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Bancarotta fraudolenta extraneus: la responsabilità

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico dell’amministratore di una società e di un complice esterno (extraneus). La Corte ha ritenuto provato che, attraverso un fittizio contratto di consulenza, i due avessero orchestrato la distrazione di ingenti risorse (denaro, quadri e codici sorgente di un software) dal patrimonio della società, poi fallita. La sentenza chiarisce che per la responsabilità del concorrente esterno è sufficiente la consapevolezza di contribuire a un’operazione che depaupera la società, creando un pericolo per i creditori, senza che sia necessario uno specifico intento di causare il fallimento.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta Extraneus: la Cassazione sulla Complicità Esterna

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso complesso di bancarotta fraudolenta extraneus, ribadendo i principi che governano la responsabilità penale del concorrente esterno nel depauperamento di una società poi fallita. La decisione conferma che anche chi non ricopre ruoli formali in un’azienda può essere condannato se partecipa consapevolmente ad atti distrattivi, evidenziando come la sostanza dell’operazione prevalga sulla forma del contratto utilizzato come paravento.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal fallimento di una società operante nel settore software. Poco prima del dissesto, l’amministratore unico della società aveva stipulato un oneroso contratto di consulenza, del valore di 150.000 euro, con un’altra azienda amministrata da un soggetto terzo. A fronte di questo contratto, la società in difficoltà aveva versato una somma di denaro e ceduto, a titolo di saldo (tecnicamente una datio in solutum), beni di rilevante valore: i codici sorgente del suo software principale, i relativi marchi e una collezione di 63 quadri.

Secondo l’accusa, confermata nei gradi di merito, il contratto di consulenza era fittizio e privo di qualsiasi utilità economica per la società. L’operazione era stata architettata al solo scopo di sottrarre gli ultimi asset di valore dal patrimonio aziendale, a danno dei creditori. A rendere il quadro ancora più sospetto, i codici sorgente, dopo essere stati ceduti alla società del consulente esterno, erano stati a loro volta trasferiti a una terza società, sempre riconducibile all’amministratore della società fallita, in un’operazione definita dai giudici come una ‘triangolazione’. Sia l’amministratore (intraneus) sia il consulente esterno (extraneus) venivano quindi condannati per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita dei ricorsi degli imputati, la Suprema Corte ha rigettato tutte le doglianze, confermando integralmente il verdetto di condanna della Corte d’Appello. La Cassazione ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata logica e coerente con i principi giuridici consolidati in materia, smontando punto per punto le argomentazioni difensive.

Analisi sulla bancarotta fraudolenta extraneus

Il fulcro del ragionamento della Corte riguarda la posizione del concorrente esterno. Per configurare il concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta, non è richiesta la prova di un dolo specifico, ovvero l’intenzione di provocare il fallimento. È invece sufficiente il cosiddetto dolo generico: l’extraneus deve avere la consapevolezza di contribuire a un’operazione che impoverisce il patrimonio sociale, con la prevedibilità che tale azione possa arrecare un danno agli interessi dei creditori. La Corte ha sottolineato come l’anomalia dell’intera operazione (un contratto squilibrato, la cessione di asset strategici per servizi mai resi in modo concreto, la successiva triangolazione dei beni) fosse un chiaro indice della consapevolezza e del coinvolgimento di entrambi gli imputati nel piano distrattivo.

L’Irrilevanza della Crisi Pregressa

Gli imputati avevano sostenuto che la società versasse già in uno stato di crisi irreversibile prima del loro intervento, tentando così di negare il nesso causale tra le loro azioni e il danno ai creditori. La Cassazione ha respinto questa tesi, ricordando che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto. Ciò significa che il reato si perfeziona con la stessa condotta di depauperamento, in quanto essa mette a rischio l’integrità della garanzia patrimoniale per i creditori. Lo stato di salute precedente della società è irrilevante: l’atto distrattivo è illecito di per sé perché sottrae risorse che altrimenti sarebbero state destinate a soddisfare, almeno in parte, i creditori nel contesto di una procedura concorsuale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi. In primo luogo, ha evidenziato come la valutazione sulla liceità di un’operazione aziendale ai fini penali vada condotta in concreto, verificando se essa sia destinata a realizzare le finalità dell’impresa o, al contrario, a spogliarla dei suoi beni. Un contratto di consulenza, sebbene formalmente lecito, diventa illecito se privo di controprestazione effettiva e funzionale unicamente a drenare risorse.

In secondo luogo, la Cassazione ha respinto i tentativi dei ricorrenti di offrire una ricostruzione alternativa dei fatti, richiamando il principio della ‘doppia conforme’. Quando i giudici di primo e secondo grado hanno raggiunto le medesime conclusioni sulla base delle prove, la Corte di legittimità non può procedere a una nuova valutazione del merito, ma solo a verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento.

Infine, è stato chiarito che la condotta dell’extraneus non deriva ‘a cascata’ da quella dell’amministratore, ma si fonda su un suo autonomo contributo consapevole. L’accordo tra i due, provato attraverso gli indici di fraudolenza dell’operazione, ha dimostrato un concorso materiale e morale dell’esterno alla spoliazione della società.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto penale fallimentare: la responsabilità per bancarotta non si ferma ai soli amministratori. Qualsiasi soggetto, inclusi consulenti, partner commerciali o altre società, che partecipi con consapevolezza ad operazioni finalizzate a svuotare un’impresa in difficoltà, risponde a titolo di concorso nel reato. La decisione serve da monito: la forma giuridica di un contratto non può mascherare una sostanza illecita, e la giustizia è tenuta a guardare oltre le apparenze per proteggere gli interessi dei creditori e la salute del mercato.

Quando un soggetto esterno all’azienda può essere condannato per bancarotta fraudolenta?
Un soggetto esterno (extraneus) può essere condannato per concorso in bancarotta fraudolenta quando partecipa materialmente e moralmente alla condotta distrattiva dell’amministratore (intraneus), con la consapevolezza che l’operazione sta depauperando il patrimonio sociale e la prevedibilità del danno per i creditori. Non è richiesta la specifica intenzione di causare il fallimento.

Un contratto formalmente lecito può essere alla base di una condanna per bancarotta fraudolenta?
Sì. La sentenza chiarisce che l’illiceità penale della condotta non dipende dalla natura dell’atto negoziale in sé, ma dalla sua finalità concreta. Un contratto di consulenza, pur essendo un atto lecito, integra una condotta distrattiva se risulta privo di utilità economica per la società e viene utilizzato come pretesto per sottrarre beni dal patrimonio aziendale a danno dei creditori.

Lo stato di crisi preesistente di un’azienda esclude la responsabilità per successivi atti di distrazione?
No. La bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto. La responsabilità sorge dalla condotta che diminuisce il patrimonio, mettendo in pericolo le ragioni dei creditori. Pertanto, lo stato di crisi antecedente alla condotta distrattiva è irrilevante, poiché l’atto illecito consiste proprio nel sottrarre beni che sarebbero altrimenti dovuti confluire nella massa fallimentare per il soddisfacimento dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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