Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13862 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13862 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BASSANO DEL GRAPPA il 30/07/1966 COGNOME nato in SVIZZERA il 22/08/1962
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e dichiararsi inammissibili i ricorsi nel resto;
letti i motivi aggiunti depositati dall’avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME nonché le memorie in replica di quest’ultimo difensore per il proprio assistito. COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Venezia con la sentenza del 4 aprile 2024 ha riformato quella del Tribunale di Verona, dichiarando l’estinzione per prescrizione del reato di bancarotta documentale per COGNOME con riduzione correlata delle pene, mentre confermava nel reato la sentenza di primo grado.
Il Tribunale veronese aveva ritenuto la responsabilità penale, per quel che qui rileva, di COGNOME e COGNOME quanto al delitto di bancarotta patrimoniale fraudolenta di tipo societario (artt. 110 c.p. e 216, 219 co 2 n 1, 223 RD n. 267/1942), in riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data settembre 2014.
A COGNOME – quale amministratore unico e socio unico della RAGIONE_SOCIALE dal 12 settembre 2012 al 5 giugno 2013, e poi amministratore di fatto fino al fallimento – e a Borsato – quale concorrente nel reato in quanto era legale rappresentante e socio unico della RAGIONE_SOCIALE – veniva attribuita la responsabilità per la distrazione dal patrimonio della fallita della somma di 20.570 euro, nonché della proprietà dei codici sorgenti del software denominato “RAGIONE_SOCIALE” e dei relativi marchi, oltre che di una collezione di 63 quadri, rispettivamente versati e consegnati a titolo di saldo in relazione ad un contratto del valore di 150.000 euro per prestazioni di consulenza mai rese da parte della RAGIONE_SOCIALE
A COGNOME veniva, inoltre, attribuita la penale responsabile per ulteriori condotte distrattive aventi ad oggetto le somme di euro 9.300,00 quale compenso senza certificazione e senza deliberazione dell’organo amministrativo, nonché di 23.476,82 euro quale provento del canone di locazione di immobili della Gei RAGIONE_SOCIALE locati alla Air Dolomiti S.p.a.
I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME con atti separati, sono articolati in più motivi, enunciati a seguire nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è composto da due motivi di ricorso, a sua volta articolati in plurime doglianze, ai quali s aggiungono tre motivi aggiunti, correlati i primi due al primo motivo del ricorso principale e il terzo al secondo. Il ricorrente premette che la propria responsabilità è stata ritenuta nella qualità di concorrente esterno del delitto e non di amministratore di fatto, come pure contestato in via alternativa.
3.1 Quanto al primo motivo, lamenta il ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto contestato.
La sentenza impugnata risulterebbe errare nel ritenere comprovata la distrazione, in quanto difetterebbero prove, sussistendo al più congetture, sospetti o indizi, non caratterizzati dalla gravità, precisione e concordanza.
3.1.1 II ricorrente rappresenta che sia assunto ma non provato che il contratto di consulenza sia illecito, privo di utilità economica, rappresentando invece come non sia decisiva, per l’illiceità dello stesso, l’assenza di data certa della stipula, come anche risultando il pagamento da parte della fallita a mezzo cessione di beni conseguente all’inadempimento della stessa e alla carenza di liquidità. Non troverebbe quindi logica giustificazione la affermata ‘finalità predatoria’ del contratto, in quanto la data incerta caratterizzava anche il contratto fra la fallita e la RAGIONE_SOCIALE senza che se ne sia dedotto, neanche da parte della curatela, l’inefficacia.
Rappresenta il ricorrente come alcuna azione atta a far dichiarare l’illiceità del contratto sia stata istaurata dagli organi fallimentari e come solo il giudice civile, e non quello penale, possa valutare e dichiarare l’inefficacia del contratto.
3.1.2 Difetterebbe poi il pericolo concreto, necessario ad integrare il delitto distrattivo, in quanto i codici sorgenti del software e i relativi marchi erano nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE e non della RAGIONE_SOCIALE, circostanza travisata dalla sentenza impugnata ed emergente dalla relazione ex art. 33 I. fall. Inoltre, la distrazione implica l’effettività del distacco, nel caso in esame no avvenuto in favore di RAGIONE_SOCIALE, bensì di RAGIONE_SOCIALE come da contratto.
3.1.3 Altra doglianza riguarda la circostanza che COGNOME verrebbe ritenuto colpevole in ragione di una responsabilità ‘a cascata’ rispetto a COGNOME in assenza di prova di un contributo causale specifico.
3.1.4 Errata sarebbe la valutazione della inutilità economica del contratto effettuata dalla sentenza impugnata, in quanto non è stata dichiarata la nullità del contratto, al più potendosi riscontrare la cattiva gestione da parte di COGNOME.
Anche non provata risulterebbe la circostanza che COGNOME non abbia svolto alcuna attività per la fallita in quanto i clienti si rivolgevano a Sanmarco, come pure è stata omessa la dichiarazione di COGNOME al curatore che illustrava i rapporti e l’incarico affidato a Borsato e come erano stati avviati rapporti commerciali con la RAGIONE_SOCIALE a riprova delle prestazioni di Borsato.
Il recupero di 17.000 euro, compenso a COGNOME, non è mai stato effettuato da parte della curatela, a riprova della effettività della prestazione svolta.
3.1.5 Inoltre la Corte di appello non ha valutato la condotta di COGNOME che ha restituito i quadri ricevuti a titolo di compenso, attendendo l’arrivo della Guardia di Finanza, preannunciatogli dal curatore, a riprova dell’assenza di qualsivoglia fraudolenza. Inoltre, intento di COGNOME era quello di ristrutturare la società, ricevuta da COGNOME e dalla moglie in stato di grande insolvenza, e il ricorrente riporta le testimonianze di COGNOME e COGNOME dalle quali dovrebbe trarsi la prova della volontà effettività di recupero crediti e di prosecuzione della società da parte di COGNOME
3.1.6 Anche la posteriorità della data del contratto fra la fallita e Daigo rispetto alla data del pagamento a Borsato, superando il dato che si tratti di un refuso, comunque integrerebbe un solo indizio inadeguato isolatamente a integrare la prova. Per le ragioni fin qui esposte la motivazione non darebbe conto in modo congruo della sussistenza del profilo oggettivo del reato.
3.1.7 La sentenza risulterebbe viziata anche in ordine al coefficiente soggettivo richiesto, in quanto non risulta provato che quale extraneus COGNOME abbia agito consapevole della condotta distrattiva dell’intraneus e con la volontà di contribuirvi.
3.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, della attenuante ex art. 219, comma 3, I. fall., ovvero di quella comune del risarcimento del danno ex art. 62, n. 6, cod. pen.
In particolare, errata sarebbe il diniego dell’art. 219, comma 3, I. fall. correlata al valore dei codici sorgente di 800mila euro, perché questo è il valore dei canoni di manutenzione dei software – come riferito dal curatore, che comunque stimava per la risoluzione del contratto con COGNOME che la curatela dovesse ricevere circa 200mila euro – non del valore dei codici in sé, comunque mai trasferiti a Borsato; inoltre, va tenuto in conto che Borsato risponde solo della condotta connessa al contratto di consulenza, il cui valore era di 150mila euro e che furono versati poco più di ventimila euro in contanti oltre alla proprietà dei sorgente dei software. Per altro, l’attenuante speciale va correlata alla misura della distrazione e all’incidenza sul riparto, nel caso in esame, tenuto in conto il valore del compenso ricevuto di poco più di 20mila euro, e anche volendo valutare quello dei quadri, ammonta a una percentuale di riduzione della massa attiva fra 0,51% e 0,58%. Anche errata risulterebbe la negazione delle circostanze attenuanti generiche in ragione dell’assenza di iniziative restitutorie o di resipiscenza a fronte della gravità del reato, affermata in maniera aspecifica e senza tener conto della condotta di restituzione dei quadri operata dal Borsato, anche ai fini dell’attenuante comune del risarcimento del danno.
lì
3.3. Con i motivi aggiunti vengono reiterate le censure pregresse, in particolare sottolineando, con il primo motivo, per un verso come tutte le condotte che hanno portato alla insolvenza della fallita non siano state determinate da COGNOME, bensì dalla precedente amministrazione da parte di COGNOME, rappresentando come il nesso causale fra l’atto distrattivo e il depauperamento sociale non sussista, come anche che la manifesta illogicità del ragionamento impugnato si palesi anche in relazione alla doppia presunzione sulla quale si fonda.
