svolta era ed è quella di architetto e in tale sua veste si occupava dei singoli progetti. La Corte di appello h altresì completamente tralasciato e/o travisato la dichiarazione resa dalla testimone NOME COGNOME la quale aveva indicato proprio in NOME l’amministratore di fatto specificando che questi, unitamente ad NOME, erano le persone che avevano preso i soldi e che volevano comandare, mentre qualificava il ricorrente quale un truffato e l’unica persona che voleva salvare la società versando soldi.
5. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato, su richiesta del P.G. – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 successive integrazioni – con l’intervento delle parti che hanno concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono entrambi inammissibili.
Preliminarmente si deve evidenziare la manifesta infondatezza dell’eccezione sollevata dalla difesa in ordine al mancato deposito delle conclusioni del Procuratore Generale per iscritto, avendo questi avanzato richiesta di trattazione orale dei ricorsi, cui hanno fa seguito le discussioni orali con relative conclusioni rassegnate oralmente all’udienza.
2.11 ricorso proposto nell’interesse di Margheritis.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Involgendo esso questione processuale si deve, preliminarmente, precisare che questa Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controll quale giudice «anche del fatto», che può e deve prescindere dalla motivazione offerta nel provvedimento impugnato e, anche accedendo all’esame dei relativi atti processuali, viceversa precluso quando si tratti di vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e cod, proc. pen. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F e altri, Rv. 273525; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304), deve valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand’anche non correttamente giustificata o giustificata solo a posteriori (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 255515; in termini, Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME FG ed altri, Rv. 221322).
Ed invero, emerge dagli atti che, dopo essersi tentata, più volte, la notificazione del decreto di citazione in appello dell’imputato presso il precedente difensore, avv. NOME COGNOME ove l’imputato risultava ancora elettivamente domiciliato, all’udienza del 3 maggio 2024, il nuovo difensore del COGNOME, avv. NOME COGNOME ha eccepito la nullità della notifica in quanto effettuata al domicilio eletto presso lo studio del preceden difensore, avv. COGNOME già deceduto al momento della notifica, chiedendo che essa fosse effettuata ai sensi degli artt. 157 e 159 del codice di rito. Emerge, altresì, dal medesim verbale di udienza, che la Corte di appello, rilevato che il domiciliatario avv. COGNOME e deceduto da circa tre anni, come da relata del 23.2.2024, ritenuto pertanto che non ricorressero le ipotesi di cui all’art. 161, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen., del
caso fortuito e della forza maggiore che avrebbero potuto impedire all’imputato di comunicare il mutamento del luogo eletto, ha reputato applicabile il disposto di cui all’art 161, comma 4, primo periodo, cod. proc. pen. Indi, ha rigettato l’eccezione della difesa, rilevando che in concreto la notificazione era stata effettuata mediante consegna all’attuale difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 161, comma 4, primo periodo. L’avv. COGNOME a fronte di tale rilievo, nulla ha ulteriormente eccepito, n ha osservato alcunché quanto alla idoneità della notificazione intervenuta presso di lui, sicché le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni.
Sia pure in maniera sintetica la Corte di merito ha, in buona sostanza, ritenuto validamente perfezionata la notificazione presso il nuovo difensore di fiducia ex art. 161, comma 4, del codice di rito, sul presupposto che la causa dell’impossibilità dì notificazione sopravvenuta, pur derivante dal decesso del domiciliatario, ossia da circostanza non ricollegabile all’imputato, non poteva ritenersi da questi ignorata, risultando il decesso risalente a circa tre anni prima. D’altra parte, è il caso di aggiunge che l’imputato aveva anche proceduto alla nomina di un nuovo difensore di fiducia proprio nella persona dell’avv. COGNOME redattore dell’atto di appello, che aveva ricevuto la notificazione del decreto di citazione in argomento. Questi, è altresì il caso evidenziare, a fronte del rilievo della Corte di merito quanto alla mancata ricorrenza nel caso di specie di una delle ragioni – caso fortuito o forza maggiore – che consentono, alla stregua dell’art. 161, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen. di ritenere giustificata la mancata comunicazione del domicilio divenuto non più idoneo, nulla eccepiva al riguardo, né tanto meno adduceva argomenti a sostegno della ricorrenza di una di tali ipotesi, né – sempre secondo quanto risulta dall’incontestato verbale di udienza sollevava obiezioni in ordine alla notificazione intervenuta presso di lui.
