Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 39160 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 39160 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a San Miniato il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Vecchiano il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 4 maggio 2023 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME e per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alla distrazione della somma di euro 9.880,00 di cui al capo A) dell’imputazione, con rigetto nel resto, per il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME; uditi i difensori, AVV_NOTAIO e NOME COGNOMEAVV_NOTAIO, che insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano tratti a giudizio (unitamente ad altri coimputati non ricorrenti) per rispondere, per quel che rileva in questa sede, nella loro rispettiva qualità di amministratore di diritto e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 15 giugno 2012), entrambi dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (per aver distratto dal patrimonio della fallita un gommone, due rimorchi e una pluralità di somme di denaro dettagliatamente indicate) e di bancarotta fraudolenta documentale (per aver tenuto la documentazione contabile in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari) e, il solo COGNOME, in concorso con il padre NOME COGNOME, anche del reato di truffa aggravata ai danni della Regione Toscana (per aver simulato l’esecuzione di lavori di ripristino di beni danneggiati dall’esondazione del fiume Serchio).
La prospettazione accusatoria è stata integralmente confermata in primo grado e, sostanzialmente, anche in secondo (con la sola esclusione di alcune delle plurime condotte distrattive contestate).
Propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso proposto da quest’ultimo si compone di due motivi d’impugnazione.
3.1. Il primo attiene all’imputazione per bancarotta patrimoniale e deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della distrazione della somma di 19.000 euro versata da NOME COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto di una barca Dey Line 600 di proprietà della fallita.
Sostiene la difesa che l’imbarcazione oggetto della compravendita non sarebbe mai stata di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, ma della RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal ricorrente. E in questi termini le esplicite dichiarazioni rese dal teste COGNOME (pur evidenziate nella sentenza), che ha riferito di aver concluso il contratto di compravendita non con la fallita, ma con la RAGIONE_SOCIALE e di aver ricevuto da quest’ultima società la relativa fattura.
Viceversa, la fattura rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (sulla quale la Corte fonda la ritenuta responsabilità) deve considerarsi falsa e comunque logicamente priva di forza inferenziale rispetto alla prova della proprietà dell’imbarcazione e, quindi, della valenza distrattiva della condotta. E La Corte territoriale non spiega perché ha ritenuto di dare prevalenza, nel suo ragionamento, alla fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e non a quella della RAGIONE_SOCIALE, pur a fronte di ulteriori indici (l’esi stenza di trattative e di un contratto scritto tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) che avrebbero dovuto far propendere per la situazione opposta.
3.2. Il secondo attiene all’imputazione per truffa e deduce, nuovamente, vizio di motivazione, perché la Corte territoriale avrebbe fatto retroagire, attraverso una serie di errori, il mendacio della fase susseguente all’erogazione (per il quale vi è stata malversazione confessata dall’imputato) alla fase antecedente.
Invero, l’erogazione del contributo trovava, normativamente, come unico presupposto non già l’eventuale esecuzione di lavori di ripristino (in relazione ai quali si ipotizza il falso e la conseguente induzione in errore), ma esclusivamente l’attestazione di aver subito un danno dall’alluvione; evento rispetto al quale, pacificamente, non si è mai posta una questione di falsità. Cosicché, per quel che rileva ai fini dell’erogazione del contributo, a fronte della incontestata affermazione di aver subito danni riconducibili all’alluvione (unico dato normativamente rilevante), non solo alcuna truffa vi è mai stata, ma neanche alcuna dichiarazione mendace.
In ogni caso, la condotta concorsuale imputata al ricorrente si fonderebbe sul solo dato fattuale di aver presentato la dichiarazione; dato, in sé, logicamente insufficiente ove si consideri, sostiene la difesa, che tutta la documentazione è stata approntata in un periodo (dal settembre 2011 al giugno 2012) in cui il ricorrente era detenuto.
