Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 334 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 334 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
QUINTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TORONTO (CANADA) il 15/06/1979
inoltre:
CURATELA FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 12/01/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME che ha illustrato i motivi di ricorso e ha chiesto accogliersi lo stesso e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per maturata prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con la sentenza emessa il 12 gennaio 2023, riformava la sentenza del Tribunale di Bari, riducendo la pena, e confermava la responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME, non ricorrenti, nonchØ di NOME COGNOME attuale ricorrente, per quanto qui di interesse chiamati a rispondere della condanna di bancarotta fraudolenta societaria di tipo distrattivo, come contestata al capo B) dell’imputazione.
A NOME COGNOME, legale rappresentante della società fallita RAGIONE_SOCIALE e alla moglie NOME COGNOME quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE nonchØ a NOME COGNOME quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, veniva contestata in concorso la distrazione di tre capannoni industriali, di proprietà della società fallita, a mezzo di atti di compravendita simulati.
Secondo l’imputazione, il primo atto, in data 7 settembre 2009, vedeva la fallita cedere i capannoni al NoŁ, nella qualità di legale rappresentate della RAGIONE_SOCIALE ad un prezzo di euro 375.000,00, ritenuto di importo notevolmente inferiore ai costi sostenuti dalla cedente per l’acquisto e la ristrutturazione degli stessi, valore stimato in euro 841.098,27.
Il 09 ottobre 2009 la RAGIONE_SOCIALE cedeva i capannoni alla società RAGIONE_SOCIALE, della quale era socio rappresentante legale COGNOME ad un prezzo di euro 400.000,00.
Il fallimento della RAGIONE_SOCIALE interveniva con sentenza emessa in data 19 luglio 2010.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME NoŁ consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 216 l. fall.
Lamenta il ricorrente che le doglianze di appello non siano state valutate dalla Corte territoriale e che neanche sia stata delibata la circostanza che l’acquisto da parte dell’imputato era conseguente ad un errore dallo stesso commesso.
Infatti, NoŁ non aveva valutato la viabilità per l’accesso ai capannoni, che rendeva l’acquisto non piø utile e motivava il ricorrente alla cessione degli stessi, senza alcuna consapevolezza in ordine al legame esistente fra Guerra e Susco, oltre che fra le rispettive società, rispetto alle quali NoŁ era del tutto estraneo.
Difetterebbe la prova del dolo riguardo all’ imputato ritenuto extraneus .
Il secondo motivo deduce violazione di legge quanto all’art. 157 cod. pen. e vizio di motivazione.
Lamenta il ricorrente che il termine di prescrizione sarebbe scaduto alla data della sentenza di appello, riferendosi a quella della operazione distrattiva contestata al ricorrente, doglianza alla quale non ha dato risposta la Corte territoriale.
Per altro il dies a quo , così individuato, risulterebbe coerente con la ratio del nuovo codice della crisi di impresa, che ha anticipato la valutazione dello stato di insolvenza, prescindendo alla declaratoria di fallimento, essendo la offensività della condotta anticipata rispetto alla declaratoria medesima.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, Ł stato trattato con l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni,
Il Pubblico ministero e il difensore dell’imputato hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Quanto al primo motivo, le doglianze di appello lamentavano il difetto di prova del dolo: per un verso non sarebbe stato provato che NoŁ avesse consapevolezza dello stato di insolvenza della cedente, per altro era stato omesso l’esame della ricostruzione alternativa proposta dall’imputato –
relativa all’erronea acquisizione dei capannoni per l’impossibilità di una viabilità adeguata rispetto agli interessi imprenditoriali dell’imputato – che giustificava l’acquisto con la misura del prezzo molto conveniente.
A ben vedere tali doglianze risultano oggetto di valutazione da parte della Corte di appello, con argomentazioni che solo in parte il ricorrente prende in considerazione.
Difatti, la Corte territoriale trae la natura fraudolenta della doppia cessione, intervenuta a distanza di poco piø di un mese, da una pluralità di elementi sintomatici: il valore dei capannoni acquistati dalla fallita dalla società amministrata dal NoŁ, pari a 375mila euro, era decisamente inferiore rispetto a quello effettivo, sia come valutato dal consulente del pubblico ministero (840mila euro), sia dal consulente della difesa (540mila euro), il che certamente indicava la natura distrattiva dell’operazione, che spogliava la fallenda di risorse in maniera ingiustificata.
Inoltre, la sentenza impugnata rende conto della circostanza che le condizioni di cessione risultavano anche sfavorevoli alla cedente, e favorevoli alla società del NoŁ, tanto che nessun acconto nØ alcun versamento fu effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della cedente; inoltre, dopo appena 32 giorni i capannoni venivano ceduti alla società RAGIONE_SOCIALE amministrata dalla moglie del COGNOME, avente medesima sede e oggetto sociale della fallita (originaria cedente i capannoni), che inoltre con l’acquisto si accollava il debito per l’acquisto dei capannoni della RAGIONE_SOCIALE verso la fallita, con un piano di pagamento dilazionato con due rate, una nell’ottobre 2010 e l’altra nell’ottobre 2011, versando solo alla RAGIONE_SOCIALE euro 6000,00.
La Corte di appello evidenziava come la prima cessione interveniva appena dieci mesi prima rispetto alla dichiarazione di fallimento, all’esito della quale lo stato passivo approvato vedeva un debito di oltre 581mila euro.
Da tali elementi la sentenza impugnata trae la prova dell’accordo illecito intercorso fra i tre imputati.
A ben vedere, si tratta di motivazione congrua quanto al profilo oggettivo e soggettivo, in relazione al quale le censure attuali si concentrano.
A tal riguardo, per un verso deve ritenersi che la versione alternativa proposta dall’imputato, non ritenuta credibile dalle sentenze di merito, non può trovare ingresso in questa sede di legittimità, tanto piø che la stessa viene proposta genericamente, senza deduzione specifica di alcun travisamento.
D’altro canto, le censure del ricorrente non sono consentite perchØ rivolte a sollecitare il giudice di legittimità ad una rilettura degli elementi ricostruttivi del fatto ed una rivalutazione nel merito della sentenza (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794). Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione Ł, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piø adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; successivamente il principio Ł stato ribadito da Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Per altro, l’argomentare della Corte Ł anche corretto, perchØ in sintonia con il principio per cui l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività
rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 dep. 01/08/2017, COGNOME e altro, Rv. 27076301). Elementi che sono stati valutati dalla Corte di merito e che hanno condotto la Corte di appello a ritenere comprovato l’accordo illecito e, dunque, il dolo generico richiesto anche per l’ extraneus ora ricorrente, senza la necessità che l’imputato avesse contezza dello stato di dissesto.
Difatti consolidato Ł il principio per cui in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 04/02/2020, COGNOME, Rv. 278156 – 02; conf.: N. 1706 del 2014 Rv. 258950 – 01, N. 12414 del 2016 Rv. 267059 – 01, N. 38731 del 2017 Rv. 271123 – 01, N. 9299 del 2009 Rv. 243162 – 01).
D’altra parte, neanche per l’amministratore intraneus Ł richiesta tale ulteriore consapevolezza, in quanto l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione Ł costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non Ł necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nØ lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016 – dep. 27/05/2016, COGNOME e altro, Rv. 26680501): ciò consegue alla estraneità agli elementi costitutivi del delitto in esame, che invece Ł reato di pericolo concreto ( ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, COGNOME, Rv. 252307), nel senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrità dei mezzi di garanzia, l’art. 216 legge fall. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non Ł elemento costitutivo della fattispecie tipizzata e che invero rileva esclusivamente ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui al primo comma del successivo art. 219 l. fall. – bensì anche il pericolo conseguente alla mera possibilità che questo si verifichi.
Corretto Ł, dunque, il governo dei principi operato dalla sentenza impugnata anche quanto al dolo richiesto al concorrente esterno, sulla scorta di molteplici indicatori, non ultime le condizioni anomale molto favorevoli della operazione di cessione, senza versamento di alcun acconto o garanzia per la fallita, sia quanto al prezzo rispetto al valore dei beni, sia in ragione della repentina ulteriore cessione, in vero non giustificata se non per una tesi alternativa non ritenuta attendibile dalle sentenze di merito in doppia conforme.
Il motivo non si confronta con gli indici di fraudolenza tutti, indicati nella sentenza impugnata, risultando aspecifico, e comunque risulta anche manifestamente infondato.
Quanto al secondo motivo, inerente alla dedotta estinzione del reato per prescrizione prima della sentenza ora impugnata, deve rilevarsi come la consumazione del delitto di bancarotta venga ad aversi con la dichiarazione di fallimento, dies a quo del termine di prescrizione e non prima.
Il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare, infatti, decorre infatti dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria (da ultimo, Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, COGNOME, Rv. 273800 – 01, in relazione al momento della consumazione ai fini
dell’indulto; Sez. 5, n. 45288 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 271114 – 01: in motivazione, si Ł precisato che tale principio Ł valido sia nel caso in cui la sentenza di fallimento venga qualificata elemento costitutivo improprio della fattispecie penale, come la Corte ha affermato incidentalmente, sia qualora la si ritenga condizione obiettiva di punibilità; Sez. 5, Sentenza n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389 – 01; qualificano come condizione obiettiva di punibilità la dichiarazione di fallimento, Sez. 5, n. 2899 del 02/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274610 – 01; Sez. 5, n. 4400 del 06/10/2017, dep. 2018, COGNOME Rv. 272256 – 01; Sez. 5, n. 53184 del 12/10/2017, COGNOME, Rv. 271590 – 01).
Ne consegue che la circostanza che l’operazione di doppia cessione, come acquirente e come cedente, avvenne nel settembre-ottobre 2009, non determina il decorrere del termine di prescrizione da tale data.
Anche il riferimento alle innovazioni del Codice della crisi di impresa, in vero non sono specifiche e non si confrontano con un quadro normativo penalistico immutato.
Difatti, la disciplina dell’art. 322 prevista dal codice della crisi di impresa, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, replica le stesse condotte già previste nell’art. 216 legge fall., cosicchŁ l’unico elemento distintivo attiene alla dichiarazione di fallimento, che viene sostituita dal riferimento alla dichiarazione dell’imprenditore in liquidazione giudiziale.
A ben vedere, Ł stato correttamente osservato in dottrina come il principio di continuità fra le fattispecie criminose, prefissato dall’art. 2, comma 1, lett. a) l. 155 del 2017, Ł rifluito nella previsione dell’art. 349 d.lgs n. 14 del 2019, che richiama la «salvezza della continuità delle fattispecie», anche attraverso la disciplina dell’art. 390, comma 3, che prevede che in relazione alle procedure a trattarsi con la disciplina della legge fallimentare, «quando …sono commessi i fatti puniti dalle disposizioni penali del titolo sesto del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonchØ’ della sezione terza del capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3, ai medesimi fatti si applicano le predette disposizioni».
D’altro canto, va evidenziato come neanche il mutamento della disciplina civilistica, evocato genericamente, ha rilievo agli effetti penali in quanto la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato in sede penale e risulta immutata in assenza di esplicite previsioni normative in senso opposto, mentre che nel caso in esame esiste la richiama norma transitoria che ne salvaguarda l’efficacia. Quanto alle ricadute penali delle modifiche in sede civile va, invece, richiamato l’autorevole intervento che ha consolidato in modo definitivo il principio per cui il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore. Il caso era proprio relativo a una modifica della disciplina dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, apportata all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che le Sezioni Unite chiarirono non avere alcuna influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, COGNOME, Rv. 239398 – 01; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273188 – 01; Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, COGNOME, Rv. 243160 – 01).
Pertanto, il motivo Ł manifestamente infondato.
4. Ne consegue l’inammissibilità complessiva del ricorso.
Per altro, quanto alla prescrizione invocata in sede di discussione dalla difesa del ricorrente, il termine Ł scaduto in data 23 febbraio 2023 (dal 19 luglio 2010 vanno computati anni dodici e mesi sei, che vanno a cadere il 19 gennaio 2023, con sospensione di 35 giorni, alla data indicata), quindi dopo la sentenza di appello, e non prima.
Ne consegue l’inammissibilità del presente ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi e alla genericità degli stessi, sussistendo la quale non Ł consentito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, cosicchØ Ł precluso il rilevare l’estinzione per prescrizione del reato.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 21/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME