Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18349 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18349 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sui ricorso proposto da:
NOME nato a ERICE il 24/11/1962
avverso la sentenza del 19/12/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile costituita Curatela del RAGIONE_SOCIALE Santa Ninfa, avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni e al versamento di una provvisionale;
lette le memorie del difensore del ricorrente, avv. COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva della società fallita, RAGIONE_SOCIALE, commesso nella veste di amministratore e socio della RAGIONE_SOCIALE, amministratore della RAGIONE_SOCIALE e socio della RAGIONE_SOCIALE
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, in base alla quale entrambe le decisioni di merito hanno ritenuto configurata la responsabilità penale dell’imputato, quest’ultimo, sebbene extraneus rispetto alla compagine sociale e amministrativa della fallita, in ragione delle posizioni rivestite nelle altr società indicate, era consapevole dello stato di decozione della RAGIONE_SOCIALE e, nonostante ciò, aveva distratto dalle casse sociali rilevanti somme (per come puntualmente specificate nel capo di imputazione) mediante pagamenti effettuati a terzi per obbligazioni assunte dalle società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE nonché effettuando bonifici sui conti correnti delle predette società.
Avverso la richiamata sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, affidandosi, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME, a cinque motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., inosservanza degli artt. 63 e 220 disp. att. cod. proc. pen., contestando la ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese al Curatore dall’amministratore della società fallita, NOME COGNOME (giudicata in un separato giudizio).
A fondamento della spiegata censura deduce che tale inutilizzabilità deriverebbe, in omaggio ai principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 45477 del 2001, dalla circostanza che le informazioni rese dal fallito non sarebbero state usate solo per ottenere i chiarimenti occorrenti ai fini della gestione della procedura bensì, come indicato nella stessa Relazione ex art. 33 I. fall., a fronte di dubbi emersi dalla contabilità della società fallita.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente assume, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), d) ed e), cod. proc. pen., che la Corte territoriale, con
argomentazioni contraddittorie, dopo aver disposto d’ufficio l’esame del perito, ha disatteso la richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. con il teste NOME COGNOME, funzionario della filiale della Banca Unicredit di Trapani (rispetto al quale era stata già formulata richiesta di esame ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., disattesa dal giudice di primo grado), il quale avrebbe potuto riferire sulle circostanze, potenzialmente decisive per un diverso esito del giudizio, della correlazione tra il finanziamento dell’importo di euro 250.000,00 concesso dalla Banca alla fallita e la richiesta dello stesso istituto di credito d ridurre progressivamente le posizioni debitorie più risalenti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della medesima Unicredit.
2.3. Mediante il terzo motivo il Durante lamenta erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen., 223 e 216, comma 1, I. fall., e 192 cod. proc. pen. nonché correlato vizio di motivazione, per avere la decisione impugnata, attraverso un “malcomposto giudizio indiziario”, ritenuto lo stesso penalmente responsabile per tutti i trasferimenti di denaro compiuti dalla fallita nei confronti delle altre società indicate nei capi di imputazione.
Nell’articolata doglianza, sottolinea, in primo luogo, con riferimento ai rapporti con la società RAGIONE_SOCIALE che, rispetto alla ritenuta distrazione dell somma di euro 314.330,62 in favore della stessa, i giudici di merito hanno errato nella ricostruzione della portata dell’operazione di acquisto di beni strumentali per l’importo di euro 287.980,00. E ciò in quanto, riconosciuta da parte della medesima Corte territoriale l’effettività della vendita di detti beni e la congruit del prezzo degli stessi, sarebbe erroneo assumere che la fallita non avrebbe ritratto da tali acquisti alcuna utilità poiché, in forza di un contratto di affitto, già nella disponibilità dei predetti beni. Sottolinea, in proposito, che l’acquisto de beni strumentali aveva difatti rafforzato la garanzia dei creditori e che il lor utilizzo era necessario per lo svolgimento dell’attività ed il pagamento dei creditori strategici.
Rispetto alla residua somma di euro 26.350,62 lamenta, di poi, che, considerato che alcuni costi in forza del business plan avrebbero dovuto essere sostenuti dalla fallita e non dalla RAGIONE_SOCIALE, non sarebbe integrata sul piano materiale la relativa distrazione.
