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Bancarotta fraudolenta: Dolo e reformatio in peius

La Cassazione chiarisce la responsabilità per bancarotta fraudolenta dell’amministratore di fatto, confermando la sufficienza del dolo generico. Viene però annullata la sentenza per violazione del divieto di reformatio in peius, poiché la Corte d’Appello aveva aumentato la pena base.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta: la Cassazione sui doveri dell’amministratore di fatto e il divieto di reformatio in peius

Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale (n. 26867/2024) offre importanti chiarimenti su due aspetti cruciali del diritto penale d’impresa: la responsabilità dell’amministratore di fatto per bancarotta fraudolenta e l’applicazione del divieto di reformatio in peius nel giudizio d’appello. La decisione analizza la posizione di chi, pur senza una carica formale, gestisce una società, e i limiti del potere del giudice nel ricalcolare la pena.

Il caso: bancarotta fraudolenta e il ruolo dell’amministratore di fatto

Il caso riguarda un’imprenditrice condannata in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale generica, in relazione al fallimento di diverse società. Alla ricorrente era stato attribuito il ruolo di amministratrice di fatto e procuratrice speciale, con un ruolo centrale nelle operazioni finanziarie che avevano portato alla distrazione di ingenti somme di denaro. La difesa sosteneva che l’imputata non avesse la consapevolezza delle irregolarità contabili, poiché la sua operatività era limitata al settore immobiliare e ai rapporti con le banche, mentre la contabilità era affidata a un altro soggetto. Inoltre, la difesa contestava la rideterminazione della pena operata in appello.

La questione del dolo nella bancarotta fraudolenta

Uno dei motivi principali del ricorso si concentrava sull’elemento soggettivo del reato. La difesa argomentava che l’intento dell’amministratrice era quello di ‘salvare’ il gruppo societario, una finalità che, a suo dire, sarebbe incompatibile con il dolo richiesto per la bancarotta. Si sosteneva una contraddizione nella sentenza d’appello, che da un lato riconosceva questa finalità concedendo le attenuanti generiche, ma dall’altro confermava la sussistenza del dolo.

La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio consolidato: per la bancarotta fraudolenta, sia distrattiva che documentale, è sufficiente il dolo generico. Non è necessaria la volontà specifica di danneggiare i creditori, né la piena consapevolezza dello stato di insolvenza. È sufficiente avere la coscienza e la volontà di destinare il patrimonio sociale a scopi diversi da quelli previsti, violando così la sua funzione di garanzia per i creditori.

Il divieto di reformatio in peius e la pena base

Il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava un vizio procedurale. La Corte d’Appello, pur riconoscendo le circostanze attenuanti generiche come equivalenti all’aggravante e riducendo la pena finale, aveva aumentato la pena base da 5 a 6 anni di reclusione. Questa operazione viola il divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 597 c.p.p. Tale principio stabilisce che, quando a impugnare la sentenza è solo l’imputato, il giudice dell’appello non può peggiorare la sua posizione. La Cassazione ha chiarito che questo divieto non si applica solo al risultato finale della pena, ma a tutti gli elementi autonomi che la compongono, inclusa la pena base.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha sviluppato un’argomentazione dettagliata per rigettare il primo motivo e accogliere il secondo.

Sulla responsabilità dell’amministratore di fatto

La Corte ha sottolineato che la qualifica di amministratore ‘di fatto’ comporta l’assunzione dell’intera gamma di doveri che gravano sull’amministratore ‘di diritto’. Ciò include l’obbligo di vigilare sulla corretta tenuta delle scritture contabili e sulla gestione del patrimonio sociale. Delegare la gestione contabile a terzi non esonera l’amministratore dalla responsabilità penale. Sussiste una presunzione di responsabilità superabile solo con la prova rigorosa che i dati contabili siano stati trascritti secondo le indicazioni del titolare dell’impresa. In questo caso, data la centralità del ruolo della ricorrente nelle operazioni distrattive protrattesi per anni, la Corte ha ritenuto illogico ipotizzare una sua totale inconsapevolezza.

Il ‘movente’ del salvataggio del gruppo, sebbene rilevante per la concessione delle attenuanti, non esclude il dolo, che attiene alla sfera della volontà dell’azione illecita. Riconoscere un motivo a delinquere come ragione di attenuazione della pena non è, secondo la Corte, manifestamente illogico.

Sulla violazione del divieto di peggioramento della pena

Sul punto procedurale, la Corte ha dato piena applicazione al principio stabilito dalle Sezioni Unite. Il divieto di reformatio in peius è assoluto. Anche se la pena finale risulta inferiore, il giudice d’appello non può fissare una pena base superiore a quella determinata in primo grado. Pertanto, la sentenza è stata annullata limitatamente a questo aspetto, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova e corretta determinazione della sanzione, nel rispetto dei limiti imposti.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza in esame rafforza due importanti principi. In primo luogo, ribadisce che chiunque gestisca un’impresa, a prescindere da nomine formali, ha precisi doveri di vigilanza e controllo la cui violazione può integrare gravi reati come la bancarotta fraudolenta. La semplice delega di funzioni non costituisce uno scudo sufficiente. In secondo luogo, la decisione tutela in modo rigoroso le garanzie processuali dell’imputato, affermando che il beneficio di una pena finale più mite in appello non può essere ottenuto a scapito di un peggioramento di singoli elementi della sua composizione, come la pena base.

L’amministratore di fatto di una società può essere ritenuto responsabile per bancarotta documentale anche se la contabilità era gestita da un’altra persona?
Sì. Secondo la Corte, l’amministratore di fatto ha gli stessi doveri di vigilanza dell’amministratore di diritto e non è esente da responsabilità per il solo fatto di aver affidato la contabilità a terzi, poiché su di lui grava un obbligo di controllo. Può liberarsi dalla responsabilità solo fornendo una prova rigorosa che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni del titolare dell’impresa.

Per configurare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è necessario provare l’intenzione specifica di danneggiare i creditori?
No, non è necessario. Per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, senza che sia richiesto lo scopo specifico di recare pregiudizio ai creditori.

Il giudice d’appello, se accoglie un motivo di ricorso dell’imputato, può aumentare la pena base stabilita in primo grado, pur diminuendo la pena finale complessiva?
No. La sentenza ribadisce che il divieto di reformatio in peius impedisce al giudice d’appello di fissare una pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado, anche se il risultato finale è una sanzione inferiore a quella precedentemente applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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