Né potrebbe avere rilevanza, in sé, il persistente svolgimento di fatto delle funzioni gestorie anche durante tale periodo (valorizzata dalla Corte territoriale): sia perché la gestione di fatto non permette l’imputazione congiunta (con l’amministratore di diritto) di tutte le attività gestorie, sia perché, anche a voler ritene sussistente la consapevolezza della falsità della documentazione, difetterebbe l’esistenza di uno specifico obbligo di denuncia.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME si compone di cinque motivi d’impugnazione.
4.1. I primi due motivi di ricorso deducono, preliminarmente, l’irrilevanza della prima erogazione, in quanto effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE e non dalla Regione Toscana e, nel resto, da un canto, la radicale carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della distrazione della somma di 6.700 euro, implicitamente dedotta dalla mancanza di assoluzione, pur intervenuta per altre due delle condotte contestate (primo motivo); dall’altro, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione e il relativo travisamento della prova (secondo motivo) in relazione:
alla distrazione della somma di euro 5.202, corrisposta dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE per somministrazioni eseguite da quest’ultima in favore della RAGIONE_SOCIALE (in relazione alla quale la condotta non potrebbe essere attribuita a NOME COGNOME e il bonifico emesso dalla fallita si giustificherebbe in ragione della accertata promiscuità tra le due società);
b) alla distrazione della somma di euro 18.000, corrisposta dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE mediante assegni circolari, per la quale, in mancanza delle distinte contabili, non potrebbe accertarsi chi abbia effettivamente dato l’ordine di emissione;
alla distrazione della somma di euro 14.500, corrisposti dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE per pagare un debito della RAGIONE_SOCIALE, ma ciò al solo fine di evitare il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e conseguenti azioni esecutive nei confronti della RAGIONE_SOCIALE;
d) alla distrazione della somma di euro 9.800, dovuta alla RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME per l’acquisto di un gommone e versata, tramite bonifici bancari, direttamente a NOME COGNOME; condotta in relazione alla quale la Corte non avrebbe considerato che, pur a fronte di una fattura di vendita del settembre 2010 (emessa al solo fine di dare una giustificazione contabile all’operazione), la vendita e , il versamento del denaro sarebbe avvenuto in data antecedente all’assunzione della carica amministrativa (nel maggio del 2010), per cui sarebbe imputabile solo a chi tale pagamento ha ricevuto;
alla distrazione della somma di euro 19.000, versata da COGNOME NOME alla RAGIONE_SOCIALE a fronte della cessione di una barca di proprietà della fallita, in relazione alla quale la fattura rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (sulla quale la Corte fonda la ritenuta responsabilità) deve considerarsi falsa e comunque logicamente priva di forza inferenziale rispetto alla prova della proprietà dell’imbarcazione e, quindi, della valenza distrattiva della condotta;
alla distrazione del gommone TARGA_VEICOLO, ceduto in pernnuta alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME e mai rinvenuto dalla curatela, in relazione alla quale, non essendovi un riferimento certo circa la data di consegna, non sarebbe dato sapere se il COGNOME (divenuto amministratore nel maggio 2010) abbia mai avuto la disponibilità di tale bene;
alla distrazione dei due rimorchi, per i quali l’iscrizione al PRA in favore della RAGIONE_SOCIALE (unico dato fondate l’accertamento della responsabilità) ben può essere il frutto di una mancata volturazione.
4.2. Il terzo motivo di ricorso attiene alla bancarotta documentale e deduce violazione dell’art. 216 I. fall. e connesso vizio di motivazione e rileva, da un canto, l’esistenza, per come riferito dalla stessa curatrice, di un pregresso disordine contabile, antecedente alla gestione riconducibile al COGNOME (amministratore solo dal maggio 2010 al maggio dell’anno successivo, quando ha rassegnato le sue dimissioni), al quale, pertanto, non potrebbero addebitarsi responsabilità altrui; dall’altro, la soggezione del ricorrente alle direttive impartite dal COGNOME, effettivo amministratore della società;
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4.3. Il quarto e il quinto, infine, deducono, sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, la carenza di un reale impianto motivazionale a sostegno sia della determinazione del trattamento sanzionatorio (nulla essendo stato detto né in ordine alla pena da irrogarsi per il reato di cui al capo b, né in ordine all’aumento per l’aggravante contestata), sia del riconoscimento della recidiva, ritenuta alla luce dei soli precedenti penali emersi a carico del COGNOME (il quinto).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati.
I motivi di ricorso afferenti ai profili di responsabilità per bancarotta fraudolenta patrimoniale (primo motivo del ricorso COGNOME e primi due motivi del ricorso COGNOME) sono indeducibili.
2.1. Va premesso che la bancarotta è un reato proprio, in quanto può essere commesso esclusivamente dall’imprenditore suscettibile di essere dichiarato fallito o dagli altri soggetti specificamente indicati nelle norme incriminatrici (i soc illimitatamente responsabili, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i quidatori, gli institori) e trova il suo fondamento giuridico, nella sua dimensione patrimoniale, nella posizione di garanzia che l’imprenditore o gli altri soggetti in precedenza indicati assumono rispetto alla destinazione impressa dall’art. 2740 cod. civ. ai beni facenti parte del patrimonio aziendale e, in ultimo, rispetto agli interessi dei creditori alla cui soddisfazione è destinato il patrimonio stesso.
Le condotte nelle quali si sviluppa la bancarotta fraudolenta patrimoniale sono (quanto meno quelle di dissimulazione occultamento, distrazione e dissipazione) diverse modalità di aggressione dello stesso bene giuridico, rappresentato dall’interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell’imprenditore, destinata, dall’art. 2740 cod. civ., a garanzia dei debiti contratti; singole modalità di esecuzione alternative e fungibili di un solo reato (Sez. 5, n. 30442 del 22/06/2006, Preziosa), strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori); evento, in cui si concretizza l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualunque forma e con qualunque modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale utilizzato, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate in favore della curatela (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Rv. 213120). Ciò che qualifica la condotta sanzionata dall’art. 216, comma 1, n. 1, I. fall., in tutte le sue alternative manifestazioni, è il risultato ultimo, la lesione dell’interesse dei creditori alla conservazione dell’integrità patrimoniale conseguente ad un atto di
disposizione che abbia determinato una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della società fallita.
Parallelamente, il coefficiente di partecipazione soggettiva proprio del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è il dolo generico, che si risolve nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763, in motivazione). Cosicché, l’agente deve solo prefigurarsi, in un’ottica liquidatoria, la probabile idoneità della condotta ad incidere negativamente sulla consistenza della garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, senza necessariamente dover prevedere (né tanto meno volere) né il dissesto, né il fallimento (Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262741).
2.2. Ciò considerato, la Corte fonda la ritenuta responsabilità su un principio consolidato di questa Corte: ove l’atto distrattivo consista nell’occultamento di beni sociali, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni che in epoca anteriore o prossima al fallimento erano nella disponibilità della società dichiarata fallita, può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Rv. 267710; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385).
La sentenza di fallimento, infatti, non determina – in ordine ai beni dell’impresa – lo spossessamento, in senso civilistico, dell’imprenditore, ma solo il trasferimento della “gestione” al curatore, che diviene detentore e amministratore di quei beni nell’interesse della massa (ex multis, Cass. civ., n. 17605 del 9/2015). Sicché l’imprenditore continua a conservare, in ordine a quei beni, obblighi di custodia e conservazione fino alla consegna al curatore, al momento della redazione dell’inventario (Sez. 5, n. 13528 del 08/02/2017, Rv. 269721). Cosicché, se è vero che il giudicante, nel ritenere la condotta distrattiva, non può semplicemente limitarsi alla rilevazíone “notarile” dell’assenza dei predetti beni nel possesso del fallito (Sez. 5, n. 19896 del 07/03/2014, Rv. 259848), le informazioni che il fallito deve dare alla curatela e, conseguentemente, al giudice, al fine di consentire il rinvenimento dei beni che potrebbero essere stati potenzialmente distratti, devono essere specifiche e far sì che effettivamente avvenga il recupero di essi ovvero se ne conosca la sorte (Sez. 5 n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204).
Ciò considerato, il dato fattuale dal quale prende le mosse il ragionamento logico offerto dalla Corte territoriale (particolarmente significativo per la sua forza inferenziale) è che entrambe le società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE)
insistevano nel medesimo sito, avevano in comune i beni strumentali, utilizzavano gli stessi dipendenti e, nello svolgimento della medesima attività (rimessaggio, riparazione e vendita di natanti), utilizzavano promiscuannente il nominativo della Blu RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce di tale dato vengono poi analizzate le singole condotte contestate, la cui valenza distrattiva è stata ritenuta perché afferenti alla sottrazione, ingiustificata, di somme o altri beni dal patrimonio della fallita: perché corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE in adempimento di un debito della RAGIONE_SOCIALE (euro 5.202, pagati alla società RAGIONE_SOCIALE, ed euro 14.500, corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE) o perché versate dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE senza giustificazione alcuna (euro 18.000, versati con assegni) o perché somme consegnate nelle mani dell’amministratore in pagamento di beni della società non rinvenuti dal curatore (euro 9.880, versati da NOME COGNOME per l’acquisto di un gommone; euro 19.000, versati da NOME COGNOME per l’acquisto di un’imbarcazione; euro 16.500 versati per l’acquisto di un’imbarcazione da parte di NOME COGNOME; il gommone, TARGA_VEICOLO, dato in permuta da NOME COGNOME).
2.3. A fronte di ciò, i ricorrenti deducono circostanze o del tutto irrilevanti, che, alla luce dello svolgimento delle funzioni gestorie e per quello che si è detto i precedenza, non escludono né la responsabilità dell’amministratore, né la natura distrattiva della condotta considerata (il dubbio sulla materiale esecuzione dei versamenti o dei bonifici o la concreta consegna dei beni; la promiscuità tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE; l’intenzione di evitare il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e conseguenti azioni esecutive nei confronti della RAGIONE_SOCIALE) o che, comunque, si risolvono in una differente ricostruzione del dato fattuale e una connessa rivalutazione del materiale probatorio (le diverse fatture in relazione alla distrazione di 19.000 e l’iscrizione al PRA in relazione ai rimorchi), attività che, com’è noto, è preclusa in questa sede, dove il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non è diretto a stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né a condividerne la giustificazione, ma alla sola verifica di logicità e coerenza della giustificazione offerta (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
E ciò, peraltro, senza considerare (e tanto vale, in particolar modo, in relazione alla carenza di motivazione in ordine alla sottrazione dei 6.700 euro evocata con il primo motivo del ricorso COGNOME) la genericità (sotto tale profilo) dei paralleli motivi di appello formulati dagli odierni ricorrenti, con i quali la difesa nulla ha dedotto in ordine alle specifiche condotte contestate (ad eccezione della censura relativa alla distrazione di 19.000 euro, versati per la vendita di una barca ), limitandosi a censurare le funzioni svolte all’interno della gestione societaria e a de-
durre lo stato di decozione nel quale versava la società al momento del suo ingresso e la generica impossibilità di ricostruire il compendio patrimoniale alla luce del disordine contabile. Genericità che, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., non permette l’ingresso alle (specifiche) deduzioni formulate in questa sede (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv.’ 280306).
Il terzo motivo è manifestamente infondato. E sotto tale profilo è sufficiente ribadire che, in caso di avvicendamento nella gestione di una società, se l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo dell’eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, su quest’ultimo incombe l’autonomo obbligo di verificare l’esatto adempimento da parte del precedente amministratore e, eventualmente, ricostruire la documentazione contabile mancante o inidonea, ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancanti e regolarizzare le scritture di cui rilevi l’erroneità, lacunosità o falsità (Sez. 5, n. 15988 del 11/03/2019, non massimata). Da ciò la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo.
4. Indeducibili sono il quarto e il quinto motivo d’innpugnazione.
4.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, va rilevato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. p (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410).
Ebbene, la Corte ha chiaramente indicato i criteri logici e fattuali utilizzati ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio (i numerosissimi precedenti penali, l’assenza di rivisitazione critica e la circostanza per cui i reati sono stati commessi durante il periodo di interdizione dall’assunzione di cariche amministrative in società commerciali). E tanto, alla luce di quanto osservato e della concreta determinazione della pena, è ampiamente sufficiente a ritenere adempiuto il relativo onere motivazione.
4.2. Analoghe considerazioni anche in relazione alle circostanze dedotte con il quinto motivo di ricorso.
Anche sotto tale profilo, va premesso che la disciplina della recidiva trova la sua giustificazione nella riscontrata insensibilità del soggetto agente al trattamento repressivo e rieducativo; cosicché presuppone che le pregresse condotte criminose (delle quali sia stata accertata la commissione) siano state indicative di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419). E il relativo motivazionale è soddisfatto in tutte le ipotesi nelle quali, anche se con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782).
Ebbene, in concreto, la Corte ha dato esplicitamente conto proprio dell’insensibilità del COGNOME al trattamento repressivo e rieducativo e della circostanza per cui, alla luce dei numerosissimi precedenti penali e dell’assenza di resipiscenza, la manifestata proclività a delinquere dovesse essere fronteggiata con una maggiore severità sanzionatoria.
La logica argomentazione offerta dà conto della manifesta infondatezza dell’assunto difensivo. Né può ipotizzarsi interesse alcuno dell’imputato ad ottenere un “motivato” aumento per la continuazione interna e per l’aggravante contestata, non irrogato in concreto.
Residua il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME, afferente alla condanna per truffa ai danni della Regione Toscana.
5.1. Va premesso che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, dell’induzione in errore dell’ente erogatore, il quale s limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva (Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, COGNOME, Rv. 279036; Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Oro, Rv. 266979; Sez. 2, Sentenza n. 46064 del 19/10/2012, Rv. 254354). Cosicché, “l’ambito di applicabilità 316-ter cod. pen. si riduce a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale” Sez. U. n 16568 del 19/04/2007, COGNOME, Rv. 235962, in motivazione). E rientra nell’ordinario compito interpretativo del giudice “accertare, in concreto, se una determinata condotta
formalmente rispondente alla fattispecíe delineata dall’art.316-ter cod. pen., integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis c.p., facendo applicazione in tal caso solo di quest’ultima previsione punitiva” (Corte Costituzionale, ord. n. 95 del 2004).
5.2. Ebbene, la Corte, facendo corretta applicazione di tali principi, ha dato atto dell’attività decipiente degli imputati, che ha riguardato tutta la vicenda indennitaria: prima la rappresentazione di danni esorbitanti, poi l’assunzione dell’impegno (non mantenuto) di ripristinare la situazione quo ante; quindi il confezionamento e la presentazione di documentazione falsa comprovante lavori mai effettuati. E l’erogazione delle somme contestate in imputazione, a prescindere da quanto normativamente sufficiente per l’erogazione, è avvenuta – in concreto per effetto della presentazione di documentazione falsa, che attestava, contrariamente al vero, l’esecuzione di lavori volti al ripristino della funzionalità degli impianti e della capacità recettiva del rinnessaggio.
5.3. Né, in ultimo, rileva la diversa provenienza dell’iniziale erogazione, residuando in capo alla Regione il potere di controllo sullo sviluppo progettuale ed esecutivo dell’opera nonché sul corretto utilizzo dei fondi erogati (Sez. 2, n. 3442 del 27/11/2019, dep. 2020, Camilleri, 278566).
I ricorsi, quindi, devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 4 ottobre 2024
Il Consigliere e ensore
GLYPH Il Presidente