Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36278 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36278 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a Piacenza il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME NOME Gropparello il DATA_NASCITA
NOME NOME a San COGNOME (Svizzera) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2024 della Corte d’appello di Bologna
Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugNOME perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione;
uditi i difensori e, in particolare, l’avvocato COGNOME NOME, quale sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME, che si riporta alla rinuncia al ricorso presentata a mezzo pec nell’interesse di COGNOME NOME; l’avvocato COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso; l’avvocato COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; l ‘avvocato COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Piacenza, ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di cui al capo 10), relativo alla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali di cui all’art. 5 D. Lgs. n. 74 del 2000 e ha ridetermiNOME in mitius la pena in relazione al capo 8) -per quanto di interesse: artt. 110 cod. pen., 216, 219 comma 1, 223 co. 1 R.D. n. 267/42, con l’aggravante dell’aver cagioNOME un danno patrimoniale di rilevante gravità- per il quale era intervenuta condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione della somma di euro 18.730.060,00, corrispondente all’IVA evasa dal 2006 al 2010 mediante annotazione e utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è stato ascritto a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, componenti del consiglio di amministrazione (NOME presidente, gli altri due consiglieri delegati) della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 25 febbraio 2011.
La sentenza di secondo grado ha revocato le pene accessorie ex art. 12 d. lgs. 74/2000 e la confisca per equivalente.
In estrema sintesi, secondo l’ipotesi accusatoria, i ricorrenti si sono adoperati per creare l’interposizione della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto svizzero, a loro riconducibile, dotandola di una rappresentanza fiscale in Italia; per gestire ed organizzare, con il proprio personale ed i propri mezzi, un sistema di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse dalla suddetta rappresentanza fiscale in capo a RAGIONE_SOCIALE, che acquistava partite di legname proveniente dalla Russia o dalla Polonia (a loro volta riconducibili al gruppo RAGIONE_SOCIALE), che, apparentemente, fatturavano alla svizzera COGNOME senza scontare l’IVA; a sua volta COGNOME, tramite la rappresentanza fiscale, fatturava le stesse merci a RAGIONE_SOCIALE, che faceva figurare il pagamento del corrispettivo e dell’IVA in capo alla suddetta rappresentanza; quest’ultima , incassato il corrispettivo della fattura, non versava il tributo allo Stato italiano e, successivamente, compensava il debito IVA con l’utilizzo di fatture passive per operazioni inesistenti o, in alternativa, non presentava le dichiarazioni tributarie; il pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE veniva materialmente eseguito con bonifici su conto svizzero, intestato formalmente a RAGIONE_SOCIALE, ma, in realtà, nella persistente disponibilità degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE, i tre ricorrenti; tali importi venivano distratti dagli stessi soggetti, amministratori di diritto di RAGIONE_SOCIALE e, di fatto, di COGNOME, in danno dei creditori della RAGIONE_SOCIALE.
È stato presentato da COGNOME e COGNOME, a patrocinio di difensori abilitati, ricorso per cassazione articolato in quattro motivi , sintetizzati a mente dell’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo è dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b ) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla prescrizione del reato di cui al capo 8). Nel dettaglio, si ritiene che la
Corte abbia erroneamente mancato di qualificare come finalizzato a garantire un termine per la difesa e la funzione cognitiva del processo il rinvio disposto il 23.12.2016 (durato 104 giorni) e motivato dalla richiesta congiunta delle parti, conseguente peraltro all’invito del G.U.P., di ottenere un rinvio per valutare la possibilità di richiedere riti alternativi. Di conseguenza, tale periodo non andrebbe conteggiato come fase di sospensione della prescrizione, come invece reputat o dalla Corte d’Appello sulla base di una scorretta applicazione delle norme sulla prescrizione e di contraddittorietà esterna rispetto al contenuto dei verbali di primo grado. Inoltre, il termine finale di prescrizione sarebbe stato computato dalla Corte d’Appello ritenendo operativa l’aggravante di cui all’art. 219 comma 1 l. fall., senza tuttavia spiegare perché abbia ritenuto che il Tribunale l’ avesse concretamente applicata. Inoltre, il punto della sentenza relativo all’aggravante non è stato impugNOME dal pubblico ministero, così da precluder e alla Corte d’Appello di ritenerne la sussistenza.
2.2. Il secondo motivo denuncia il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b ) ed e) cod. proc. pen. in relazione al reato di bancarotta per distrazione di euro 18.730.060,00 di cui al capo 8). La motivazione della sentenza, infatti, sarebbe affetta da contraddittorietà nell’indicare la GL Marriot come inesistente (presupposto necessario, si sostiene , per l’inesistenza soggettiva delle fatture), per poi riconoscerne l’operatività nei rapporti commerciali, oltre a prendere atto di tale esistenza a fondamento del l’assoluzione per la distrazione di 2,1 milioni di euro e per la condanna per il reato fiscale. In secondo luogo, si sostiene che la condotta contestata come distrazione non integrerebbe la fattispecie di cui all’art. 216 l. fall., poiché la RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto, come corrispettivo del versamento del prezzo comprensivo di IVA, merce del valore corrispondente, che ha rivenduto con profitto; inoltre, poiché la condotta contestata, oltre a distinguersi da quella tipicamente distrattiva per la complessità strutturale ritenuta in sentenza, sarebbe stata posta in essere in tempi non sospetti e al di fuori della zona di rischio penale, e non avrebbe generato alcun pericolo concreto per le ragioni dei creditori di RAGIONE_SOCIALE.
2.3. Con il terzo motivo è lamentato il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b ), c) ed e) cod. proc. pen. con riferimento alla violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale. La Corte d’Appello avrebbe infatti, pur correttamente richiama ndo i principi nazionali e sovranazionali in materia, errato nel dichiarare la non identità del fatto storico tra il reato di cui al capo 8) per cui è giunta condanna e i reati tributari per cui è intervenuta la prescrizione, essendo questi ascrivibili alla medesima condotta materiale, a nulla rilevando il diverso evento lesivo, su cui avrebbe fondato la propria decisione la Corte. Inoltre, tale motivazione sarebbe anche contraddittoria, poiché il collegio avrebbe individuato le condotte fiscali come segmenti di quella fallimentare, certificando la sovrapposizione tra le fattispecie, negando però impropriamente l’applicazione del ne bis in idem sulla base dell’ assunta offesa a beni giuridici diversi, nonostante l’aggancio ai superiori principi che pongono come elemento cardine l’identità storica , e non giuridica, del fatto.