Quanto al secondo motivo, correlato sempre al primo motivo del ricorso principale, ribadita la antecedenza dello stato di insolvenza alla amministrazione COGNOME, viene evidenziata l’assenza di pericolo concreto determinata dalla condotta del ricorrente, come della verifica degli indici di fraudolenza. Si conferma che lo stesso contratto tra la fallita e la società di Borsato non è mai stato risolto e che comunque difetterebbe l’effettività del distacco. Il terzo motivo aggiunto si ricollega al motivo principale sul trattamento sanzionatorio, ribadendone le ragioni.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è composto da due motivi, a sua volta articolati in plurime doglianze, ai quali si aggiungono tre motivi aggiunti correlati i primi due al primo motivo del ricorso principale e il terzo al secondo. Il ricorrente premette che la propria responsabilità è stata ritenuta in ordine a tre condotte distrattive, l’una comune a quella contestata a COGNOME, le altre due consistenti nel prelievo a titolo di compenso di 9300 euro, senza delibera autorizzativa, nonché nella distrazione dei canoni di locazione di immobili della fallita.
4.1 n primo motivo è sovrapponibile a quanto dedotto dal ricorrente COGNOME nei sottoparagrafi dal n. 3.1.1 al n. 3.1.7, con riferimento alla posizione di COGNOME
Il motivo, poi, si differenzia, ovviamente, in relazione alle condotte per le quali solo COGNOME è stato ritenuto responsabile.
Quanto alla distrazione della somma di euro 9.300,00 lamenta il ricorrente che non vi sia stata una verifica della congruità del prelievo, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, il che condurrebbe alla diversa qualificazione della condotta in bancarotta preferenziale, tenuto in conto che COGNOME confessava il prelievo al curatore di sette-ottomila euro per rimborso spese e viaggi, oltre a mille euro al mese per cinque mesi per l’attività prestata, compenso proporzionato alla stessa.
Quanto alla distrazione della somma di euro 23.476,82, il ricorrente contesta la qualità di amministratore di fatto, lamentando come la deduzione di tale
qualità dalla assenza di esperienza dell’amministratore di diritto, verrebbe anche a contraddire quanto emerge dalla dichiarazione di COGNOME, inserita nel testo del ricorso, che attesta anche l’incapacità di COGNOME di amministrare la RAGIONE_SOCIALE, come anche l’intenzione del COGNOME, amministratore di diritto, di svolgere effettivamente l’attività con una finalità lucrativa. Inoltre, il motivo richiama dichiarazioni di COGNOME in ordine alla destinazione aziendale dei canoni di locazione.
Il motivo ribadisce che l’intento di COGNOME era ristrutturare l’azienda, lamentando il difetto di motivazione per relationem a fronte dei motivi di appello.
4.2 II secondo motivo ripercorre le censure mosse da COGNOME con l’analogo motivo in tema di trattamento sanzionatorio, estendendo le considerazioni anche alle condotte ulteriori attribuite a COGNOME
4.3 Con i motivi aggiunti vengono reiterate le censure pregresse, in particolare sottolineando, con il primo motivo, la necessità di verificare la congruità dei prelievi effettuati dal COGNOME a titolo di rimborso spese e compensi, così da riqualificare la condotta in bancarotta preferenziale, ripercorrendo le doglianze già proposte dal primo motivo aggiunto di COGNOME, ravvisando nel comportamento ostruzionistico di COGNOME la causa impeditiva della ristrutturazione aziendale posta in essere da COGNOME che legittimamente provvide al pagamento della società di consulenza di Borsato.
Quanto al secondo motivo, correlato sempre al primo motivo del ricorso principale, viene ribadita la antecedenza dello stato di insolvenza da attribuirsi a Pasquetto rispetto alla amministrazione COGNOME, viene evidenziata l’assenza di pericolo concreto determinata dalla condotta del ricorrente, come anche l’omesso ricorso, per verificarlo, agli indici di fraudolenza.
Il terzo motivo aggiunto si ricollega al motivo principale sul trattamento sanzionatorio, ribadendone le ragioni.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte con le quali ha chiesto annullarsi la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio e dichiararsi inammissibile i ricorsi nel resto.
La difesa di COGNOME ha depositato note in replica alle conclusioni della Procura generale chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati, per quanto sarà evidenziato a seguire.
Il primo motivo del ricorso COGNOME e quello analogo del ricorso COGNOME come anche i correlati motivi aggiunti proposti nell’interesse di entrambi i ricorrenti, nella parte riguardante per COGNOME la distrazione dei beni – danaro, quadri, codici sorgente e marchi – in favore di RAGIONE_SOCIALE, sono sostanzialmente sovrapponibili e richiedono una trattazione congiunta.
2.1 Va in primo luogo evidenziato come i motivi in esame – sia principali che aggiunti – prospettano una ricostruzione alternativa, facendo riferimento alle deposizioni di COGNOME del coimputato COGNOME, come anche il ricorso COGNOME alle dichiarazioni di COGNOME quanto alla ulteriore condotta distrattiva, riportando il ricorso stralci delle deposizioni, e allegando, come emerge in calce ai medesimi ricorsi, solo parte delle trascrizioni delle deposizioni dei dichiaranti.
