Bancarotta Fraudolenta Documentale: La Sparizione dei Libri Contabili è Prova del Dolo
L’ordinanza n. 10543 del 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di reati fallimentari: la prova del dolo nella bancarotta fraudolenta documentale. La Suprema Corte ha confermato che la sparizione completa e ingiustificata delle scritture contabili, da parte di chi ne aveva la gestione, è un elemento sufficiente a dimostrare l’intento di frodare i creditori.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dalla condanna, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Brescia, di un amministratore di società per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. L’imputato, dopo aver sottoscritto la cessione di un ramo d’azienda della società poi fallita, ne aveva assunto la carica di liquidatore.
Successivamente, si accertava la completa sparizione di tutti i libri sociali e delle scritture contabili obbligatorie, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e dei flussi finanziari della società. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza di motivazione riguardo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo specifico di voler recare pregiudizio ai creditori.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico. Secondo i giudici, l’imputato non si è confrontato adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva infatti già fornito una motivazione logica e coerente sulla sussistenza del dolo.
Le motivazioni della bancarotta fraudolenta documentale
Il cuore della decisione risiede nell’analisi della condotta dell’amministratore. La Corte ha definito la sparizione totale delle scritture contabili come un’azione ‘talmente macroscopica’ da non lasciare dubbi sulla sua natura dolosa. L’imputato, in qualità di amministratore e poi liquidatore, non solo era a conoscenza dell’esistenza e dell’importanza di tali documenti, ma ne aveva l’obbligo di custodia e utilizzo per la liquidazione stessa. Procedere alla liquidazione dei beni sociali senza disporre delle scritture contabili è, di per sé, un’operazione impossibile e illogica se non mossa da intenti fraudolenti.
La Suprema Corte ha quindi ribadito un principio consolidato: in assenza di elementi di segno contrario, una condotta di totale occultamento documentale manifesta in modo inequivocabile la coscienza e la volontà dell’agente di:
1. Pregiudicare le ragioni dei creditori, rendendo impossibile la verifica della consistenza patrimoniale dell’azienda.
2. Impedire ogni forma di controllo sul proprio operato di amministratore e liquidatore.
Questo comportamento integra pienamente il dolo specifico richiesto dall’art. 216 della Legge Fallimentare.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza la tutela del ceto creditorio nei procedimenti fallimentari. Stabilisce che l’onere di giustificare la scomparsa della contabilità ricade sull’amministratore. La sua incapacità di fornire una spiegazione plausibile per la sparizione di documenti essenziali alla vita e alla liquidazione dell’impresa viene interpretata come un chiaro indizio della volontà di agire in danno dei creditori. La decisione serve da monito per gli amministratori, sottolineando che la corretta tenuta e conservazione delle scritture contabili non è solo un obbligo formale, ma un presidio di legalità a tutela del mercato e dei terzi.
La semplice sparizione delle scritture contabili è sufficiente per una condanna per bancarotta fraudolenta documentale?
Sì. Secondo questa ordinanza, la sparizione sopravvenuta e totale dei libri sociali e delle scritture obbligatorie è una condotta talmente grave che, in assenza di prove contrarie, è sufficiente a dimostrare la volontà dell’amministratore di pregiudicare i creditori.
Cosa si intende per dolo specifico in questo reato?
Il dolo specifico è l’intenzione di raggiungere un fine preciso che va oltre la semplice volontà di sottrarre i documenti. In questo caso, è la volontà di agire con lo scopo di creare un danno ai creditori, impedendo la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari della società fallita.
Per quale motivo il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘generico’. L’imputato non ha contestato in modo specifico le ragioni fondamentali (la ratio decidendi) della sentenza d’appello, la quale aveva già spiegato in modo esauriente perché la condotta di occultamento totale delle scritture contabili dimostrava l’intento fraudolento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10543 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10543 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARMAGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/12/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
che, con la impugnata sentenza, la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna inflitta a COGNOME per il delitto di cui agli artt. 216, comma 1, n. 2 e 223, comma 1, R.D. 267/1942 (fatto commesso in Brescia il 3 dicembre 2018);
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, articolando un solo motivo;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il proposto motivo, che lamenta il vizio di motivazione in punto di sussistenz dell’elemento soggettivo del reato contestato, è generico per assenza di confronto con la ratio decidendi della sentenza impugnata al riguardo: ossia, con quella per la quale la sopravvenuta sparizione di tutti i libri sociali e delle scritture obbligatorie imponeva di ritenere integra specifico richiesto per l’integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, di cui prima parte della norma di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, L.F., perché si trattava di condo talmente macroscopica da parte di un amministratore, che di queste scritture aveva certamente avuto contezza dal momento che aveva sottoscritto la cessione di ramo di azienda della fallita ed aveva poi assunto la carica di liquidatore – non potendo procedere alla liquidazione dei ben sociali senza disporre delle scritture contabili -, da riflettere, in assenza di elementi di segno, la coscienza e la volontà dell’imputato di pregiudicare le ragioni creditorie e, al contem di impedire ogni forma di controllo sul suo operato (vedasi pag. 5 della sentenza di primo grad e pag. 4 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Il Presidente
Così deciso il 28 febbraio 2024
Il Consigliere estensore