Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26867 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26867 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIGODARZERE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/04/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio, dichiarandosi il ricorso inammissibile nel resto;
lette le conclusioni depositate dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME nell’interesse della ricorrente, con le quali il difensore insiste nell’illustrazione dei motivi d ricorso chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza emessa in data 6 aprile 2023 riformava, con la sola riduzione della pena principale e di quelle accessorie, la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Padova, che in sede di giudizio abbreviato aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in relazione ai delitti di bancarotta fraudolenta societaria patrimoniale per distrazione e documentale generica, contestati in relazione alle società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, nonché RAGIONE_SOCIALE, tutte dichiarat fallite.
Le condotte distrattive avevano ad oggetto somme di denaro per le prime tre società, rispetto alle quali NOME COGNOME, coimputato non ricorrente, risultava essere amministratore di diritto, mentre NOME COGNOME è stata ritenuta amministratrice di fatto oltre che procuratrice speciale delle società, qualità che ricopriva anche in relazione alla quarta società fallita, in relazione alla quale i delitt di bancarotta distrattiva e documentale venivano contestati anche a NOME COGNOMECOGNOME quale amministratore unico.
La sentenza di primo grado riteneva assorbiti i delitti di bancarotta documentale in quelli di bancarotta distrattiva, ma ritiene questo Collegio che l’espressione utilizzata non sia quella di esclusione della responsabilità per le seconde condotte e di incorporazione dell’una condotta nell’altra, stante anche l’eterogeneità fra le stesse, bensì l’impropria espressione vuole rappresentare il riconoscimento della cd. continuazione fallimentare ai sensi dell’art. 219, comma 2, n. 1), legge fall., come si evince dalla motivazione della medesima sentenza (cfr. fol. 100).
La sentenza di appello, ora impugnata, rispondeva al profilo di censura ora reiterato, come si leggerà, relativo all’elemento soggettivo dei reati, essendo il profilo oggettivo delle condotte in contestazione, distrattiva e documentale, non impugnato dalla attuale ricorrente.
In particolare, la Corte di appello rappresentava come, quanto al profilo oggettivo, si vertesse in tema di distrazioni di risorse non contabilizzate nelle scritture contabili e non destinate all’interesse della società depauperata, non risultando neanche comprovata la destinazione, in una logica infragruppo, nella prospettiva dei cd. vantaggi compensativi, vertendosi invece solo in tema di depauperamento del patrimonio sociale.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione quanto all’elemento soggettivo dei reati in contestazione. La Corte di appello risulterebbe contraddirsi: dopo aver affermato che le competenze e il settore di operatività della COGNOME fossero relative al mercato immobiliare e la stessa tenesse le relazioni con gli istituti bancari e con gli acquirenti, mentre invece COGNOME era esperto in contabilità, giungeva a concludere irragionevolmente che NOME avesse contezza delle omissioni contabili.
In sostanza la Corte di merito avrebbe illogicamente motivato, richiedendo a COGNOME di dimostrare di non avere consapevolezza della irregolare tenuta delle scritture contabili, mentre invece la prova del contrario incombeva sull’accusa. Inoltre, contraddittoria risulterebbe la sentenza impugnata nella parte in cui rileva come la finalità del salvataggio del gruppo societario consenta di riconoscere le circostanze attenuanti generiche alla Corte di appello, non escludendo invece per la menzionata finalità la sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti in contestazione.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 597, commi 4 e 5, cod. proc. pen. in quanto la Corte territoriale, dopo aver riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti, aumentava la pena base da anni 5 ad anni 6 di reclusione, con violazione del divieto di reformatio in peius, pur essendo la pena finale inferiore a quella irrogata in primo grado.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso quanto al primo motivo, rilevando invece fondato il secondo motivo.
Il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha depositato conclusioni con le quali ha condiviso le conclusioni della Procura AVV_NOTAIO quanto al secondo motivo, ma ha illustrato ulteriormente il primo motivo chiedendone l’accoglimento.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
In ordine al primo motivo di ricorso, deve evidenziarsi come tanto per la bancarotta fraudolenta distrattiva, come per quella documentale cd. generica, il dolo richiesto è, appunto, quello generico.
Difatti, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016 – dep. 27/05/2016, Passarelli e altro, Rv. 26680501).
Quanto al delitto di bancarotta documentale per la fraudolenta tenuta delle scritture contabili – a differenza della condotta di occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta – è necessario il dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 01).
E bene, essendo accertato e non contestato che la ricorrente svolgesse le funzioni di amministratore di fatto delle società fallite, va evidenziato come sulla stessa ricadeva il dovere di adempiere agli obblighi nell’interesse della società: infatti, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qualifica amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen. (Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689; Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094).
Tanto premesso, quindi, analogamente a quanto previsto per l’amministratore di diritto, l’amministratore di fatto, come ogni imprenditore, non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste un presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 36870 del 30/11/2020, COGNOME, Rv. 280133 – 01; conf. n. 709 del 1999 Rv. 212147 – 01, n. 11931 del 2005 Rv. 231707 – 01, n. 2812 del 2014 Rv. 258947 – 01).
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Ad ogni buon conto, la sentenza impugnata chiarisce come la complessità delle operazioni distrattive e dello spostamento di risorse, che vedevano protagonista proprio la ricorrente, avvenivano senza causa, come rileva la sentenza di primo grado al fol. 98, richiamando anche una annotazione nel libro mastro di conto per la società RAGIONE_SOCIALE, altra società fallita, per quanto non oggetto della attuale processo, ove si leggeva: «RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE gruppo», con ciò palesandosi la destinazione di oltre un milione di euro, erogate in favore della COGNOME.
Annota il G.u.p. come il giro vorticoso di trasferimenti di denaro e di beni risultava avere natura distrattiva e dunque fosse comprovata la centralità della condotta di NOME quale amministratrice di fatto di plurime società fallite.
A ben vedere, deve aggiungere questa Corte, che anche se l’intenzione fosse stata quella del riutilizzo delle risorse distratte per far fronte alla situazion debitoria di altre società del ‘gruppo’, comunque la natura distrattiva veniva confermata per l’assenza di tutela dell’interesse della società cedente e per l’assenza di una causa formalizzata delle operazioni di trasferimento di risorse.
La valutazione della Corte di appello, che sostanzialmente riconosce alla COGNOME il ruolo di perno dell’operazioni distrattive tutte, per la durata di cinque anni, risult non manifestamente illogica allorchè rileva come, pur avendo COGNOME il compito di tenuta della contabilità, COGNOME era comunque al corrente dell’omessa annotazione delle operazioni distrattive, anche in ragione di una pratica pluriennale consumata in concorso con COGNOME.
D’altro canto, lo stesso motivo di ricorso risulta sostanzialmente aspecifico, nella misura in cui si fonda sulla buona fede e sull’ignoranza della COGNOME – rispetto al ruolo e alle competenze di COGNOME – ma non affronta il tema analogo rispetto alle condotte relative alla RAGIONE_SOCIALE, per la quale non era COGNOME l’amministratore di diritto, ma lo era NOME COGNOME, che non è dedotto avere le medesime competenze professionali del COGNOME.
Anche la doglianza relativa alla dedotta contraddizione fra le circostanze attenuanti generiche riconosciute per la finalità di ‘salvataggio’ delle società del gruppo, e la ritenuta sussistenza del dolo generico, non tiene in conto che il primo profilo, non essendovi i presupposti per l’applicazione dell’art. 2634, comma terzo, cod. civ., quanti ai cd. vantaggi compensativi, si sostanzia in un motivo del delinquere, come tale irrilevante rispetto al dolo generico richiesto dalle fattispecie incriminatrici. Infatti, è sufficiente la prova del dolo generico, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare, che costituisce nel caso di specie l’antecedente psichico della condotta, cioè il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale. D’altro canto, non è manifestamente illogico riconoscere il motivo a delinquere quale ragione di attenuazione della pena.
Pertanto, il motivo è generico e per altro verso infondato e il ricorso, in relazione a tali motivi, va rigettato.
Quanto al secondo motivo, il G.u.p. aveva determinato la pena base in anni cinque di reclusione per il capo 5, aumentato poi per il vincolo della continuazione con le altre condotte di bancarotta relative alle altre società fallite, per giungere alla pena finale di anni otto e mesi dieci di reclusione, poi ridotta per il rito all pena finale di anni cinque di reclusione.
La Corte territoriale riconosce, accogliendo il motivo di appello, le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante, ma parte da una pena base di anni sei di reclusione, riducendola per il rito ad anni quattro di reclusione.
A ben vedere, nel caso di specie la sentenza di primo grado non operava esplicitamente l’aumento ex art. 219 legge fall. per la continuazione fallimentare sul capo 5), ritenuto più grave, cosicché deve ritenersi che l’aumento fosse già compreso nella dosimetria della pena base di anni cinque di reclusione.
Ne consegue che la Corte di appello avrebbe dovuto, intervenendo l’equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla aggravante della continuazione fallimentare, rideterminare la pena base in misura inferiore a quella di anni cinque di reclusione.
D’altro canto, come osserva la Procura AVV_NOTAIO, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma quarto, cod.proc.pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, NOME COGNOME, Rv. 232066 – 01; nello stesso senso Sez. 4, n. 34342 del 24/06/2021, Rv. 281829 – 02; Sez. 2, n. 22032 del 16/03/2023, Rv. 284738 – 01).
Il motivo è quindi fondato e spetterà alla Corte di appello operare l’esclusione della aggravante dalla pena base considerata in primo grado, operare poi in modo esplicito gli aumenti per il vincolo della continuazione con le altre condotte, infine ridurre la sanzione per il rito, con ogni conseguenza ulteriore in ordine alle pene accessorie, tenendo conto del limite di pena fissato in primo grado.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Così deciso in Roma, 29/02/2024