Tale impostazione, a ben vedere, è in linea con l’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di notificazioni, il decesso del difensore di fiducia domiciliatar determina un’ipotesi di impossibilità di notificazione sopravvenuta derivante da una situazione impeditiva non ricollegabile al comportamento del destinatario della notificazione, sicché, qualora non risulti dagli atti, né sia altrimenti desumibile, l’imputato fosse a conoscenza del decesso, non sono applicabili le disposizioni di cui alla prima parte dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., bensì quelle di cui agli artt. 157 159 cod. proc. pen. (richiamate nell’ultimo periodo del predetto comma 4 dell’art. 161), non potendosi ritenere che l’imputato sia stato nell’effettiva condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto (cfr. da ultimo, Sez. 2, n. 14947 del 11/02/2020, Rv. 278836 – 01). Tale orientamento dà rilievo all’ipotesi – ritenuta ricorrere nel caso di specie – in cui dagli atti emergano elementi da cui desumere che l’imputato fosse a conoscenza del decesso del difensore domiciliatario ed afferma, in buona sostanza, che al ricorrere di essa trova applicazione il disposto normativo di cui
all’art. 161 comma 4 cod, proc. GLYPH pen., prima parte, che anche nella sua nuova formulazione, come risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150/2022, prevede la consegna dell’atto al difensore.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile. Attraverso i vizi denunciati esso mira alla rivalutazione del compendio probatorio, inibita a questa Corte che è giudice della motivazione. E questa, nel caso di specie, si presenta nel suo complesso logica e coerente, oltre che specificamente adeguata anche, proprio, nella parte in cui ricostruisce il ruolo del ricorrente, che il ricorso tende nuovamente a porre in discussione con argomenti nella sostanza già adeguatamente vagliati. Esso è, pertanto, anche aspecifico, oltre che manifestamente infondato per la insussistenza dei vizi denunciati.
La sentenza impugnata ha, invero, posto a base della veste di amministratore di fatto ritagliata in capo al ricorrente una consistente pluralità di elementi sintomatici tale ruolo, desunti dalle dichiarazioni di svariati soggetti (COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME), che non si esauriscono in quelli messi in discussione in ricorso riconducibil alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME. Tale complesso di dichiarazioni è stato ritenut convergere nella medesima direzione con argomenti che hanno posto bene in evidenza le ragioni della sua valenza, attendibilità e rilevanza ai fini che occupano (cfr. agg. 5,6,7, e 9 della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha ricostruito la complessa vicenda prefallimentare in cui si inserisce il rilevante ruolo attribuito al ricorrente, indicazione sia delle fonti dichiarative, puntualmente passate in rassegna, sia delle condotte delineatesi, non trascurando di indicare quelle specificamente riferibili a Margheritis, che vanno ben oltre la posizione di socio dal medesimo rivestita nella società o di tecnico). La ricostruzione svolta nella sentenza impugnata peraltro non ignora affatto la posizione di co-amministratore di fatto del COGNOME – al quale i reati sono stati ascri concorso e poi dichiarati improcedibili, nei suoi confronti, per il sopravvenuto decesso che ovviamente non esclude quella parimenti attribuita al COGNOME, e nel valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del predetto, anzi, distingue le parti in cui esse credibili, anche perché riscontrate da altri elementi, da quelle che tali non sono, dando conto dello spessore del vaglio evidentemente svolto con assoluta lucidità e logicità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E, quanto alle dichiarazioni della COGNOME – nominata liquidatrice dal COGNOME, come dalla medesima dichiarato, secondo quanto si riporta in sentenza – è solo il caso di osservare che ella, sempre secondo la ricostruzione dei giudici di merito, ebbe piuttosto a riferire – dì là dì quanto si afferma in ricorso senza nemmeno allegarsi gli atti da cui son state tratte le affermazioni riportate, evidentemente estrapolate da più ampio contesto dichiarativo di cui non si tiene né si dà conto – ben altre circostanze pienamente confermative del ruolo svolto dal COGNOME all’interno della società, indicando anche alcune delle condotte specifiche dal medesimo assunte (quale, ad esempio, quella relativa alla vendita del terreno edificatane di Cernobbio). E, precisando di non avere mai
visto NOME COGNOME ossia l’amministratore formale, che sapeva essere il marito della ex domestica dì NOME COGNOME concludeva che secondo lei chi prendeva le decisioni in seno alla società erano NOME e COGNOME.
Sicché evidente è l’inammissibilità anche del secondo motivo, sotto i diversi profili evidenziati.
3.11 ricorso proposto nell’interesse di NOME.
3.1. Il primo motivo con cui si deduce la violazione di legge in relazione al principio di correlazione tra imputazione e sentenza, per avere l’imputazione contestato il ruolo di amministratore di fatto e la sentenza, peraltro già in primo grado, accertato il ruolo di concorrente extraneus in capo alla ricorrente, è manifestamente infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051, in una fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato da questa Corte come bancarotta pre-fallimentare).
Nel caso in esame, immutate le condotte di bancarotta patrimoniale ascritte, è pacifico che non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019, Rv. 276779 – 01; Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264073; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246100), come accaduto nel caso di specie.
3.2. Quanto al secondo motivo, si osserva che la ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata ha affrontato anche la speculare questione in diritto sull’elemento soggettivo già sollevata in quella sede, evidenziando che in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella delrintraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento
del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interess dei creditori (cfr. ex multis, Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019 Ud., dep. 04/02/2020, Rv. 278156 – 02; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 27112301; e, più in generale, in ordine al dolo nella bancarotta per distrazione, cfr. Sez. U, Sentenza n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266805 – 01).
Ne consegue che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 I. fall, caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato, che, invece, coincide con la lesione dell’interess patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che questa non possa ricavarsi da fattori diversi, quali – come nella specie l’assoluta assenza di ragioni giustificatrici dell’intervenuto introito dei canoni di locaz che erano di pertinenza della società, ovvero della natura assolutamente non dovuta dell’incasso di somme invece di spettanza della società e quindi suscettibili di incidere direttamente sugli interessi del ceto creditorio (trattandosi, nell’ipotesi in scrutini buona sostanza, di mancati introiti per la società di canoni di locazione che l’imputata ha tentato di giustificare adducendo propri crediti sulla base di documentazione ritenuta del tutto non conferente dai giudici di merito con argomenti, peraltro, non oggetto di specifiche doglianze nella presente sede), l’entità comunque non trascurabile dell’operazione la cui idoneità ad incidere negativamente sul patrimonio della società è in re ipsa (Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume e altro, Rv. 24687901); fattori tutti ritenuti evidentemente idonei a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei crediti, comunque già esistenti all’epoca della distrazione, e, dall’altr all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. Mentre è pacifico che ai fini dell’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficient che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, Sentenza n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804 – 01, in motivazione, questa Corte ha precisato che í fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.3. Quanto al terzo motivo sulla presunta inversione dell’onere della prova è solo il caso dì osservare che nel caso di specie si trattava di canoni di locazione relativi ad
immobile della società che erano quindi di pertinenza di questa e che sono stati invece incassati dall’imputata (come ammesso dalla stessa e ricostruito dal curatore). Sicché a fronte di tali emergenze, in particolare della ricostruzione del curatore che aveva tra l’altro riferito anche della mancata ammissione al passivo delle spettanze reclamate dalla Ariosto per consulenze asseritamente svolte per la società fallita e della mancanza di opposizione allo stato passivo da parte della medesima, non si tratta di inversione dell’onere della prova, risultando la distrazione per tabulas e non smentita da evidenze di segno contrario.
Né d’altra parte risulta che l’amministratore abbia dimostrato o quanto meno fornito argomenti rilevanti in ordine alla destinazione a fini aziendali delle somme riscosse.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. Consegue altresì la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile liquidate in complessivi euro 3.500, 00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge
Così deciso il 28/1/2025.