E dunque, in primo luogo non è consentito il motivo di ricorso che si fondi su tali richiami parziali, prospettando in forza degli stessi una ricostruzione alternativa, in quanto lamentando l’omessa valutazione di parte delle deposizioni, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (ex multis Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, COGNOME, rv 241023; ). Infatti, il ricorso per cassazione, per difetto d motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, fine di verificare la corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione (Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 27/04/2017, COGNOME Rv. 269801 – 01; conf.: N. 32362 del 2010 Rv. 248141 – 01).
Tale principio deve anche applicarsi in relazione al contenuto del contratto di consulenza, che a più riprese viene evocato da parte dei ricorrenti, anche in questo caso riproducendone stralci, senza che però ne sia dedotto formalmente il travisamento. Rendendo per altro la doglianza aspecifica in quanto priva della allegazione che dovrebbe consentire a questa Corte di rilevare eventuali difformità fra il significato e il significante tratto dai Collegi di merito.
Va a tal proposito evidenziato come il ricorso per cassazione è inammissibile per aspecificità se fondato su motivi generici ed indeterminati, che ripropongono
le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849), al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motiv appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
2.2 Tanto premesso, deve evidenziarsi anche come tutte le doglianze rivolte a rivendicare la liceità del contratto e l’utilità dello stesso, come anche l’assenza di azione revocatoria da parte degli organi del fallimento, risultano non confrontarsi con la pacifica giurisprudenza di questa Corte di cassazione, per la quale il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali (Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283893 – 01; Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 241830). Difatti, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così d impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori. (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, non si dubita che un contratto di consulenza abbia leciti oggetto e causa, ma ciò non esclude l’illiceità penale della condotta: in tema di bancarotta fraudolenta la cessione di beni patrimoniali è attività legittima quando sia destinata alla realizzazione delle finalità dell’impresa. Valutazione che deve essere accertata in concreto, tenendo presente che il criterio discretivo sulla legittimità della manovra va riferito all’interesse dell’impresa alla destinazione della porzione di ricchezza in vista, comunque, dell’integrità del suo patrimonio (garanzia dei creditori, ex art.2740 cod. civ.) nel suo complesso. Pertanto, non è distrattiva la cessione realizzante una finalità aziendale se vengono conservati, con l’acquisizione della controprestazione offerta dal cessionario, l’ammontare quantitativo del patrimonio sociale e, dunque la garanzia per il ceto creditorio (cfr. in motivazione, sul punto, Sez. 5, n. 10778 del 10/01/2012 – dep. 19/03/2012, COGNOME, Rv. 252008).
2.3 Tanto premesso, la sentenza impugnata offre una motivazione non manifestamente illogica e fa buon governo dei principi ora richiamati.
La Corte di appello valuta e disattende le doglianze relative alla volontà di ristrutturare la società da parte di COGNOME, tanto da ritenere generiche le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME a riguardo (fol. 9). Le censure mosse in modo aspecifico alla valutazione di tali dichiarazioni, per le ragioni già esposte in ordine alla omessa allegazione dei verbali nella loro interezza, ‘attaccano’ in modo non consentito una valutazione di merito, sollecitando una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove, evidenziando inammissibili ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965).
I motivi in esame, per altro, non si confrontano con la circostanza che viene evidenziata dalla sentenza: NOME subentrava a Pasquetto, acquistando il 100% della società, ma senza versare il correttivo alla precedente proprietà. Tale anomala modalità di subentro veniva collegata dalla sentenza impugnata alla circostanza che COGNOME non avesse intenzione di ristrutturare, bensì di ‘svuotare la società’, il che risultava anche da quanto affermato dal curatore: alcuna iniziativa concreta nella direzione della continuità aziendale era stata intrapresa da COGNOME, tanto che anche i dipendenti nel dicembre 2012, poco dopo l’insediamento di COGNOME del 13 settembre 2012, si dimisero per giusta causa in seguito all’inerzia societaria. In sostanza, anche la censura mossa alla circostanza che COGNOME avrebbe avuto intenzione di risanare la situazione risulta aspecifica, in quanto non si confronta con una parte della argomentazione della Corte territoriale, quella relativa alle anomale modalità di subentro a Pasquetto da parte di NOME.
Ad ogni buon conto, la Corte territoriale evidenzia come in questo contesto di crisi complessiva e di inerzia della società fallenda che si collochi il contratto d consulenza e procacciamento di affari, stipulato da RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE con la società di RAGIONE_SOCIALE, per 150mila euro da pagare entro 90 giorni. Si trattava di un contratto che risultava in sé – secondo la Corte di appello, che argomenta senza manifeste illogicità – deficitario di qualsiasi utilità economica ed anzi dannoso per la società e pericoloso per il ceto creditorio, in quanto il compenso era previsto senza alcuna correlazione con l’attività effettivamente svolta dalla società di consulenza. In tal senso non manifestamente illogica è l’affermazione che si sia trattata di una operazione a finalità evidentemente ‘predatoria’.
N’,
La ricostruzione della Corte territoriale GLYPH proseguiva, confermando la sentenza di primo grado, rilevando come da parte di COGNOME non vi fu alcuna opposizione alla richiesta di pagamento da parte di Daigo, pur in difetto di qualsiasi controprestazione di quest’ultima, cosicché la RAGIONE_SOCIALE provvide prima il 15 aprile 2013 a pagare 17mila euro oltre Iva (euro 20.550,00) e immediatamente dopo ad adempiere, a seguito della emissione di fattura del 19 aprile 2013, in favore di Daigo a saldo per il valore di 133.000 euro,oltre Iva (euro 160.930), con sollecito di pagamento il 22 aprile 2013.
NOME ebbe, infatti, ad adempiere all’obbligazione assunta con la datio in solutum della cessione della proprietà dei codici sorgente, dei quadri e dei marchi, in sostanza tutto il patrimonio attivo residuo della società.
A fronte di tale ricostruzione la contestazione rivolta dai motivi di ricorso si concentra sulla illogicità della motivazione quanto alla incertezza della data del contratto di consulenza. La doglianza, però, non è decisiva e comunque è aspecifica, in quanto la Corte di appello non fonda il proprio ragionamento su tale argomento.
Inoltre le doglianze relative alla circostanza che i codici sorgente non fossero oggetto della datio in solutum in quanto gli stessi erano stati ceduti alla società RAGIONE_SOCIALE, non si confrontano con l’accertamento operato in doppia conforme dalle sentenze di merito: i codici sorgente non erano stati ceduti in proprietà alla RAGIONE_SOCIALE, che aveva solo la disponibilità degli stessi per garantire alla clientela la manutenzione dei software, cosicché erano stati ceduti da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE.
Tale conclusione viene per altro supportata dalla circostanza che la società cessionaria RAGIONE_SOCIALE cede a sua volta ad una terza società, la RAGIONE_SOCIALE, facente capo sempre a COGNOME, i menzionati codici sorgente, così legittimando quest’ultima a interfacciarsi con la RAGIONE_SOCIALE e a subentrare nel contratto di quest’ultima con fra RAGIONE_SOCIALE, richiedendo RAGIONE_SOCIALE i canoni di manutenzione prima spettanti a RAGIONE_SOCIALE.
Con tale argomento i ricorsi non si confrontano in modo specifico. Invece si tratta di elemento ricostruttivo – già valutato anche dalla sentenza di primo grado, quindi oggetto di cd. doppia conforme – che per un verso sostiene logicamente la conclusione della Corte territoriale che la datio in solutum avesse ad oggetto anche i codici sorgente, e per altro verso, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, dimostra il disegno distrattivo, teso a spogliare la società fallenda e a consentire a COGNOME, grazie al concorso di COGNOME, di rientrare in possesso tramite Famax dei codici sorgente, così subentrando nella posizione creditoria nei confronti di COGNOME.
Tale decisiva argomentazione non è stata ‘attaccata’ dai ricorrenti, cosicchè non risulta manifestamente illogica la conclusione della Corte di appello che ha ritenuto che la cessione dei codici sorgente sia avvenuta in favore di Daigo e non di Sanmarco.
D’altro canto, le doglianze che sostengono tale ultimo argomento, denunciando travisamento, non si confrontano con il principio per cui nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 26921701). Il che nel caso in esame non è avvenuto.
2.4 Quanto alle doglianze che prospettano l’inazione della curatela fallimentare per il recupero di quanto pagato a Daigo, come anche per ottenere la dichiarazione di inefficacia del contratto di consulenza, in vero si tratta d argomenti non decisivi, in quanto non si può far dipendere dalla condotta degli organi fallimentari l’esistenza o meno della distrazione, tanto più che l’utilità economica nell’interesse della società, per i principi già espressi, può essere mancante pur a fronte di atti negoziali in sé a causa e oggetto lecito.
Quanto alla effettività della prestazione adempiuta da Daigo, che avrebbe giustificato la necessità del pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE, si tratta di argomento inedito, in quanto non prospettato con gli atti di appello pur a fronte della sentenza di primo grado che chiariva come il pagamento fosse «privo di causale effettiva, perché non legato a nessuna concreta prestazione di consulenza». In sostanza già il Tribunale di Verona rilevava come il pagamento fosse stato previsto in contratto senza connessione con una prestazione da parte della società di consulenza, quindi con evidente sbilanciamento delle condizioni contrattuali in favore di RAGIONE_SOCIALE e in danno di RAGIONE_SOCIALE
Con l’atto di appello non è stata proposta l’attuale doglianza, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto. In sostanza, la circostanza che comunque vi fu una prestazione effettiva di Daigo, che avrebbe giustificato il pagamento, è argomento che viene speso solo ora con i ricorsi. La natura inedita della doglianza consegue a quanto prescritto a pena di inammissibilità dall’art.
606 comma 3 cod. proc. pen. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al risch concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , COGNOME, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò spiega la ragione per la quale la sentenza impugnata non si confronta con l’eventuale sussistenza di una attività di RAGIONE_SOCIALE tesa a promuovere i rapporti commerciali fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE D’altro canto, la doglianza non è in grado di disarticolare la motivazione impugnata, in quanto anche tale attività svolta in concreto, narrata solo da COGNOME, se rispondente al vero, non consentirebbe di superare il dato delle condizioni del tutto sfavorevoli alla fallita previste nel contratto di consulenza, del tutto distaccate dal risultato della controprestazione di COGNOME.
2.5 Infondate e non decisive sono le doglianze relative alla situazione di decozione già maturata sotto la gestione Pasquetto.
Va ricordato che il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio
sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437 01). Difatti, l’oggetto della tutela è identificabile nell’interesse dei credit all’integrità dei mezzi di garanzia e l’art. 216 legge fall. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non è elemento costitutivo della fattispecie tipizzata – bensì anche il pericolo conseguente alla mera possibilità che questo si verifichi (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, COGNOME, Rv. 252307; Sez. 5, n. 3229/13 del 14 dicembre 2012, COGNOME e altri, Rv. 253932; Sez. 5, n. 21846 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 260407; Sez. 5, n. 35093 del 4 giugno 2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446). Pertanto, sul versante dell’elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilità della bancarotta patrimoniale è quello generico, integrato dalla volontà di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilità del pericolo, che tale operazione può determinare per gli interessi dei creditori. In altri termini, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o che la finalità di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, COGNOME ed altri, Rv. 234232).
Ne consegue l’irrilevanza della circostanza che la situazione della società fosse già critica al passaggio di consegne, in quanto l’atto distrattivo contestato in sé è quello compiuto da COGNOME e non da COGNOME, non rilevando in alcun modo lo stato antecedente, essendo la condotta integrata esclusivamente dalla messa in pericolo delle ragioni creditorie con la condotta distrattiva contestata. Anche manifestamente infondati sono i riferimenti dei motivi in esame, principali e aggiunti, quanto alla verifica dell’incidenza delle condotte contestate in ordine al nesso causale, che evidentemente non rileva nel caso di delitto di pericolo concreto (e non di evento).
in merito agli ‘indici di fraudolenza’, ai quali si sarebbe sottratta la Corte d appello secondo i ricorrenti, invero le doglianze non si confrontano con la sostanza delle argomentazioni delle sentenze di merito, che valutano pienamente i sintomi della frode indicati da questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 27076301).
Infatti, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici d fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della
condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tr attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, profili valutati in ordine alla situazione di crisi della società al momento dell’ingresso di COGNOME il che avrebbe richiesto una azione da parte dell’amministratore, per risollevarne le sorti, del tutto mancante, e non certamente la stipula di un contratto di consulenza – a condizioni del tutto sfavorevoli per la fallita l’esecuzione dello stesso, con la conseguente cessione dei codici sorgente costituenti il fattore produttivo della società e il «valore residuo» con danno per gli interessi dei creditori. Anche l’altro parametro della fraudolenza, relativo alle cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, è oggetto di motivazione, essendo emerso, come già evidenziato che i codici sorgente sarebbero, attraverso la descritta triangolazione, pervenuti ad altra società facente capo a COGNOME.
Pertanto, la sentenza impugnata opera una corretta prognosi postuma sulla concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. Né fondata è la doglianza, mossa con i motivi aggiunti, che COGNOME era tenuto al pagamento in forza dell’esecuzione del contratto, in quanto le condizioni di quel negozio risultavano pattuite dallo stesso COGNOME con frustrazione degli interessi della società e, quindi, della garanzia per il ceto creditorio.
Infine, anche non fondata è la doglianza prospettata dalle note di replica nell’interesse di Borsato, che richiamano la necessità della verifica della ‘qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue’ (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059 – 01). L’onere è adempiuto da parte della Corte di appello senza alcuna manifesta illogicità, sia perché si tratta di un importo corrispondente complessivamente a 150mila euro, dunque incidente sulla garanzia per i creditori, sia anche perché si tratta di una cessione decisiva rispetto alla possibilità di consentire la prosecuzione della l’attività di impresa trattandosi delle ultime risorse disponibili per la fallenda, oltre che dei fatto produttivi.
Come osservato da Sez. 5 COGNOME cit.., in motivazione, «non sussiste alcun illecito se con la cessione viene realizzata una finalità aziendale (per es. raccolta di liquidità in ragione di pendenze debitorie) e viene conservata, con l’acquisizione della controprestazione offerta dal cessionario, l’ammontare quantitativo del patrimonio sociale. Diversamente è a dirsi se, con la perdita della disponibilità del cespite, si priva l’organismo non soltanto di una porzione di
ricchezza, ma anche della capacità di perseguire utilmente l’oggetto sociale». Il che è quanto emerge dalle sentenze di merito.
2.6 Quanto alle specifiche doglianze relative a COGNOME, va evidenziato che gli indici di fraudolenza citati per COGNOME riguardano anche COGNOME e che la Corte di appello ha chiarito come si verta in tema di un accordo intercorso fra COGNOME e COGNOME, la cui prova è tratta dalla anomalia della condotta, consistente nell’«impadronirsi delle residue risorse patrimoniali attraverso la triangolazione».
Si tratta di argomento, non manifestamente illogico, in quanto la stessa RAGIONE_SOCIALE di Borsato, acquisiti i codici sorgente, li cede a RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, dunque prestandosi a una operazione, ‘camuffata’ come pagamento in parte e dado in solutum per altra, conseguente a un contratto squilibrato in favore di Borsato, funzionale a distrarre dalla fallenda le ultime risorse e i fattori produttivi.
A ben vedere, la Corte di appello ricostruendo il fatto dimostra, senza manifeste illogicità, che l’extraneus COGNOME ha concorso materialmente e moralmente nella condotta dell’intraneus, attraverso un accordo, producendo un effetto causalmente significativo ed efficiente rispetto alla condotta distrattiva posta in essere da COGNOME. Si tratta di una motivazione che non fa derivare ‘a cascata’, in una sorta di automatismo, la responsabilità di COGNOME, risultando argomentato il coinvolgimento consapevole di Borsato nell’operazione di spoliazione della fallita.
Quanto al coefficiente soggettivo, inoltre, l’extraneus deve avere consapevolezza della qualità soggettiva dell’intraneus e deve volere la condotta di ausilio all’intraneus con la consapevolezza della pericolosità per gli interessi dei creditori delle condotte poste in essere. Infatti, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017 Rv. 271837 – 01; Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 04/02/2020, COGNOME, Rv. 278156 – 02).
La ricostruzione operata dalla Corte di appello, e prima del Tribunale, dell’accordo fondato sulla sussistenza degli indici di fraudolenza, non ultima la triangolazione descritta con il ‘ritorno’ dei codici sorgenti a COGNOME, dimostra la funzione solo formale del ‘passaggio’ alla Daigo, per consentire la spoliazione della fallita. Inoltre, la Corte di appello richiama anche – fol. 11 – la circostanza
che il nuovo amministratore COGNOME, ‘testa di legno’, subentrato a COGNOME, sia stato coinvolto proprio da COGNOME, a riprova del suo coinvolgimento nell’operazione di spossessamento. La motivazione impugnata è in sintonia, quindi, con l’orientamento consolidato in ordine al dolo generico richiesto per l’extraneus. Né la circostanza che i quadri furono restituiti da COGNOME può escludere la fraudolenza, in quanto si tratta di un posterius marginale rispetto alla complessa condotta fraudolenta.
Quanto alle doglianze ulteriori mosse nell’interesse di COGNOME con il primo motivo, inerenti alle ulteriori condotte distrattive allo stesso attribuite via esclusiva, in ordine al prelievo di 9.300,00 euro, il motivo che prospetta la riqualificazione in bancarotta preferenziale è inedito.
