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Bancarotta fraudolenta e truffa: la Cassazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un complesso caso di truffa e bancarotta fraudolenta, annullando con rinvio la sentenza d’appello per la posizione di un promotore finanziario in relazione alla truffa e per due amministratori riguardo la bancarotta documentale. La Corte ha chiarito i criteri per determinare la complicità del promotore che, pur consapevole dei rischi, ha taciuto ai clienti in cambio di ingenti provvigioni. Ha inoltre confermato che le operazioni dolose che aggravano il dissesto di una società, anche senza distrazione diretta di beni, integrano il reato di bancarotta fraudolenta.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta e Truffa: L’Analisi della Cassazione sulla Responsabilità Penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33676 del 2024, si è pronunciata su un intricato caso giudiziario che intreccia i reati di truffa aggravata, bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, e riciclaggio. La decisione offre importanti chiarimenti sulla responsabilità penale e civile dei professionisti, come i promotori finanziari, e degli amministratori societari coinvolti in complesse operazioni finanziarie che portano al dissesto di un’impresa.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una serie di condotte truffaldine orchestrate ai danni di due investitori (madre e figlio), i quali sono stati indotti a investire una somma complessiva di oltre 16 milioni di euro in operazioni immobiliari e finanziarie presentate come altamente redditizie. Il principale artefice della truffa si è avvalso della collaborazione di diverse figure, tra cui un promotore finanziario di fiducia delle vittime, un avvocato, un commercialista e altri soggetti che hanno contribuito a creare una parvenza di solidità e legalità degli investimenti.

Le somme versate dalle vittime sono state impiegate in operazioni complesse, inclusa l’acquisizione di una società poi dichiarata fallita. Le indagini hanno svelato un meccanismo volto non solo a defraudare gli investitori, ma anche a compiere atti di bancarotta fraudolenta attraverso operazioni dolose che hanno aggravato il dissesto della società, come aumenti di capitale fittizi e la mancata tenuta della contabilità.

L’Iter Processuale e le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado aveva condannato diversi imputati per reati che andavano dall’associazione per delinquere alla truffa, fino alla bancarotta fraudolenta e al riciclaggio. La Corte d’Appello, in parziale riforma, ha assolto alcuni imputati da determinati capi d’imputazione e rideterminato le pene per altri. In particolare, ha assolto il promotore finanziario dall’accusa di truffa per dubbio sul dolo, pur essendo i fatti materialmente provati.

Contro la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale, la parte civile e diversi imputati, ciascuno per contestare specifici punti della decisione, dalla qualificazione giuridica dei fatti alla valutazione delle prove e alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati.

La responsabilità del promotore finanziario nella bancarotta fraudolenta

Uno dei punti cruciali del ricorso riguardava la posizione del promotore finanziario. La Corte d’Appello lo aveva assolto dall’accusa di truffa, ritenendo che fosse stato a sua volta ingannato dall’ideatore del piano criminale. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto questa motivazione carente e contraddittoria. Secondo la Suprema Corte, il promotore era perfettamente consapevole che il progetto di investimento era mutato da immobiliare a finanziario, divenendo estremamente aleatorio. Nonostante ciò, non ha informato i suoi clienti, tacendo dati essenziali e ricevendo in cambio provvigioni sproporzionate (fino al 30%), palesemente fuori mercato. Questo comportamento, unito alla sua professionalità, non poteva essere derubricato a semplice colpa, configurando invece una piena complicità nella truffa.

Le operazioni dolose e la bancarotta fraudolenta

Per quanto riguarda il reato di bancarotta fraudolenta, gli imputati sostenevano che l’operazione di emissione di un prestito obbligazionario convertibile (POC) non avesse causato un danno patrimoniale concreto alla società fallita, ma anzi avesse apportato liquidità. La Cassazione ha respinto questa tesi, confermando l’analisi dei giudici di merito. L’operazione era solo apparentemente vantaggiosa: a fronte di un debito certo, la società aveva ricevuto un corrispettivo fittizio o evanescente, aggravando così il proprio dissesto finanziario. La Corte ha ribadito che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose non richiede una distrazione diretta di beni, ma si configura anche quando si pongono in essere iniziative societarie complesse che, pur senza un’immediata diminuzione patrimoniale, compromettono irrimediabilmente l’equilibrio economico della società.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente ad alcuni punti specifici, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame. In particolare, è stato disposto l’annullamento con rinvio per la valutazione della responsabilità civile del promotore finanziario per il reato di truffa, alla luce dei vizi di motivazione rilevati. Allo stesso modo, è stata annullata la condanna per due amministratori per il reato di bancarotta documentale, poiché la Corte d’Appello non aveva adeguatamente motivato in merito al dolo specifico richiesto dalla norma.

Per il resto, i ricorsi degli imputati sono stati rigettati. La Corte ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta legata alle operazioni dolose, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello immune da vizi logici. Ha inoltre dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale per vizi di specificità e perché basato su una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati societari e finanziari. In primo luogo, sottolinea la gravità della condotta del professionista (in questo caso, il promotore finanziario) che, venendo meno ai suoi doveri di informazione e correttezza, si rende complice di truffe ai danni dei clienti. La percezione di compensi anomali e sproporzionati è un forte indizio della consapevolezza dell’illiceità dell’operazione.

In secondo luogo, la Corte consolida l’interpretazione estensiva del reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose, includendovi tutte quelle manovre societarie che, pur complesse e prive di una distrazione immediata, sono intrinsecamente fraudolente e destinate a peggiorare la situazione di un’impresa già in crisi. La decisione finale evidenzia l’importanza di una motivazione rigorosa e completa da parte dei giudici di merito, specialmente quando si tratta di valutare l’elemento psicologico del reato in contesti finanziari complessi.

Quando un promotore finanziario è complice in una truffa ai danni dei suoi clienti?
Secondo la sentenza, un promotore finanziario è complice quando, pur essendo consapevole della natura artificiosa e aleatoria di un investimento, omette di informare i propri clienti e anzi li rassicura, spinto da un interesse personale come la percezione di provvigioni palesemente sproporzionate e fuori mercato. Il suo silenzio e le sue rassicurazioni diventano un contributo causale essenziale alla riuscita della truffa.

Un’operazione societaria che non sottrae beni può comunque costituire bancarotta fraudolenta?
Sì. La Corte ha chiarito che il reato di bancarotta per operazioni dolose non richiede necessariamente una distrazione o dissipazione di beni. Si configura anche attraverso operazioni complesse, come aumenti di capitale fittizi o l’assunzione di debiti a fronte di corrispettivi inesistenti, che aggravano in modo irreversibile lo stato di dissesto della società, anche senza un’immediata diminuzione del patrimonio netto.

Perché la Corte ha annullato la condanna per bancarotta documentale?
La condanna per bancarotta documentale è stata annullata con rinvio perché la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione adeguata sul dolo specifico richiesto per questo reato. Non è sufficiente provare la semplice omissione della tenuta delle scritture contabili, ma è necessario dimostrare che tale omissione fosse finalizzata a creare un danno ai creditori o a procurare un vantaggio ingiusto, un aspetto che i giudici di merito non avevano approfondito a sufficienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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