2.4. Il quarto motivo censura l’erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà manifesta della motivazione in ordine alla commisurazione della pena e alla mancata
concessione delle attenuanti generiche, poiché la Corte bolognese avrebbe – come già evidenziato nel primo motivo – apoditticamente (e dunque con motivazione apparente) affermato l’avvenuta applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 219 comma 1 l. fall., oltre all’errore nell’applicazione dell’art. 133 cod. pen.. A tal fine, infatti, avrebbe preso in considerazione solo il criterio della gravità della condotta, senza effettuarne una valutazione complessiva alla luce di tutti i parametri citati dal l’articolo di legge. La motivazione sarebbe, infine, carente ed illogica rispetto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, poiché non terrebbe conto del fatto che le condotte addebitate ai ricorrenti non avrebbero dato causa al fallimento, né del comportamento processuale tenuto dai medesimi dopo i fatti (rilevante ex art. 133 cod. pen.) e del lungo tempo trascorso tra questi ultimi e la sentenza.
Il ricorso di COGNOME è affidato a quattro motivi , anch’essi suntivamente richiamati ai sensi dell’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Con il primo motivo è lamentata violazione ed errata applicazione delle norme sovranazionali in materia di ne bis in idem , avendo la Corte d’Appello, pur avendo correttamente richiamato i principi della CEDU in materia, valorizzato esclusivamente la finalità della condotta posta in essere dall’COGNOME allo scopo di considerarla come condotta distinta da quelle tipiche dei reati tributari contestati e dichiarati prescritti.
In particolare, la Corte avrebbe erroneamente fondato la distinzione tra i fatti storici sull’intenzione in un caso di agire in frode al fisco e nell’altro di agire in danno dei creditori; distinzione questa non solo insufficiente alla luce dei principi richiamati, ma anche insufficiente e contradditoria rispetto alla trattazione svolta in tema di elemento soggettivo del reato, dalla quale la Corte sembra sì trarre la consapevolezza del pericolo per i creditori, ma non la specifica intenzione fraudolenta del ricorrente.
3.2. Con il secondo motivo è denunciata violazione ed errata applicazione dell’art. 216 l. fall., poiché la Corte non avrebbe motivato adeguatamente in punto di elemento soggettivo del reato. L’analisi svolta sul dolo generico risulterebbe infatti incompleta, avendo il Collegio desunto la consapevolezza del concreto pericolo per i creditori da un corredo probatorio insufficiente a tale fine, e senza confrontarsi con dichiarazioni del ricorrente, da cui parrebbe invece prioritario l’interesse a garantire la continuità aziendale.
3.3. Il terzo motivo di censura si appunta sulla violazione ed errata applicazione delle norme relative alla commisurazione della pena e alle attenuanti generiche, non concesse senza peraltro motivare adeguatamente.
L’esclusione delle attenuanti generiche al fine di garantire la funzione retributiva e specialpreventiva della pena appare infatti contrastante con la precedenza attribuita alla finalità rieducativa della pena, che nel caso di specie sarebbe ancor più significativa, data l’età del ricorrente. Anche in termini di prevenzione speciale la decisione non coglierebbe nel segno essendo il ricorrente incensurato. Infine, è sottolineato come il Collegio non avrebbe considerato tali fattori nel percorso motivazionale della decisione.
3.4. Il quarto ed ultimo motivo deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 133 cod. pen. e 219 l. fall.. La Corte d’Appello avrebbe omesso la motivazione relativamente all’aumento di pena di cui all’art. 219 l. fall., non essendo comprensibile se la circostanza aggravante sia stata correttamente applicata , in assenza di un’analisi concentrata sul l’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale di rilevante gravità; danno che, parametrato al gruppo d’imprese in esame, sarebbe invece perfettamente in linea con il fatturato medio e il volume d’affari. In fine, la pena non sarebbe stata parametrarla all’intensità del dolo.
Il AVV_NOTAIO Generale presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO COGNOME, ha anticipato articolate conclusioni scritte alla trattazione orale richiesta dalle difese, con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza impugNOME senza rinvio per intervenuta prescrizione.
La difesa di COGNOME e COGNOME ha tempestivamente depositato motivi nuovi, con cui ha insistito nei motivi di ricorso a riguardo del primo motivo del ricorso principale; a riguardo del secondo motivo, aggiungendo che non vi sarebbe prova della distrazione delle risorse quantificate nel capo d’imputazione e, in particolare, della destinazione illecita dei bonifici eseguiti da COGNOME, su ordine di COGNOME e COGNOME, sul conto corrente di COGNOME e la sentenza impugNOME avrebbe offerto motivazione apodittica; e a riguardo del motivo sul trattamento sanzioNOMErio, in quanto la Corte di secondo grado avrebbe illegittimamente ed arbitrariamente fatto rivivere l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, esclusa in prime cure; inoltre, la gravità del fatto sarebbe stata valorizzata più volte, per la quantificazione del trattamento sanzioNOMErio e per negare le attenuanti generiche.
Il difensore di COGNOME e COGNOME ha trasmesso memoria di replica alle conclusioni del AVV_NOTAIO Generale; non vi sarebbe prova della ‘retrocessione’ delle somme pagate da RAGIONE_SOCIALE a GL RAGIONE_SOCIALE agli amministratori della prima per fini personali, come d’altro canto nemmeno contestato nell’imputazione; NOME ha acquistato la merce da GL RAGIONE_SOCIALE ed avrebbe regolarmente pagato le fatture; ha rivenduto la merce, ne ha tratto guadagno e quest’ultimo sarebbe stato destiNOME a garanzia dei creditori; se anche una parte delle somme fosse stata resa a RAGIONE_SOCIALE, non vi sarebbe prova del loro utilizzo per fini extrasociali, desunta in modo congetturale soltanto dalla consulenza tecnica del pubblico ministero, che avrebbe semplicemente fatto leva sulle dichiarazioni del teste COGNOME, che, a sua volta, avrebbe meramente riferito di non essere a conoscenza della sorte di alcune risorse.
Deve essere previamente rilevata l’improduttività di effetti della rinuncia al ricorso per cassazione trasmessa telematicamente dal difensore di fiducia dell’imputato COGNOME, privo di procura speciale conferita ad hoc dall’assistito.
È inefficace l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione non sottoscritto dall’interessato, ma dal solo difensore sprovvisto di procura speciale, posto che la rinuncia, non costituendo esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione inequivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale (sez. 2, n. 49480 del 31/10/2023, COGNOME, Rv.285663; sez. U n. 12603 del 24/11/2015, COGNOME, Rv.266244).
Necessariamente preliminare, per i potenziali, decisivi riflessi della soluzione della questione sulla estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione , è la tematica dell’assunta insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 219 comma 1 L.F. , regolarmente contestata nell’editto imputativo, sul presupposto dell’avvenuta sua esclusione ‘implicita’ sin dal giudizio di primo grado.
2.1. La ragione di ricorso non merita pregio e si rivela inammissibile, sotto diverse angolature.
Per un verso, la sentenza del giudice di prima istanza (pag. 406) -che pure non ha citato direttamente la circostanza aggravante, ma neppure l’ ha nominatim esclusa – ha, purtuttavia e con proposizioni coerenti con la decisione del grado successivo, stigmatizzato lo spiccato disvalore sociale delle condotte ‘in ragione del danno arrecato’ e la ‘gravità della condotta caratterizzata da una considerevole offensività, alla luce degli elevatissimi importi distratti’. Volgono, a favore dell’interpretazione della volontà del primo giudice di riconoscere la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fallimentare , l’avvenuta esclusione espressa delle altre due circostanze aggravanti contestate, della transnazionalità e della recidiva; ed il tenore esplicito del dispositivo, che ha condanNOME gli imputati per il reato di bancarotta e rinviato testualmente al ‘capo 8)’, a sua volta comprensivo della indicazione dell’articolo di legge 219 comma 1 R.D. n. 267 del 1942 -e, quanto alla evidenziazione della condotta adottata, dell’aver i medesimi cagioNOME un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Le eventuali carenze di tenuta della motivazione, ravvisabili a riguardo della ravvisata ricorrenza della circostanza aggravante in parola, avrebbero dovuto essere lamentate dagli imputati c on l’atto di gravame , che, però, non ha formulato uno specifico motivo, né vi è cenno, nella formazione degli altri motivi, alla tesi difensiva trasfusa soltanto nel ricorso per cassazione, con la conseguente inammissibilità originaria della relativa censura, a mente dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen. (in motivazione, sez. U ord. n. 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213981).
Per altro verso, è radicato canone ermeneutico quello secondo cui il giudice del gravame, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto e conformemente al principio di integrazione tra sentenza di primo grado e sentenza di appello, può arricchire la motivazione
della sentenza impugNOME che non abbia specificato il calcolo effettuato per giungere alla pena finale, trattandosi di lacuna che non dà luogo ad alcuna nullità (sez.3, n. 9695 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286029; sez.5, n. 13435 del 04/03/2022, Coman, 282878). Si tratta di un corollario del più AVV_NOTAIO dictum di sez. U n. 3287 del 27/11/2008, R., Rv. 244118, in base al quale la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante; ed espressione di perspicue coordinate interpretative tracciate anche nella vigenza del codice previgente, come si trae da sez.3, n. 2897 del 26/10/1965, D’Auria, Rv. 100658, in virtù dell e quali ‘a norma dei principi che regolano la materia, il giudice dell’appello, come si desume dagli artt. 515 e seguenti cod. proc. pen., nell’ambito del giudizio deferitogli coi motivi di impugnazione, ed allorché non debba riconoscere una delle nullità di cui all’art 522, è tenuto anche a completare ed a perfezionare integrandola, se del caso, la motivazione del primo giudice, col rispetto solo del divieto della reformatio in pejus ove appellante sia il solo imputato. Non merita adunque censura il giudice di appello, se, nello stabilire la congruità delle pene inflitte dal primo giudice senza che questo avesse in motivazione specificato il calcolo attraverso il quale era pervenuto a determinarla, addiviene a tale calcolo e, stabiliti così la pena base e gli aumenti per le aggravanti e la continuazione, determina la pena nella stessa misura fissata dal provvedimento impugNOME‘.
Se così è, la Corte territoriale, che si è pronunciata sulla sussistenza della circostanza aggravante e ne ha tenuto conto nella determinazione del trattamento sanzioNOMErio, ha espletato un potere riconosciuto dall’ordinamento.
Si presentano ineccepibili, pertanto, gli enunciati della decisione impugNOME, lì dove ha: ritenuto ritualmente asseverato l’elemento accidentale aggravatore in discorso e sottolineato la gravità del fatto, l’ingente entità della somma distratta, oltre 18 milioni di euro, il considerevole danno arrecato alla massa dei creditori; per l’effetto, rimarcato come il provvedimento di primo grado, per COGNOME e COGNOME, si sia discostato dal minimo edittale ‘comprensivo dell’aumento per l’aggravante di cui all’art. 219 legge fallimentare, sicuramente ricorrente nel caso di specie, attesa l’entità della distrazione perpetrata (anni quattro di reclusione, aumentati della metà ex art. 219 legge fallimentare)’; aggiunto, infine, come deponga in senso univoco la risoluzione adottata dal giudice di prime cure con riferimento alla posizione dei tre imputati, concorrenti nel medesimo reato, con il contestuale aumento della metà -prevista, appunto, dall’elemento circostanziale in disamina -della rispettiva pena-base, modulata sui minimi assoluti del reato (4 anni per COGNOME e COGNOME, 3 anni per COGNOME). E si deve rilevare, in proposito, la palese infondatezza di quanto confutato dalla difesa di COGNOME e COGNOME a riguardo del trattamento riservato in secondo grado all’imputato COGNOME, che non è stato condanNOME per il reato di bancarotta fraudolenta ma, in prime cure,
soltanto per il reato tributario di cui all’art. 5 D. Lgs. n. 74 del 2000 e la sua posizione è stata valutata autonomamente rispetto a quella degli altri imputati.
Il quarto motivo del ricorso di COGNOME e COGNOME -ed il motivo nuovo – ed il quarto motivo del ricorso di COGNOME, in quanto attinenti all’eccezione di prescrizione così sollevata, precipitano, dunque, nell’alveo dell’inammissibilità, con assorbimento del primo motivo del ricorso di COGNOME e COGNOME e del motivo nuovo sviluppato sul tema della legittimità della sospensione del termine di prescrizione per giorni 104, a causa del rinvio dell’udienza preliminare tra il 23 dicembre 2016 ed il 6 aprile 2017, evidentemente superato dall’incidenza, su detto termine, della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui si è trattato.
2.2. Le conclusioni così declinate dalla Corte territoriale sono, del resto, coerenti con i riflessi sostanziali della circostanza aggravante dell’art. 219 comma 1 del R.D. n. 267 del 1942, perché la quantificazione del danno arrecato alla massa dei creditori deve essere parametrata all’entità della distrazione contestata e accertata e nello specifico estremamente ed ‘oggettivamente’ ragguardevole (euro 18.730.000), in linea con i principi ermeneutici espressi da questa Corte di Cassazione, in virtù dei quali, in tema di reati fallimentari, l’entità del danno provocato dai fatti consumativi della bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale (sez.5 n. 49642 del 02/10/2009, COGNOME, Rv. 245822; sez.5, n. 13285 del 18/01/2013, COGNOME, Rv. 255063; sez.1, n. 12087 del 10/10/2000, COGNOME, Rv.217403; sez. 5, n. 8037 del 03/06/1998, COGNOME, Rv. 211637) e non all’entità del passivo o della differenza tra l’attivo ed il passivo della procedura fallimentare. Affermazione, quest’ultima, relativa alla configurabilità della circostanza aggravante sulla base dell’entità del danno provocato dal fatto di bancarotta e indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo, che mette in luce come la circostanza aggravante possa essere integrata anche in presenza di un danno derivante dal fatto di bancarotta che, pur essendo, oggettivamente e di per sé, di rilevante gravità, rappresenti una frazione “non rilevante” del passivo globalmente considerato.
E non potrebbe opinarsi diversamente, nel caso in discussione, alla luce del principio di diritto -che ha inteso precisare i contorni della figura circostanziale – secondo il quale la circostanza aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità” di cui all’art. 219, comma 1, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave (sez.5, n. 48203 del 10/07/2017, Meluzio, Rv. 271274). Invero, alla data dell’audizione del curatore fallimentare nel corso del processo di primo grado (30 aprile 2019) l’attivo realizzato era di euro ‘8.600.000/8.700.000’, a fronte di un passivo, alla data del fallimento, di non meno di 115 milioni (cfr. pag. 47 decisione del Tribunale); la ‘voragine’ tra l’attivo ed il passivo fallimentare si pone come indicativa e rafforzativa del perfezionamento del danno patrimoniale di rilevante entità, perché
all’ingente valore delle risorse sottratte con la distrazione corrisponde un pregiudizio complessivo di enorme rilevanza.
Prima di affrontare le altre censure dei ricorsi, occorre brevemente premettere che – a riguardo della deliberazione di condanna degli imputati per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione – ci si trova al cospetto di due provvedimenti di merito che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, nel cui ambito entrambe le pronunzie hanno offerto puntuale e ragionevole giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dei ricorrenti.
L’esito del giudizio di responsabilità -in sede di legittimità – non può essere invalidato da prospettazioni alternative, sostanzialmente risolventesi, come variamente avvenuto nel caso in esame, nella sollecitazione ad una rielaborazione degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa del contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; sez. U n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Tracciate le coordinate esegetiche a cui ci si atterrà, il secondo motivo del ricorso di COGNOME e COGNOME -con il motivo nuovo – e il secondo motivo del ricorso COGNOME sono inammissibili, perché, da un lato, tendenzialmente finalizzati a sollecitare una non consentita rilettura degli elementi probatori assemblati ed apprezzati nel giudizio di merito e , dall’altro, affetti da genericità estrinseca: difettano, cioè, di compiuto confronto con le circostanziate ed esaustive repliche, articolate dalla Corte territoriale, alle identiche censure dell’atto di gravame; taluni profili, inoltre, sono connotati da manifesta infondatezza.
Non rileva, in ottica difensiva (es. pag.149 sentenza ), che l’amministrazione finanziaria prima e l’autorità giudiziaria poi abbiano ritenuto di contestare l’illecito di omessa dichiarazione IVA anche a GL RAGIONE_SOCIALE, snodo che non risulta per nulla eccentrico nei casi di interposizione fittizia di società cc.dd. cartiere o di società-schermo, come rimarcato da pluriennale giurisprudenza di legittimità, al lume della quale il delitto di omessa dichiarazione a fini
dell’I.V.A. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione (sez.3, n. 32500 del 06/06/2018, COGNOME, Rv. 273697; sez. 3, n. 39177 del 24/9/2009, COGNOME, Rv. 241267; cfr. anche sez.3, n. 38599 del 18/04/2019, COGNOME, n.m., che si è occupata di una vicenda di ascrizione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti all’amministratore di una ‘cartiera’ . Ciò che importa, del resto, è che quest’ultima società sia stata ritenuta, con un corredo giustificativo logico e soddisfacente, soggetto interposto nell’ambito dei rapporti commerciali oggetto di contestazione, con l’effetto dell’imputabilità dei redditi tassabili all’interponente poi fallito, che ne ha evaso l’imposizione e, contestualmente o successivamente, li ha distratti.
Del resto, l’art. 37 comma 3 D.P.R. n. 600 del 1973, enfatizzato nel ricorso di COGNOME e COGNOME , è riferito indifferentemente all’interposizione fittizia e all’interposizione reale: esso opera in caso di scissione tra l’apparente titolarità e la disponibilità concreta ed effettiva del reddito imponibile e consente di ‘aggredire’ il soggetto giuridico che sia il titolare reale dei redditi che solo formalmente figurino come appartenenti ad altri. COGNOME aveva una rappresentanza fiscale in Italia, prevista ratione temporis fino all’introduzione del regime dell’inversione contabile (pag. 30 e seg. sent. app.), il cui ruolo era proprio quello di fungere da entità giuridica deputata , ufficialmente per conto dell’impresa elvetica, all’assolvimento degli obblighi tributari in Italia, a prescindere dall’esistenza, o meno, di stabil e struttura organizzativa in territorio italiano. Tale ‘stabile organizzazione in Italia’, ove configurabile, è stata fatta coincidere dalla decisione impugNOME con la sede piacentina di RAGIONE_SOCIALE, ma con la prospettiva di svolgere ‘attività di falsa fatturazione’ orchestrata di concerto dagli imputati e materialmente realizzata dal personale di RAGIONE_SOCIALE, come congruamente e nel dettaglio ripercorso in parte motiva.
Non rileva l’assoluzione, pronunciata in prime cure, dall’addebito di bancarotta fraudolenta per distrazione dell’importo di euro 2.150.802, sul presupposto che non vi fosse prova appagante dell’illecita veicolazione delle risorse da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, in ragione, tuttavia, della non (ancora) intervenuta fatturazione da parte di quest’ultima, perché come ripetutamente esplicitato, con dovizia di argomenti, dalle conformi sentenze di merito, il maquillage della ritualità della movimentazione ‘cartolare’ delle merci -oggettivamente ‘vere’, destinate a RAGIONE_SOCIALE dalle fornitrici estere russe e polacche – ha rappresentato costante metodica di dissimulazione del meccanismo fraudolento utilizzato dagli imputati per eludere il fisco e per distrarre le risorse non versate all’Erario , sulla quale la contingente assenza di singole fatturazioni, collegate a singoli pagamenti anticipati, non assume alcuna rilevanza.
4.1. Come noto, in tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è predicabile anche nel caso di fatturazione soltanto soggettivamente falsa, in cui l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e non
vi sia, tuttavia, corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto, anche in tal caso, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma, ovvero consentire a terzi ( da parte dell’emittente, n.d.r. ) l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (sez.3, n. 16576 del 01/03/2023, Magnanensi, Rv. 284494; sez. 3, n. 24307 del 19/01/2017, Cortella, Rv. 269986; sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, dep. 28/05/2010, COGNOME e altro, Rv. 247110; sez. 3, n. 14707 del 14/11/2007, dep. 09/04/2008, COGNOME e altri, Rv. 239658).
Le obiezioni riguardanti il ‘tema dell’operatività di RAGIONE_SOCIALE nei rapporti con RAGIONE_SOCIALE‘, per addurne le caratteristiche di un’azienda in ordinario funzionamento, sono travolte dalla patologia dell’inammissibilità perché si soffermano sulle valutazioni operate dalla sentenza impugNOME a riguardo del sostrato fattuale e della concatenazione degli elementi di prova, svolgendo in proposito improponibili considerazioni di merito. La sentenza impugNOME, con enunciati piani, approfonditi e non illogici, ha ben esplicitato che nelle annualità immediatamente postume alla cessione, da parte di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, delle partecipazioni nelle società russe, gli amministratori dell’acquirente, divenuta capogruppo, avessero avvertito l’esigenza di una sorta di ‘traghettamento’ nel mercato della compravendita del legname, che ha comportato una permanenza di GL nel medesimo ambito commerciale, per l’utilità che contatti, conoscenze del settore, Know how , avviamento e fattori produttivi in AVV_NOTAIO avrebbero potuto apportare alle ambizioni espansionistiche dei referenti di RAGIONE_SOCIALE. In un secondo momento, gli imputati del processo, attuali ricorrenti, hanno ‘utilizzato’ la GL, di cui erano amministratori di fatto -ed indipendentemente dalla contestuale intercorrenza di ‘altri rapporti, servizi o commerci’ – per conseguire gli indebiti vantaggi di natura tributaria illustrati in motivazione, a loro volta strumentali alla ulteriore deprivazione delle consistenze economiche della società, a detrimento delle garanzie creditorie.
La solidità, la sequenza e la convergenza degli elementi di prova, storici e rappresentativi, posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità degli imputati, e con i quali i tre ricorsi omettono di confrontarsi, emerge di ogni evidenza da pag. 115 della sentenza, a riguardo della riferibilità delle società interessate, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, alla medesima compagine direttiva e, in particolare, ai tre imputati (quanto al ruolo di COGNOME, cfr. pagg. 163 e segg.); agli esiti di perquisizioni, sequestri, agli accertamenti documentali, al compendio intercettivo (quest’ultimo, analizzato con inferenze ineccepibili da pag. 143), tali da comprovare la ‘promiscuità’ delle regie delle società, nella interoperatività dei rapporti commerciali e nella cura delle registrazioni contabili, convogliata ed eseguita negli uffici di Piacenza della RAGIONE_SOCIALE, a mezzo di personale di quest’ultima, sotto la direzione di COGNOME e COGNOME; alla comune gestione dei conti correnti bancari delle due società, agli anomali viaggi in Svizzera, finalizzati al ritiro di somme contanti dai conti della GL, destinate a RAGIONE_SOCIALE; alla costituzione delle rappresentanze fiscali di RAGIONE_SOCIALE in Italia, organizzata da COGNOME e COGNOME anche con il reclutamento di prestanome compiacenti; all’occultamento della contabilità di GL
COGNOME per sottrarla ai controlli delle autorità; ai marchingegni adottati con il ‘circuito’ della fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da COGNOME, generativo di elementi attivi a cui seguiva la necessità di compensare il maturato debito IVA con l’annotazione e l’utilizzo di fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti; al ruolo strategico di COGNOME, che, su disposizione di COGNOME e COGNOME, operava sui conti svizzeri ricondotti ad COGNOME ed eseguiva bonifici, per importi ingenti, che trasferivano la ‘provvista’ accumulata con le somme destinate al versamento dell’IVA a favore di soggetti terzi, al di fuori di una tracciabilità funzionale alla conservazione dell’integrità patrimoniale dell’impresa poi fallita (cfr. ad esempio, pag. 165, ove sono censurate talune operazioni di dirottamento di risorse a favore di enti o società riconducibili ad COGNOME).
4.2. Quanto alla natura del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763) ha bene affermato che «il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare», di modo che «l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa». In sostanza, si è voluto porre l’accento sulla necessità che l’interprete, dinanzi ad un atto cronologicamente distaccato, in modo significativo, dall’epilogo della vita dell’impresa, che, impegnando il patrimonio della stessa, ne riduca la consistenza, onde valutare la sua concreta idoneità lesiva rispetto alla garanzia dei creditori, integrante il bene giuridico protetto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, e apprezzare la proiezione psicologica di tale profilo di offensività nel soggetto agente, si avvalga di «criteri ex ante», che, in relazione alle caratteristiche complessive dell’atto stesso e della situazione finanziaria della società siano tali da giustificare l’effettiva idoneità di quell’atto a generare una situazione di squilibrio finanziario dell’impresa potenzialmente permanente e da offrire plausibile riscontro dell’esistenza nell’imprenditore della coscienza e volontà di esporre in tal modo a pericolo gli interessi della massa dei creditori. Ciò non esclude, tuttavia, che «il reato possa rimanere integrato da comportamenti, anche antecedenti alla fase finale della vita della azienda, che presentino caratteristiche obiettive (si pensi alla operazione fittizia, alla distruzione o alla dissipazione) che, di regola,
non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano congruenti rispetto all’evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all’agente» (così Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, in motivazione, pag. 12, primo capoverso).
Dunque, secondo l’interpretazione offerta dalle sentenze citate ormai consolidata in seno alla giurisprudenza di legittimità -il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare non punisce, sempre ed indifferentemente, qualsiasi atto in diminuzione del patrimonio della società, ma soltanto quegli atti che quell’effetto sono idonei a produrre in concreto, «con esclusione di quelle operazioni o iniziative di entità minima o comunque particolarmente ridotta e tali, soprattutto se isolate o realizzate quando la società era in bonis , da non essere capaci di comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio»; questo, però, non toglie che «vi siano casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” del fatto di bancarotta patrimoniale e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, in motivazione pag. 10, punto 4.4.).
Pertanto, mentre non è corretto affermare che ‘la concretezza del pericolo derivante dall’ingiustificato distacco patrimoniale debba essere apprezzata nella prospettiva della (prevedibile) futura insolvenza dell’impresa’, perché la specificità del potenziale pregiudizio per la massa dei creditori non richiede necessariamente che l’operazione lesiva del patrimonio sia realizzata in stretta correlazione con un dissesto in fieri , né che il coefficiente psicologico che la sorregge sia orientato, anche solo nei contorni della prevedibilità, verso lo stato di decozione, è principio radica to che la ricorrenza, nell’atto depauperat ore delle disponibilità dell’impresa, di caratteristiche di intima ‘fraudolenza’, sia più che sufficiente per attribuirvi la qualifica di ‘atto di distrazione’ che assume rilievo penale una volta intervenuta la declaratoria di fallimento.
In questa direttrice ermeneutica si inseriscono i noti, tuttora validi, canoni esegetici stabiliti dal massimo consesso nomofilattico, in virtù dei quali ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagioNOME il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804) ; e l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale
una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (sez. U Passarelli, cit., Rv. 266805).
In definitiva, ove l’atto di privazione patrimoniale sia perfezioNOME nell’ambito di un progetto criminoso -come avvenuto nel caso di specie, alla luce dell’incedere puntuale e meticoloso delle proposizioni delle pronunce in rassegna (creazione di fondi neri da sottrarre alla garanzia dei creditori) -diviene del tutto ininfluente e fuori fuoco interrogarsi sullo iato temporale (nel nostro caso, peraltro, nient’affatto significativo, dal momento che l’oggetto della distrazione è l’IVA evasa fino al 2010, lo stato di insolvenza è stato giudicato irreversibile almeno dall’ottobre 2010 e la dichiarazione di fallimento è del febbraio 2011 ) rispetto all ‘apertura della procedura concorsuale , sulle condizioni finanziarie dell’impresa o sulla esistenza di ‘piani di sviluppo aziendale’ al momento del (di per sé decettivo) drenaggio delle risorse.
L’evidenza ex se della condotta distrattiva, artatamente camuffata dalla fatturazione, rappresenta essa stessa indice non equivoco della consapevolezza dell’autore di porre in essere una condotta concretamente pericolosa nei termini sopra indicati, ben noto essendo che la prova dell’elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (vedi, con specifico riguardo alla truffa, ma sulla base di principi di carattere AVV_NOTAIO, sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908).
4.3. Anche la censura che prospetta la riconducibilità della condotta contestata a capo 8) alla tipicità della bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose -e non alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione -è manifestamente infondata. La Corte territoriale ha ravvisato la consumazione della bancarotta per distrazione osservando (pag.151) che ‘il sistema fraudolento era congegNOME in maniera tale che proprio attraverso l’interposizione fittizia di soggetto straniero nella fatturazione era possibile far transitare il denaro fuori dalle casse sociali della RAGIONE_SOCIALE verso l’estero, sì da consentire il successivo incameramento dell’IVA indebitamente compensata e non versata e da creare fondi neri al di fuori del territorio nazionale’. Ora, la decisione impugNOME, come d’altro canto il ricorso medesimo, ha richiamato il principio di diritto secondo cui i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma 1, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223 comma 2, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne
consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento ( ex multis , sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, Rv. 269019; sez. 5, n. 24051 del 15/05/2014, Rv. 260142; sez. 5, n. 17978 del 17/02/2010, Rv. 247247).
Si è allora chiarito, a corollario, che l’ipotesi di reato prevista dall’art. 223, secondo comma n. 2 della legge fallimentare, riguardante l’amministratore di una società dichiarata fallita che compie operazioni dolose idonee a cagionare il fallimento della società, concorre materialmente con l’ipotesi di distrazione, posta in essere dall’amministratore della società, dei beni conseguiti attraverso quelle operazioni. Il delitto di bancarotta fraudolenta, in tal caso, risulta aggravato ai sensi dell’art. 219, secondo comma n. 1 legge fallimentare, stante la pluralità dei fatti di bancarotta (cfr. in motivazione, sez.5, n. 40813 del 22/09/2022, RAGIONE_SOCIALE, n.m.; in motivazione, sez.5, n. 348 del 07/12/2021, COGNOME, Rv. 282396, § 3.2.; sez.5, n. 8708 del 24/06/1992, COGNOME, Rv. 191935). Si tratta, dunque, di condotte autosufficienti, diverse e distinte, che integrano una pluralità di reati diversi, sanzionati da pene diverse; e, naturalmente, non muta la natura del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione che la condotta distrattiva si collochi al culmine di un’operazione di maggior complessità, perché ciò che conta è il distacco dei beni dal patrimonio della società, produttivo di pregiudizio per i creditori con il suo successivo fallimento. Ed il trasferimento di denaro della società poi fallita, sine titulo , sul conto corrente di un ente terzo, sottratto all’utilizzazione per il soddisfacimento dei creditori della società stessa ed a prescindere dalla ‘retrocessione’ o meno della risorsa a beneficio dei suoi amministratori, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione ( ex multis , sez. 5, n. 11800 del 19/11/2010, COGNOME, Rv.249825; sez.5, n. 10220 del 19/09/1995, COGNOME, Rv. 203006).
E’ dunque ovvio che l’avvenuta esclusione della responsabilità degli imputati per il delitto di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 L.F. non si riverbera sulla configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, altrimenti riferito alla liquidità accumulata attraverso il sistematico ricorso alle fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti (emesse da GL e ricevute da RAGIONE_SOCIALE) e sottratta alle garanzie creditorie, quand’anche quest’ultimo artificioso apparato contabile non sia stato apprezzato dalle pronunce di merito come un complesso sistema autonomamente annoverabile tra le operazioni dolose punite dalla fattispecie di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 L.F..
Quanto, poi, all’indebita ‘compensazione dell’IVA’ le doglianze difensive non paiono considerare che si trattava di un ulteriore espediente escogitato dai ricorrenti, domini di entrambe le società, per abbattere il debito IVA della rappresentanza fiscale di COGNOME, che confezionava fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti; mentre
l’elaborazione di pagg.68 -71 del ricorso per cassazione, che pretenderebbe di riconoscere a RAGIONE_SOCIALE l’utilizzo di modalità commerciali virtuose e favorevoli ai propri creditori, risulta totalmente sganciata dalle emergenze probatorie pazientemente ripercorse nelle sentenze di merito e, in ogni caso, volta a sollecitare una mera e non autorizzata rivisitazione delle risultanze processuali.
5. Il terzo motivo del ricorso COGNOME ed il primo motivo del ricorso COGNOME ( quest’ultimo ha indicato erroneamente le pagine del provvedimento interessate dalla doglianza), che hanno riproposto la questione della violazione del principio del ne bis in idem sostanziale nel raffronto tra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo 8), per il quale è stata pronunciata la condanna, e le fattispecie di cui alla L. n. 74 del 2000, di cui i giudici del Tribunale e la Corte d’appello ha nno sancito l’estinzione per prescrizione, sono manifestamente infondati.
5.1. Come perspicuamente puntualizzato in motivazione da sez.5, n. 7054 del 5/02/2025, Poli, Rv.287617 (e ribadito da sez.5, n. 28528 del 24/06/2025, COGNOME, attualmente n.m.), è preliminare chiarire .
Con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, invocata dai ricorrenti a sostegno della tesi della ingiusta negazione del ne bis in idem sostanziale, la Corte costituzionale – che ha dichiarato illegittimo l’art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale -ha in realtà ridefinito il principio del ‘ne bis in idem’ processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l’opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell’ idem factum , e non dell’ idem legale , ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio ; è stata riaffermata la “dimensione esclusivamente processuale” del divieto di ne bis in idem, che “preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo” (Corte Cost., n. 200 del 2016 cit.; in motivazione, sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021, COGNOME).
Pertanto, in tema di ne bis in idem sostanziale, circoscritto al rapporto tra norme incriminatrici (sez.5, n.663 del 28/09/2021, Leto, Rv.282529), l ‘unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art.
15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, COGNOME, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, COGNOME, Rv. 232302). Il principio di specialità, che assurge a criterio euristico di riferimento (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, COGNOME, in motivazione), consente alla legge speciale di derogare a quella AVV_NOTAIO, nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la “stessa materia”. Deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma AVV_NOTAIO e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma AVV_NOTAIO (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, cit.). Il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale. Il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato (Sezioni Unite La COGNOME, cit.).
I principi giurisprudenziali così rapidamente rieditati danno risalto all’evidente infondatezza della eccezione formulata dalla difesa, perché le norme penali in analisi non regolano ‘la stessa materia’.
In disparte il pur decisivo rilievo secondo cui, nel nostro caso, non si discetta di fatti di reato contestati in procedimenti penali differenti, nel primo dei quali sia stata pronunciata sentenza irrevocabile e nel secondo dei quali sia stata nuovamente esercitata l’azione penale per il fatto che si assume già giudicato (casistica a cui si riferiscono il dictum della Consulta e i precedenti della giurisprudenza convenzionale, pure citata dai ricorrenti), è agevole osservare che:
– le condotte sono strutturalmente differenti, perché, ad esempio, i precetti che sanzionano le modalità di predisposizione fraudolenta dei modelli dichiarativi, nel campo tributario, attengono all’esposizione documentale dei dati richiesti dall’Erario e alla loro rispondenza alla condizione reddituale dell’imprenditore (‘ è punitochiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi’ ); la norma penale sulla bancarotta fraudolenta per distrazione riguarda l’indebita estromissione dei beni dell’imprenditore dal patrimonio dell’impresa, posto a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 2740 cod. civ. ( ‘è punito , se è dichiarato fallito, l’imprenditore che: 1) ha distratto in tutto o in parte i suoi beni’ ); e u n conto è l’evasione tributaria, ovvero l’omessa corresponsione delle somme strettamente destinate al gettito fiscale, a cui sono tenuti i cittadini secondo regole di parità e di capacità contributiva; altro conto è la veicolazione delle risorse, così indebitamente trattenute e non versate all’Erario con l’ideazione
del ‘filtro’ della società emittente delle fatture, co-gestita dalle medesime persone, dal patrimonio dell’ente per fini extrasociali, in contrasto con criteri di ragionevolezza imprenditoriale, che rappresentano quegli indici di fraudolenza che la rendono concretamente pericolosa per le aspettative del ceto creditorio nella sua totalità e consentono di sussumerla nel paradigma della bancarotta distrattiva;
-l’elemento soggettivo è diverso, perché i reati tributari sono connotati dal dolo specifico di evasione, mentre il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione richiede, come detto, il dolo generico;
i beni giuridici sono diversi (e dunque lo sono i soggetti passivi), perché l’interesse protetto dalla disciplina sui reati tributari è quello della riscossione delle debenze nell’ambito e nei limiti del diritto tributario (es. sez. 3, n. 53318 del 20/07/2018, Verdiglione, Rv.274424), mentre l’interesse sotteso al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale attiene alla salvaguardia del patrimonio dell’impresa in quanto garanzia di soddisfacimento della massa creditoria nella sua generalità, modulato in base ai criteri normativi della concorsualità (da ultimo, proprio in tema di confronto tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e bancarotta fraudolenta per distrazione, sez. 2, n. 1810 del 05/12/2024, NOME, Rv.287487, che ha posto l’accento anche sulla sostanziale diversità dei soggetti attivi, una platea più ampia nei reati tributari perché riferibili a tutti i contribuenti, ancorchè non imprenditori od organi societari di responsabilità; sui rapporti tra bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose ed emissione di fatture per operazioni inesistenti e sull’impossibilità di configurare l’ idem factum , sez.5, n. 15630 del 13/01/2022, Nastasi, Rv.282992).
Del resto, gli elaborati decisori in disamina hanno convenientemente stimato l’infondatezza della questione sollevata dalla difesa, ragioNOMEmente concordando per la non sovrapponibilità dei comportamenti realizzati con la commissione dei reati tributari e di quelli concomitanti o successivi, finalizzati a ‘mettere al sicuro’ gli importi dirottati da RAGIONE_SOCIALE sul conto svizzero , integranti la bancarotta distrattiva (pag. 352 primo grado, pag. 152 e segg. app.); così convergendo sulla distonìa degli elementi costitutivi delle rispettive fattispecie e non soltanto sulle caratteristiche dell’offesa all’interesse tutelato e, dunque, dell”evento’ in senso giuridico
.
Quanto alla doglianza, comune ai ricorrenti, che si è soffermata su presunte carenze di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche -quarto motivo di COGNOME e COGNOME e terzo e quarto motivo del ricorso COGNOME, da ritenersi infondati – è preliminare osservare che la ratio dell’art. 62-bis cod. pen. consiste nel “riequilibrare” il trattamento sanzioNOMErio nei casi in cui, per la contenuta gravità oggettiva e/o soggettiva del fatto, esso si riveli sproporzioNOME per eccesso anche solo con riferimento al minimo edittale. La disposizione fu, infatti, introdotta per rispondere all’esigenza di consentire un abbattimento della pena anche al di sotto del limite edittale là dove la limitata gravità (oggettiva e/o soggettiva) del fatto non giustifichi, secondo la valutazione (tecnicamente) discrezionale del giudice di merito, la risposta sanzioNOMEria prevista dalla cornice del modello
legale, quand’anche modulata nel minimo. Ciò, nel caso di specie, non è – motivatamente -avvenuto e il rimarco della profonda gravità dei fatti commessi è pianamente satisfattivo della negazione del beneficio. In altre parole, se è vero che lo stigma della ‘gravità del fatto’ non è in astratto incompatibile con la riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche, nemmeno può sostenersi che la profonda riprovazione della condotta sanzioNOME -come tale sottolineata dalla Corte di merito – sia da sola insuscettibile di ostacolarla.
Il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità chiarisce poi che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen.; fermo restando che non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di essi abbia inteso fare riferimento (Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004 – dep. 2005, Alba, Rv. 230691; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), sicché la valutazione che investe l’esclusione della recidiva, che inerisce specificamente ad un giudizio prognostico di pericolosità e, pertanto, ad un profilo essenzialmente personologico (art. 133 secondo comma cod. pen.), non è inconciliabile con il diniego delle attenuanti generiche concentrato sulla riprovevolezza della condotta oggettivamente considerata (art. 133 primo comma cod. pen.), trattandosi di giudizi autonomi e indipendenti, consoni alla diversità tra i due istituti (Sez. U n. 20808 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 275319; Sez. 4, n. 14647 del 07/04/2021, COGNOME, Rv. 281018). Inoltre, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento (nella specie: la gravità della condotta) che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini, dunque tanto ai fini della reiezione della richiesta di concessione delle attenuanti generiche, quanto ai fini della modulazione del trattamento punitivo ( ex multis , sez.3, n. 17054 del 13/12/2018, M. ,Rv. 275904; sez. 2, n. 24495 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264378).
In tale prospettiva di giudizio, il motivo speso dall’COGNOME sostanzialmente poggiato sull’età anagrafica e su non meglio precisati problemi di salute si palesa d’impatto all’evidenza insufficiente a neutralizzare il più ampio e altrimenti articolato corredo espositivo del provvedimento oggetto del ricorso, che (pag. 164 e seg.) ne ha messo in rilievo la centralità del ruolo rivestito, anche in relazione alla destinazione di parte degli importi distratti e la piena padronanza delle vicende societarie e del disegno delittuoso.
Non miglior sorte meritano gli argomenti offerti da COGNOME e COGNOME, dal momento che la Corte d’appello ha fornito idonea contezza dell’opzione adottata, ed ha attribuito preminenza all’allarmante gravità del fatto, all’entità della distrazione, alla capacità criminale mostrata dai due ricorrenti nell’ideazione ed attuazione di un callido sistema di evasione fiscale e di sottrazione di beni ai creditori della fallita; ha, di contro, vagliato la recessività dei dati di segno diverso, come l’esito di un accordo transattivo con la curatela del fallimento o la partecipazione alle udienze del COGNOME.
Quanto, infine, alla comminazione della pena, genericamente censurata dalla difesa di COGNOME e sulla quale si è precipuamente appuntata la difesa di COGNOME e COGNOME, è pacifico che il relativo potere commisurativo, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientri nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, può dar conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere. È, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione ( ex multis , Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
Tanto puntualizzato, si è già avuto modo di apprezzare che la quantificazione del trattamento sanzioNOMErio è stata calibrata sui minimi assoluti -quanto ad COGNOME -ed in proiezione del minimo assoluto di legge, quello di tre anni di reclusione -quanto a COGNOME e COGNOME anche se la Corte territoriale non ha rinunciato a circostanziare gli indicatori specifici, desunti dall’art. 133 cod. pen., che depongono per la fissazione di una pena-base sobriamente superiore a detto minimo -comunque inferiore al medio edittale – ed ostano, pertanto, ad una ulteriore attenuazione della risposta sanzioNOMEria.
8. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 25/09/2025
Il consigliere estensore Il presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME