Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35415 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5   Num. 35415  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME NOME a SAN DONA ‘ DI PIAVE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/10/2024  della  CORTE DI APPELLO DI TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME  e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere  NOME  COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME,  che  ha  concluso  chiedendo la  declaratoria  di  inammissibilità del ricorso;
udito, per l ‘ imputato,  l ‘ AVV_NOTAIO,  che ha concluso riportandosi ai motivi  del ricorso e chiedendone  l ‘ accoglimento;
letta  la  memoria  scritta  presentata  dall ‘ AVV_NOTAIO,  il  quale, nell ‘ interesse  di NOME  COGNOME,  ha chiesto l ‘ accoglimento  del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Pordenone in data 14 dicembre 2021, NOME COGNOME fu condanNOME alla pena, condizionalmente sospesa subordinatamente al risarcimento del danno, di un anno di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con la diminuente del rito, del delitto previsto dall ‘ art. 232, comma 3, n. 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, per avere, in qualità di legale della RAGIONE_SOCIALE , dichiarata fallita dal medesimo Tribunale con sentenza n. 14 del 22 marzo 2018, mentre la società era in concordato preventivo su sua richiesta e pochi mesi prima della dichiarazione di fallimento e, quindi, essendo consapevole del suo stato di dissesto, distratto la somma di 16.578,22 euro, trattenendola per sé, posto che, dopo avere recuperato un credito di 26.037,90 euro per conto della società, che gli aveva rilasciato un mandato al recupero di crediti e al relativo incasso, aveva fatto confluire, nelle casse della società, soltanto 9.459,68 euro; fatto commesso in Pordenone il 22 marzo 2018.
 Con  sentenza  in  data  22  ottobre  2024,  la  Corte  di  appello  di  Trieste,  in parziale  riforma  della  sentenza  di  primo  grado,  ha  revocato  la  sospensione condizionale  della  pena  concessa con  la  sentenza  impugnata,  confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello per  il  tramite del Difensore  di fiducia,  AVV_NOTAIO, deducendo  tre  distinti  motivi  di  impugnazione, di  seguito  enunciati nei  limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta l ‘ infondatezza dell ‘ accusa sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, non potendo la fattispecie concreta essere sussunta in quella astratta, atteso che essendosi al cospetto della riscossione di somme in virtù di un mandato irrevocabile in rem propriam esse non sarebbero confluite nel patrimonio della società, essendovi soltanto un credito del fallimento al versamento e un debito correlativo del mandatario, sicché non vi sarebbe stata distrazione, posto che essa presupporrebbe che i beni siano già entrati nel patrimonio della società e che, dunque, l ‘ eventuale inadempimento del relativo debito darebbe luogo a una controversia che deve trovare soluzione in sede civile.
Sotto altro  profilo, il  ricorso deduce che se, in  linea  generale,  la promessa di pagamento possiede una rilevanza  unicamente  processuale,  dispensando  colui  a cui  favore è stata fatta dall ‘ onere  di  provarne i  fatti costitutivi  (c.d. relevatio ab onere probandi ), nel caso in cui essa coesista con l ‘ indicazione  del fatto costitutivo del  debito,  tale  indicazione  ha natura  di  confessione, la  quale,  avendo  valore di
prova legale,  può essere vinta  soltanto  provando,  secondo  l ‘ art. 2732  cod. civ., l ‘ errore di fatto o la violenza che ha determiNOME la dichiarazione,  gravando, su chi richiede  l ‘ annullamento,  l ‘ onere di dimostrare: 1) sia la falsità della dichiarazione confessoria (c.d. elemento oggettivo);  2) sia stato di errore in cui il  confidente si trovava nel momento in cui il fatto venne confessato (c.d. elemento soggettivo).
Nel  caso  di  specie,  la  Difesa  avrebbe  prodotto  il  documento  attestante  la cessione  del  credito  munita  di  data  certa  20  novembre  2017,  anteriore  alla dichiarazione  di  fallimento  intervenuta  in  data  22  marzo  2018,  che  legittimava l ‘ imputato  a trattenere dalle procedure di recupero dei crediti della RAGIONE_SOCIALE la somma di 35.000,00  euro, di gran lunga superiore rispetto a quella  contestata.
Al riguardo, l ‘ effettivo svolgimento di attività in favore della fallita da parte del legale sarebbe dimostrata dai seguenti documenti prodotti nel corso del giudizio: il contratto d ‘ affitto di ramo d ‘ azienda, per la cui conclusione e sviluppo sarebbe stata prestata continuativa attività d ‘ assistenza stragiudiziale; la documentazione d ‘ assistenza nella vertenza sindacale RAGIONE_SOCIALE; la documentazione d ‘ assistenza nella definizione della transazione per la posizione debitoria NOME RAGIONE_SOCIALE (del valore di 180.000,00 euro); la documentazione inerente al recuperi di una serie di crediti; la documentazione inerente all ‘ assistenza nelle procedure concordataria e prefallimentare, sia nella fase avanti il Tribunale di Roma, sia nella fase avanti il Tribunale di Pordenone.
Il Tribunale e la Corte di appello avrebbero totalmente trascurato i dati documentali sopra riportati, errando nel ritenere che la dichiarazione di data 29 agosto 2017 non integri una valida cessione di credito, atteso che, alla data odierna, la cessione di credito non sarebbe mai stata impugnata da parte della curatela fallimentare, né dichiarata nulla da parte del Giudice civile, sicché essa sarebbe valida, efficace e opponibile, tanto più perché munita di data certa. Quanto al fatto che NOME COGNOME fosse sostanzialmente una ‘ testa di legno ‘ , di tanto non vi sarebbe prova, né all ‘ imputato sarebbe contestata alcuna amministrazione di fatto; quanto al fatto che la dichiarazione sia stata spedita, in modo da darle una data certa, lo stesso giorno in cui veniva presentata la richiesta di concordato preventivo, tanto sarebbe irrilevante, perché l ‘ opponibilità verso il fallimento sarebbe stata possibile solo attribuendo all ‘ atto una data certa.
3.2. Con il  secondo motivo, il  ricorso censura l ‘ eccessività  della  pena omessa concessione delle attenuanti  generiche e mancata concessione dei doppi  benefici.
Premessa  l ‘ evidente  assenza  di  peculiari tratti  d ‘ offensività  nella  condotta delittuosa,  non vi sarebbe ragione d ‘ escludere le circostanze attenuanti  generiche e una pena minima, avuto riguardo all ‘ assenza di precedenti specifici e alla corretta condotta  processuale  (con  accettazione  del  compendio  accusatorio  del  fascicolo delle indagini  preliminari), che la giurisprudenza  riterrebbe all ‘ uopo valutabile (cita Sez. 5, n. 33690  del 14/05/2009,  Bonaffini, Rv. 244912).
3.3. Con  il  terzo motivo,  il  ricorso denuncia,  ai sensi  dell ‘ art. 606,  comma 1, lett. b ),  cod.  proc.  pen.,  la  inosservanza  o  erronea  applicazione dell ‘ art.  530, comma  2,  cod.  proc.  pen.  per  violazione  del  principio  del  ragionevole  dubbio violazione  e falsa applicazione  dell ‘ art. 533 cod. proc. pen.
In data 15  luglio  2025  è pervenuta in  Cancelleria  la requisitoria  scritta del Procuratore  generale  presso  questa  Corte,  con  la  quale è  stata  chiesta la declaratoria di inammissibilità  del ricorso.
In data 5 settembre 2025 è pervenuta in Cancelleria la memoria scritta presentata dall ‘ AVV_NOTAIO, il quale, nell ‘ interesse di NOME COGNOME, ha chiesto l ‘ accoglimento del ricorso. All ‘ uopo ha ribadito le censure svolte con il ricorso introduttivo sia in relazione all ‘ insussistenza del delitto contestato, non ricorrendo nella specie una condotta di distrazione, la quale presuppone che i beni e/o i valori che ne costituiscono oggetto siano già confluiti nel patrimonio della fallita, laddove nel caso di specie le somma riscosse in virtù di un mandato irrevocabile in rem propriam avrebbero dato luogo a un credito del fallimento e a un correlativo debito del mandatario; sia in relazione alla violazione del principio del ragionevole dubbio; sia con riferimento alla mancata applicazione del minimo edittale e alla sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ai sensi dell ‘ art. 54quater , legge n. 689 del 1981.
CONSIDERATO  IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Muovendo, secondo l ‘ ordine logico, dal primo motivo di doglianza,  con cui il ricorso deduce l ‘ insussistenza del delitto sotto il profilo sia dell ‘ elemento  oggettivo, sia di quello soggettivo, le argomentazioni difensive non possono essere condivise.
2.1. Con riferimento alla configurabilità di una condotta distrattiva nel trattenimento di una parte delle somme riscosse dall ‘ imputato, la tesi prospettata nel corso del giudizio di merito, e ulteriormente articolata in sede di ricorso, è nel senso che le somme riscosse dai creditori della fallita e incamerate da RAGIONE_SOCIALE non sarebbero mai entrate a far parte del patrimonio della società, sicché non potrebbe esservi stata una attività qualificabile come distrazione in senso tecnico.
Tale  assunto  muove,  a  sua  volta,  dalla  premessa,  che  il  Collegio peraltro condivide,  secondo  cui  in  tema  di  distrazione  senza  concorso  con  il  fallito,  la condotta  consiste  essenzialmente  nello  stornare  beni  dal  patrimonio  tutelato, impedendone  l ‘ apprensione da  parte  degli organi  fallimentari  e  presuppone, quindi, che  i  beni  siano  già  entrati  in  tale  patrimonio (Sez.  5,  n.  7891  del
26/06/1995,  COGNOME,  Rv. 202242  – 01).  E,  tuttavia,  ciò  che  nel  caso di  specie deve essere escluso è che le somme riscosse non fossero mai entrate  nella  sfera giuridico-patrimoniale  della  fallita.
Tale prospettazione, infatti, è stata fondata, nel corso dell ‘ odierno procedimento, su due argomenti, i quali, come si dirà appresso, sono però infondati. Il primo di essi, avanzato nel corso del giudizio di merito e solo vagamente evocato anche nell ‘ odierno ricorso, si fonda sull ‘ avvenuta stipula di un contratto di cessione del credito da parte della società, la cui titolarità sarebbe stata acquisita dal professionista, impedendo quell ‘ ingresso nella sfera giuridicopatrimoniale della RAGIONE_SOCIALE che, come si è detto, impedirebbe di configurare una azione distrattiva nella condotta di appropriazione da parte dell ‘ imputato. Il secondo argomento, solo genericamente avanzato in sede di merito, è ribadito con maggiore approfondimento in sede di ricorso per cassazione, si incentra, invece, sul conferimento in capo al professionista di un mandato in rem propriam , dal quale sarebbe conseguita l ‘ esistenza, in capo al fallimento, di un credito al versamento delle somme successivo alla riscossione da parte del professionista e di un correlativo debito del mandatario, sicché l ‘ eventuale inadempimento avrebbe dovuto essere contrastato con i rimedi civili, senza integrare il reato contestato.
Entrambe  le prospettazioni, come  anticipato, non possono però  essere condivise.
2.2. Quanto alla tesi del contratto di cessione del credito, le due sentenze di merito hanno evidenziato come non potesse riconoscersi validità, quale atto di cessione di credito ex art. 1260 cod. civ., al negozio stipulato da RAGIONE_SOCIALE con il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE il 29 agosto 2017, avente data certa del 22 novembre 2017 e prodotto in giudizio dall ‘ imputato, con il quale, secondo la tesi difensiva, la società lo avrebbe autorizzato, una volta incassati i crediti recuperati, a trattenere per sé la somma di 35.000,00 euro a saldo delle sue competenze riferite alle annualità 2015 e 2016. Infatti, in disparte i dubbi avanzati in sentenza in ordine alla strumentalità della produzione documentale, recante la stessa data della richiesta di concordato preventivo (ma avente l ‘ effetto di vulnerare la situazione patrimoniale della società), secondo quanto ben evidenziato dai Giudici di merito il negozio di cessione del credito doveva in ogni caso ritenersi nullo per contrasto con l ‘ art. 1261 cod. civ. Tale disposizione, invero, vieta agli avvocati di rendersi cessionari, anche per interposta persona, di «diritti sui quali è sorta contestazione» davanti all ‘ autorità giudiziaria nella cui giurisdizione esercitano la loro attività; una situazione, questa, certamente ricorrente nel caso di specie, in cui i crediti oggetto della presunta cessione dovevano considerarsi «in contestazione» in quanto relativi a procedure giudiziarie di recupero, coerentemente con la ratio della norma, diretta a impedire la speculazione sulle liti da parte dei pubblici ufficiali e degli esercenti le professioni
legali che  svolgono  la  loro  funzione  nell ‘ ambito della  giurisdizione dell ‘ ufficio giudiziario  dinanzi  al quale sia sorta la controversia (Cass. civ., Sez. 3, n. 29834 del 20/11/2018,  C. contro Z., Rv. 651663  – 01).
A fronte di tale puntuale  e argomentata ricostruzione,  il ricorso per cassazione non  ha  opposto  alcuna  tesi  contraria,  limitandosi, nella  sostanza,  a  riproporre l ‘ originario  assunto  difensivo,  che,  pertanto,  si  configura  come  aspecifico,  oltre che, per le ragioni anzidette,  manifestamente infondato.
2.3. Quanto,  invece, alla  tesi secondo cui  RAGIONE_SOCIALE avrebbe ricevuto  dalla RAGIONE_SOCIALE un  mandato in  rem  propriam ,  va  ricordato  che  anche  tale  atto negoziale deve  presentare,  secondo  i  principi generali,  determinati caratteri indefettibili,  in assenza dei quali  esso non può dispiegare  alcuna reale efficacia.
E,  dunque,  accanto  alla  necessità,  presidiata  dalla  sanzione  di  nullità,  di  un termine  ultimo  di  durata  del  mandato  (Sez.  2,  n.  30246  del  20/11/2019,  Rv. 656297  – 04)  è anche  indispensabile,  secondo  i principi  generali  dettati  dall ‘ art. 1418 cod. civ., che il contratto individui  causa e oggetto dell ‘ accordo.
Nel caso di specie, come osservato dalla sentenza di appello, il documento, per la sua genericità, non consentiva di individuare i rapporti creditori oggetto dell ‘ ipotetica cessione, con conseguente nullità del contratto ai sensi dell ‘ art. 1346 cod. civ., non essendo il suo oggetto determiNOME, né determinabile. E anche in questo caso, invero, il ricorso ha omesso di confrontarsi con tale persuasivo passaggio della motivazione, limitandosi a riaffermare la tesi difensiva, ma senza spiegare per quale motivo un atto che presentava le menzionate caratteristiche potesse essere qualificato nei termini indicati dall ‘ odierno ricorso, non potendo certo riconoscersi rilevanza alla indicazione, ex post , dei rapporti di credito asseritamente vantati dal professionista nei confronti della società, indicati nel l’impugnazione e nella memoria difensiva e, tuttavia, mai menzionati nel documento in parola.
Sotto  altro  profilo,  va  ribadito  che  essendo  il  mandato in  rem  propriam finalizzato  a  realizzare,  secondo  la  stessa  prospettazione  difensiva,  un  risultato non  consentito,  ovvero una  cessione  del  credito  a  un  soggetto  che  svolgeva  la professione  forense  e  rispetto  al  quale sussisteva  un  divieto di  legge,  l ‘ atto negoziale doveva, comunque, considerarsi invalido  per illiceità  dell ‘ oggetto sempre ai sensi del citato art. 1346 cod. civ.
Quanto,  poi, al fatto che l ‘ atto negoziale  non sia stato oggetto di contenzioso civile, la  circostanza  appare  irrilevante,  ben  potendo la  nullità della  relativa pattuizione  essere delibata  incidentalmente  dal giudice  penale, senza la necessità di alcun accertamento in sede civile.
2.4. Per quanto,  poi, attiene  al profilo soggettivo  del delitto  in contestazione, le sentenze  hanno ben sottolineato come  l ‘ imputato fosse  pienamente a conoscenza, per aver presentato la proposta di concordato preventivo, dello  stato
di insolvenza  in cui la società si trovava al momento della percezione degli  importi e  di  come,  pertanto,  egli  fosse consapevole  che  il  mancato  conferimento  nelle casse sociali  delle  somme  riscosse  si  traducesse  in  un vulnus per la  situazione patrimoniale  della  società e per la garanzia  da essa rappresentata per i diritti  dei creditori.
Le considerazioni che precedono impongono di ritenere infondate le censure svolte con il terzo motivo di doglianza, con cui la Difesa lamenta la violazione del ‘ principio dell ‘ aldilà di ogni ragionevole dubbio», per altro in maniera del tutto generica, senza confrontarsi con le argomentazioni che la sentenza ha sviluppato, in particolare, alle pagine 7, 8 e 9, logicamente idonee a sostenere, in termini di certezza processuale, l ‘ affermazione della penale responsabilità dell ‘ imputato.
Quanto, infine, al terzo motivo, con cui il ricorso contesta la motivazione del provvedimento in punto di trattamento sanzioNOMErio, deve ritenersi che essa abbia compiutamente dato conto, in maniera congrua e logica, del percorso valutativo compiuto, che costituendo espressione di un giudizio di merito deve ritenersi insindacabile in sede di legittimità. Infine, la richiesta di conversione della pena non può certamente essere proposta nella presente sede, trattandosi di questione che involge un sostanziale apprezzamento di merito non consentito al Giudice di legittimità.
Alla luce delle considerazioni  che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 11 settembre 2025
Il  Consigliere  estensore NOME COGNOME
Il  Presidente NOME COGNOME