A ben vedere il motivo di appello – fol. 30 dell’atto di impugnazione – si confrontava con la causale del prelievo solo per rimborso spese e non anche per il compenso: l’originaria doglianza non prospettava il tema della congruità del compenso, tema che viene invece proposto solo ora con il ricorso per cassazione, il che ne determina la natura inedita per i principi già esposti.
Quanto alle spese – quindi causale diversa da quella del compenso per l’attività – il motivo di ricorso è generico e, inoltre, reitera le doglianze sul di di prova documentale, per altro a fronte della stessa confessione dell’imputato.
In ordine all’ulteriore condotta distrattiva, relativa ai canoni di locazione deve rilevare questa Corte l’inammissibilità del motivo di appello – fol. 30 dell’atto di impugnazione – che si limitava a contestare che i canoni fossero stati prelevati da COGNOME e non trattenuti da COGNOME, amministratore di diritto nel frattempo nominato.
Tale motivo, però, risultava del tutto aspecifico rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado, che si fondava sulla qualità di amministratore di fatto di NOME e di ‘testa di legno’ di COGNOME, attribuendo per tale ragione a NOME la distrazione. Tali decisivi argomenti risultano del tutto ignorati dall’atto di appello, cosicché non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità. Va ricordato che le Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in motivazione hanno precisato come la declaratoria di inammissibilità possa essere adottata anche d’ufficio in sede di legittimità, qualora l’inammissibilità stessa non sia stata rilevata dal giudice d’appello. Dagli artt. 591, comma 4, e 627, comma 4, cod. proc. pen., infatti, emerge che l’inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, se non rilevata dal giudice dell’impugnazione, salvo che nel giudizio conseguente ad annullamento con rinvio, in cui è invece preclusa la rilevazione delle
inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari.
Per altro, comunque, la Corte di appello offre una motivazione in tema di amministrazione di fatto da parte di COGNOME che non risulta manifestamente illogica, oltre ad essere il motivo versato in fatto, chiedendo una rivalutazione delle dichiarazioni di COGNOME non consentita.
Quanto al secondo motivo del ricorso COGNOME e all’analogo motivo del ricorso COGNOME e ai correlati motivi aggiunti, in tema di trattamento sanzionatorio, va preliminarmente evidenziato che con i motivi di appello non si formulava la richiesta di applicazione della attenuante dell’art. 62 n. 6 cod. pen., che, dunque, è inedita, per entrambi gli imputati.
Quanto alla doglianza relativa all’art. 219, comma 3, I. fati., relativa al danno di speciale tenuità, formulata in appello solo nell’interesse di Borsato, ma comunque suscettibile di estensione ex art. 587 cod. proc. pen. anche a COGNOME, deve osservarsi come la doglianza di appello (fol. 38 e s.) era aspecifica, in quanto si confrontava esclusivamente con l’importo di 20.570,00 euro, pari al versamento in denaro, e non anche con la datio in solutum operata con la cessione dei quadri, dei codici sorgenti e dei marchi. Il motivo di appello avrebbe dovuto confrontarsi, invece, anche con il dato emergente dalla sentenza di primo grado, per la quale il valore di codici sorgenti e marchi veniva stimato in euro 148 mila, come emerge dalla sentenza di appello al fol. 3.
Pertanto, la censura di appello sul punto era aspecifica in quanto, secondo i principi già evidenziati, si confrontava solo con una parte della motivazione: in tal senso non era decisiva la doglianza in ordine ai 20mila euro versati e alla tenuità del danno correlato, a fronte del ben più elevato valore dei beni oggetto di cessione.
D’altro canto, il valore di 148 mila euro in sé, pur a fronte dell’errato riferimento della sentenza qui impugnata a 800mila euro, rende comunque infondati i motivi di ricorso sul punto.
Quanto alle circostanze attenuanti generiche, la motivazione richiama la gravità della condotta e l’assenza di condotte risarcitorie e indicative di resipiscenza. A ben vedere si tratta di motivazione congrua. La necessità di adeguamento della pena non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l’obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (ex multis e da ultime Sez. 3, n. 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. COGNOME Selva, Rv. 254716). Ed è in
questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249163). Nel caso in esame con motivazione non manifestamente illogica la Corte ha indicato gli elementi ex art. 133 cod. pen. ostativi al riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen.
Quanto alla dosimetria della pena, la stessa è stata determinata per COGNOME in anni quattro, per COGNOME in anni quattro e mesi sei di reclusione: si tratta di una misura decisamente inferiore alla media edittale, prossima al minimo, cosicché non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Infatti, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen. quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/200 COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata, che conducono alla declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/02/2025