Bancarotta Fraudolenta: Quando la Volontà di Distrarre Beni è Sufficiente per la Condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di bancarotta fraudolenta, specificando i contorni dell’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio per aver distratto beni dal patrimonio aziendale. La decisione sottolinea come, per integrare il delitto, sia sufficiente il ‘dolo generico’, un concetto chiave che merita un’analisi approfondita.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un imprenditore da parte del Tribunale e, successivamente, della Corte d’Appello, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, oltre che per bancarotta semplice patrimoniale. L’imputato, non accettando la decisione di secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a cinque distinti motivi.
I Motivi del Ricorso e la questione sulla bancarotta fraudolenta
L’imprenditore ha contestato la sentenza d’appello lamentando, tra le altre cose, la carenza di specificità dei motivi di ricorso e la presunta erronea valutazione dell’elemento soggettivo del reato. Secondo la difesa, non era stata provata la volontà specifica di recare pregiudizio ai creditori, né la piena consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa. Altri motivi di doglianza riguardavano un presunto difetto di correlazione tra l’accusa formulata e la sentenza emessa, e la mancata derubricazione del reato in una fattispecie meno grave.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’elemento soggettivo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
I giudici hanno chiarito che, per la sussistenza di questo delitto, è sufficiente il dolo generico. Questo significa che non è necessario dimostrare né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo specifico di danneggiare i creditori. L’elemento psicologico del reato si perfeziona con la ‘consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte’. In altre parole, basta che l’imprenditore sia cosciente e voglia sottrarre beni alla loro funzione di garanzia per i debiti dell’azienda, a prescindere dal motivo ultimo che lo spinge a farlo.
Richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite, la Corte ha ribadito che l’intento di frodare i creditori è un risultato implicito nella condotta distrattiva stessa. Gli altri motivi di ricorso sono stati giudicati manifestamente infondati o generici, e quindi inammissibili.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un importante principio di diritto penale commerciale. La condanna per bancarotta fraudolenta non richiede una prova complessa sull’intimo volere dell’imprenditore di pregiudicare i terzi. È la condotta materiale della distrazione, compiuta con la consapevolezza di alterare la consistenza del patrimonio a garanzia dei creditori, a integrare l’elemento soggettivo del reato. Questa interpretazione ha importanti implicazioni pratiche, poiché semplifica l’onere probatorio dell’accusa e rafforza la tutela del ceto creditorio. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, per il ricorrente, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Per la condanna per bancarotta fraudolenta è necessario dimostrare l’intenzione di danneggiare i creditori?
No, secondo la Corte non è necessario provare lo scopo specifico di recare pregiudizio ai creditori. È sufficiente la consapevole volontà di destinare il patrimonio sociale a scopi diversi dalla garanzia delle obbligazioni.
È richiesta la consapevolezza dello stato di insolvenza per configurare il dolo nella bancarotta fraudolenta?
No, l’ordinanza chiarisce che per la sussistenza del dolo generico non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile per genericità?
Quando un ricorso è inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, rendendo definitiva la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36982 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36982 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PARENTE NOME NOME a MACERATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2025 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del 8 maggio 2023 del Tribunale di Macerata, che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME in ordine ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e bancarotta semplice patrimoniale e lo aveva condanNOME alla pena di giustizia;
che il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso dell’imputato sono privi del requisito della specificità, nonché riproduttivi di profili di censura che sono sta già adeguatamente vagliati da parte del Giudice di appello, che ha correttamente osservato che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805 – 01);
che il quarto motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta il difetto correlazione tra accusa e sentenza, è manifestamente infondato in quanto inerente a violazione di norme processuali palesemente smentite dagli atti;
che il quinto motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole della mancata derubricazione ex art. 217 R.D. 267/1942 e mancata applicazione dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., è inammissibile in quanto generico;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/10/2025.