Soggiunge che non avrebbe peraltro fondamento la tesi per la quale la fallita sarebbe stata costituita quale mera società in grado di ottenere finanziamenti bancari, poi utilizzati per andare a ripianare le posizioni debitorie delle tr “vecchie” società del gruppo, atteso che queste si erano private dei loro beni strumentali affinché potesse essere realizzato il progetto imprenditoriale della fallita. GLYPH
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Quanto alla sua specifica posizione, rappresenta che, comunque sia, egli, nella veste di extraneus, non potrebbe considerarsi concorrente nelle condotte dell’amministratrice della fallita, poiché non era emersa alcuna prova della sua consapevolezza né dei pagamenti contestati, che peraltro non aveva sollecitato, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, anche se si trattava di pagamenti dovuti, né delle sopravvenute difficoltà economiche della stessa società fallita.
Sottolinea che, inoltre, non potrebbe ritenersi sufficiente per la configurabilità del dolo la circostanza che aveva ritenuto di offrire in modo trasparente una somma per l’aumento di capitale della fallita al momento della costituzione della stessa.
Quanto ai rapporti della medesima società con la RAGIONE_SOCIALE deduce che egli era solo socio di quest’ultima società al 40% e non aveva alcuna consapevolezza di come questa fosse amministrata, con la conseguenza che era incomprensibile la conclusione dei giudici di merito nel senso che aveva concorso alla distrazione, peraltro contestata e ritenuta sulla scorta di dati contabili confusi ed erronei.
Infine, con riferimento ai rapporti tra la stessa fallita e la società RAGIONE_SOCIALE, evidenzia che è diventato amministratore di tale società solo nell’anno 2013, dopo che erano state poste in essere le operazioni contestate e che era estraneo alla gestione di tale società, per conto della quale, del resto, non aveva mai preteso pagamenti dalla fallita medesima. Sottolinea che la decisione nel senso della sussistenza della sua responsabilità penale è contraddetta, con evidenza, dai flussi di denaro tra le società negli anni 2010-2013, atteso che la RAGIONE_SOCIALE aveva corrisposto essa stessa alla fallita la somma di oltre euro 400.000,00 in tale periodo. E, quanto all’assunto residuo debito di euro 56.000,00 circa per il quale era stata ritenuta configurabile la distrazione, osserva che solo il fallimento della RAGIONE_SOCIALE ne aveva impedito il pagamento. Soggiunge che, ad ogni modo, qualora la RAGIONE_SOCIALE avesse effettuato il “riaddebito” di costi dovuti dalla Conglomerati, i rapporti di dare/avere sarebbero stati “ribaltati” anche a tale data, con un saldo favorevole per la medesima Elettrosud pari all’importo di oltre euro 14.000,00.
2.4. Mediante il quarto motivo lamenta inosservanza delle stesse norme e vizio di motivazione laddove la Corte territoriale non ha ritenuto integrati i vantaggi compensativi derivanti dalle operazioni infragruppo correlati alla possibilità, anche qualora fossero stati considerati finanziamenti i pagamenti dovuti alle altre società del gruppo medesimo, di poter così proseguire virtuosamente l’attività anche da parte della fallita mediante la soddisfazione di creditori strategici, come fornitori e Banche.
2.5. Infine, con il quinto motivo, NOME COGNOME denuncia che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto di non concedergli le circostanze attenuanti generiche, sebbene fosse emerso che le sue condotte non avevano una preordinazione distrattiva ma erano espressive della volontà, concretizzata anche mediante un significativo impegno finanziario personale, di risanare il gruppo.
Con requisitoria scritta depositata in data 15 marzo 2025, il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso: rispetto al primo motivo, nel senso dell’inammissibilità, in via principale, per genericità della doglianza in quanto il ricorrente non avrebbe chiarito l’incidenza dell’atto asseritamente viziato sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in omaggio ai principi espressi da Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 e, comunque, per manifesta infondatezza, poiché le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, atteso che curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., ch concerne le attività ispettive e di vigilanza; con riferimento al secondo motivo, sempre per l’inammissibilità per genericità, poiché il ricorrente non avrebbe chiarito la decisività della prova testimoniale richiesta, a fronte di una motivazione adeguata da parte della decisione impugnata sulla relativa superfluità; con riferimento al terzo e al quarto motivo, ha concluso per l’inammissibilità dato che, mediante tali motivi, l’imputato cercherebbe di ottenere la rivalutazione di prove coerentemente convergenti rispetto alla natura distrattiva delle operazioni, in forza dei plurimi elementi a tal fine evidenziati nella sentenza impugnata (id sunt, tra gli altri, la costituzione della fallita quando le società RAGIONE_SOCIALE erano già in stato di decozione e non potevano accedere al credito, né, in assenza del DURC, partecipare alle gare; la scelta di costituire la RAGIONE_SOCIALE dettata dall’esigenza di ottenere credito e, dunque, nuove commesse, avvalendosi però dei beni strumentali vetusti delle società decotte; la circostanza che il Durante, sebbene non fosse formalmente amministratore o socio della fallita, aveva effettuato l’aumento di capitale di euro 200.000,00, con provvista personale, per ottenere il finanziamento della Unicredit per euro 250.000,00, e le risorse erano state immediatamente drenate in favore della propria società RAGIONE_SOCIALE e di quella della Genovese, anche mediante pagamenti diretti ai creditori di queste ultime). Quanto ai dedotti vantaggi compensativi infra-gruppo, ha osservato che non sono stati provati né Corte di Cassazione – copia non ufficiale
l’esistenza di un gruppo né questi stessi vantaggi, che devono consistere in un saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo; rispetto al quinto motivo, infine, ha rilevato la congruità della motivazione sottesa al diniego di concessione delle circostanze attenuati generiche, fondato sull’assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, nonché sulla gravità del fatto, in virtù della pluralità delle distrazioni, della sistematicità delle condotte e della rilevanza del debito accumulato.
4.La Curatela del Fallimento, costituita parte civile, ha depositato memoria conclusiva chiedendo il rigetto dei motivi proposti dall’imputato e la condanna dello stesso al risarcimento dei danni patrimoniali e non patiti dalla persona offesa, nella misura di euro 1.000.000,00, nonché al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, da determinare in misura non inferiore ad euro 500.000,00 e alla rifusione delle spese del giudizio.
Con memorie del 14 marzo 2025 e del 26 marzo 2025, il difensore del ricorrente ha effettuato alcune puntualizzazioni sulla portata non distrattiva delle operazioni e sulla sussistenza, in ogni caso, di vantaggi compensativi, insistendo per l’accoglimento dei motivi proposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre premettere che le decisioni di merito integrano una c.d. doppia conforme, talché le argomentazioni delle stesse si saldano le une con le altre, come se si trattasse di un compendio motivazionale unitario (ex aliis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 – 01), ciò che assume peculiare rilievo ai fini dell’esame delle censure che denunciano il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il primo motivo è manifestamente infondato, poiché le decisioni di merito si sono poste nel solco della giurisprudenza consolidata di questa Corte, nel ritenere utilizzabile quanto dichiarato e rappresentato in una memoria dall’amministratrice della società fallita al Curatore, che aveva chiesto alla stessa chiarimenti su alcuni aspetti anomali emersi dalla documentazione contabile.
Invero, a differenza di quanto assunto dal ricorrente, che richiama all’uopo un precedente non pertinente, le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che
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prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o al polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. at cod. proc. pen., che concerne le attività ispettive e di vigilanza (ex plurimis, Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018, Castelletto, Rv. 272664; Sez. 5, n. 46422 del 25/09/2013, Besana, Rv. 257584).
Proprio sulla scorta di quest’ultimo presupposto, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 191, 195 e 526 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 6 CEDU, 47, comma 2, e 48 C.D.F.U.E., nella parte in cui non è prevista l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese al curatore nel corso della procedura fallimentare e da questi trasfuse nella propria relazione. Si è osservato, a riguardo, difatti, che il curatore non svolge attività ispettive e di vigilanza, ma, in qualità di pubblico ufficiale, è tenuto a rappresentare nella relazione a sua firma anche quanto può interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale, dando corso all’audizione dei soggetti diversi dal fallito per richiedere informazioni e chiarimenti occorrenti ai fini della gestione della procedura (Sez. 5, n. 17828 del 09/02/2023, Caserta, Rv. 284589 – 02).
E, del resto, nella giurisprudenza di legittimità è stato ulteriormente chiarito, sulla questione, che il principio espresso dalla Corte EDU (sentenze 17 dicembre 1996, COGNOME c. Regno Unito e 27 aprile 2004, COGNOME c. Regno Unito) secondo cui il diritto inglese viola l’art. 6 della CEDU nella parte in cui consente l’utiliz contro il fallito delle dichiarazioni rese al curatore ed ottenute esercitando poteri obbligatori, non è applicabile al diritto nazionale per la diversità dei poteri riconosciuti al curatore dalla legge fallimentare italiana e di conseguenza non preclude la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese dal fallito ed inserite nel relazione ex art. 33 legge fall. (Sez. 5, n. 38431 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 277342).
Il secondo motivo è, parimenti, manifestamente infondato, atteso che, come hanno ribadito le Sezioni Unite nella sentenza “COGNOME“, sulla scia di Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 203974, la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza di quella svolta in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820 – 01).
Peraltro, nella fattispecie in esame, a fronte della produzione di ampia documentazione relativa all’operazione con Unicredit, non si comprende quale ulteriore apporto avrebbe potuto fornire la testimonianza del Noto, atteso che, del resto, la circostanza che fosse stata la Banca, nell’erogare il finanziamento alla fallita, a subordinarlo anche al pagamento delle posizioni debitorie più risalenti nei confronti della medesima Unicredit, non spiega alcun rilievo rispetto alla valutazione dell’operazione complessiva, che deve essere riguardata nel prisma della tutela dei creditori della fallita. In sostanza, se pure l’imputato s fosse adeguato a un piano predisposto con l’istituto di credito, questo non inciderebbe sulla sussistenza della sua responsabilità penale per i delitti ascritti.
Quanto al terzo motivo, occorre osservare quanto segue.
4.1.Con riferimento, in primo luogo, agli elementi oggettivi del delitto contestato, il ricorrente, in realtà, non si confronta in modo specifico con le diffuse argomentazioni sottese alla decisione impugnata con riferimento alle ritenute distrazioni in favore delle società RAGIONE_SOCIALE (pag. 18-19) e RAGIONE_SOCIALE (pag. 19-21), limitandosi a riproporre le doglianze già formulate in appello che ivi avevano trovato congrua risposta in forza dei plurimi elementi idonei a denotare la valenza anomala, fraudolenta e distrattiva delle operazioni compiute, con conseguente genericità delle relative censure (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822).
Quanto ai rapporti con la società RAGIONE_SOCIALE oltre a ciò, sono prospettate argomentazioni manifestamente infondate.
Invero, la circostanza che, in forza di un contratto di affitto, i ben strumentali della RAGIONE_SOCIALE fossero già nella disponibilità della fallita, rende evidente ragione, come è stato congruamente sottolineato dalla Corte d’Appello di Palermo, dell’inutilità dell’acquisto dei beni nella prospettiva, assunta dal ricorrente, di poter così svolgere l’attività da parte della stessa. E, difatti, stan l’esistenza di un contratto di affitto dei macchinari – contratto che, specie per macchinari non nuovi, è di regola preferito all’acquisito anche per la progressiva riduzione di valore che questi beni hanno nel tempo – è congruo il ragionamento operato dai giudici di merito nel senso della valenza complessivamente distrattiva dell’operazione effettuata, poiché essa, comportando una spesa inutile, ha ridotto la garanzia del ceto creditorio.
4.2. Con riferimento al parimenti contestato elemento soggettivo del reato ascritto, in termini generali è opportuno ricordare, a riguardo, che il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella
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volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, pur non essendo richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, che può solo rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (ex multis, Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156 – 02; Sez. 5, n. 9299 del 13/01/2009, Poggi Longostrevi, Rv. 243162).
Nella fattispecie per cui è processo, sia la decisione della Corte d’appello che quella di primo grado, hanno congruamente evidenziato gli indici in forza dei quali è stato ritenuto integrato il dolo dell’extraneus nei termini delineati dai superiori principi. A riguardo, è stata valorizzata la costante partecipazione del Durante all’operazione, al punto che egli, pur non rivestendo alcuna carica sociale, né essendo socio della fallita, ha finanziato quest’ultima per il rilevantissimo importo di euro 200.000,00 ed ha partecipato attivamente alle trattative con la Banca Unicredit erogatrice, a propria volta, di un finanziamento per la somma di euro 250.000,00.
D’altra parte, è la stessa prospettazione difensiva dell’imputato a porsi in contrasto con l’assunta mancanza di consapevolezza della portata dell’operazione, atteso che egli rivendica che la fallita formava, di fatto, un gruppo con le altre tre società, per le strette “cointeressenze” nelle attività delle medesime.
5.Si presenta non fondato anche il quarto motivo con il quale l’imputato deduce che le condotte contestate dovrebbero essere ricondotte alla logica del gruppo ed essere così riguardate, in una prospettiva ex ante, alla luce dei vantaggi compensativi che avrebbe conseguito dalle stesse, anche ove si fosse ritenuto che le somme corrisposte alle tre “vecchie” società erano finanziamenti.
Come è stato infatti più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità la rilevanza dei vantaggi compensativi nell’ambito del gruppo, espressamente prevista nell’attuale formulazione dell’art.2634, comma terzo, cod. civ., non rende infatti inoperante il principio dell’autonomia soggettiva delle singole società facenti parte dello stesso ai fini della configurabilità dei reati d bancarotta (Sez. 5, n. 23241 del 24/04/2003, Tavecchia, Rv.224952), la cui offensività tipica rimane inalterata nel momento in cui le ragioni dei creditori della società fallita, l’affidamento dei quali è riposto sulle capacità patrimoniali d quest’ultima, sono comunque pregiudicate da trasferimenti di risorse ingiustificatamente effettuati dalla società in questione in favore di altre, pur ricomprese nel medesimo gruppo (Sez. 5, n.13169 del 26/01/2001, COGNOME, Rv.218390; Sez. 5, n.36595 del 16/04/2009, Bassi, Rv.245136). E’ di
conseguenza insufficiente la mera circostanza della collocazione della fallita all’interno di un gruppo in quanto, affinché la rilevanza penale della condotta sia esclusa occorre uno specifico vantaggio, anche indiretto, che risulti concretamente idoneo a compensare gli effetti immediatamente negativi dell’operazione contestata per la fallita (Sez. 5, n.36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234606; Sez. 5, n.1137 del 17/12/2008, COGNOME, Rv. 242546), trasferendo su quest’ultima il risultato positivo riferibile al gruppo (Sez. 5, n. 44963 del 27/09/2012, COGNOME e altri, Rv. 254519; Sez. 5, n. 41293 del 25/09/2008, Mosca, Rv. 241599).
Di qui la decisione della Corte d’Appello di Palermo, ponendosi nel solco di detti principi, ha congruamente argomentato come, anche volendo assumere circostanza che non è del resto inconfutabilmente emersa nei gradi di merito – la sussistenza di un gruppo di imprese, le ragioni per le quali non può ritenersi, neppure ponendosi in una prospettiva ex ante, che le operazioni erano suscettibili di determinare vantaggi compensativi in favore della fallita. E questo perché essa, sin dall’inizio della propria attività, ha destinato sostanzialmente i finanziamenti erogati (e non erogabili alle “vecchie” società del gruppo perché già ampiamente esposte e impossibilitate ad operare direttamente negli appalti pubblici per l’assenza del DURC), e gli utili conseguiti al ripianamento dei debiti delle altre tre società. E ciò nonostante fosse, a propria volta, gravemente esposta nei confronti dei propri creditori, con perdite pari ad oltre trentamila euro già nel primo anno di attività, perdite cresciute progressivamente nel tempo, proprio per le condotte contestate.
Del resto, ove si accerti, nei termini delineati, che l’atto compiuto dall’amministratore non risponda all’interesse della società ed abbia determinato un danno al patrimonio sociale, è onere dell’amministratore dimostrare la sussistenza non solo di un vantaggio complessivo del gruppo, ma anche idoneo a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell’operazione compiuta, di guisa che, nella ragionevole previsione dell’agente, non sia idonea ad incidere sulle ragioni dei creditori della società (ex aliis, Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 257562). In particolare, l’interessato è tenuto a dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata (ex ceteris, Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015, dep. 2016, COGNOME e altri, Rv. 271149).
Tale onere non è stato, peraltro, assolto in alcuna misura dal Durante.
Il quinto motivo con il quale il ricorrente deduce che non gli sono state concesse le circostanze attenuanti generiche è inammissibile perché non si
confronta con la peraltro puntuale motivazione della decisione censurata (pag. 26), laddove questa ha posto in rilievo l’insussistenza di elementi favorevoli idonei a consentire l’attenuazione del trattamento sanzionatorio deponendo in senso contrario il protrarsi della condotta per più esercizi e il rilevantissimo danno prodotto ai creditori sociali, tra i quali l’erario.
Il ricorso deve dunque essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
8.La domanda della parte civile volta al riconoscimento di una somma, a titolo risarcitorio, pari a euro 1.000.000,00 (nonché di una provvisionale di euro 500.000,00) è inammissibile, per le concorrenti ragioni di seguito indicate.
8.1. Sotto un primo aspetto, la parte civile non può formulare tale domanda, in quanto non ha proposto ricorso contro le relative statuizioni della decisione impugnata, né può ritenersi che il relativo capo sia stato devoluto a questa Corte dal ricorso dell’imputato il quale, pur avendo contestato in radice la propria responsabilità penale, non ha proposto alcun motivo su questioni inerenti la domanda civile di danno proposta dalla Curatela (anche se, chiaramente, dall’accoglimento del ricorso sarebbe derivata la revoca delle statuizioni civili).
8.2. Vi è inoltre che, anche volendo prescindere dalle differenti declinazioni con le quali nell’attuale giurisprudenza di legittimità è inteso l’accertamento che deve essere operato dal giudice di merito per il riconoscimento del risarcimento del danno in forma generica – affermandosi, talora, che, ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (ex ceteris, Sez. 1, n. 51160 del 31/10/2023, COGNOME, Rv. 285612), atteso che la suddetta pronuncia costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270386) e, talaltra, che non è sufficiente la sussistenza di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, occorrendo la prova, sia pure con modalità sommaria, dell’an debeatur, essendo rinviata al separato giudizio civile soltanto la determinazione quantitativa del danno (ex multis, Sez. 2, n. 31574 del 09/05/2023, Mutua Consumatori, Rv. 284954 – 02; Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418) – resta fermo che, per la quantificazione del danno della parte civile, si rendono necessari
accertamenti in fatto che sono incompatibili con il sindacato operato in questa sede di legittimità.
Deve in definitiva affermarsi il principio per il quale non può essere determinato dalla Corte di cassazione, con conseguente inammissibilità della
relativa domanda, il risarcimento del danno spettante alla parte civile nell’ipotesi in cui il giudice del merito si sia limitato a pronunciare una condanna generica a
detto risarcimento, poiché la quantificazione dell’entità del danno implica accertamenti in fatto incompatibili con il sindacato di legittimità.
a fortiori,
8.3. E’ inammissibile, la richiesta di liquidazione di una somma a
titolo di provvisionale del danno effettuata dalla medesima parte civile.
Vi è infatti che a quest’ultima è stata già liquidata dalla sentenza di primo grado, con statuizione confermata in appello, la somma di euro 380.000,00 a
titolo di provvisionale.
A fronte di
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tale dato,
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oltre all’inammissibilità
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derivante dalla prospettazione della questione non fatta valere in appello volta ad ottenere una
provvisionale di importo superiore come quella richiesta in questa sede per l’importo di euro 500.000,00, va considerato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (tra le molte, Sez. 2, n 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773 – 02; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, COGNOME, Rv. 230105 – 01).
L’imputato va peraltro condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 1° aprile 2025
Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidente r