Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31848 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31848 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del del 14/09/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare con rinvio del provvedimento impugnato; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 settembre 2023 dalla Corte di appello di Catanzaro, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza di primo grado con la quale COGNOME NOME era stato condannato per
i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 28 maggio 2013.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – in qualità di legale rappresentante – avrebbe distratto i seguenti beni della società fallita: le rimanenze finali al 31 dicembre 2012, per un valore economico di euro 8.500,00 (indicate nella contabilità di magazzino); la somma di euro 6.951,45, quale disponibilità di cassa.
Avrebbe, inoltre, sottratto tutte le scritture contabili della società relativ all’anno 2013 e – con riferimento agli anni 2010, 2011, 2012 e 2013 – avrebbe omesso di consegnare i documenti (e, in particolare le fatture di acquisto e di vendita), che avrebbero consentito di ricostruire la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
2.1.1. Con particolare riferimento alla distrazione delle rimanenze di magazzino, il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il curatore fallimentare non avrebbe affermato di non aver rinvenuto rimanenze di magazzino o di averle rinvenute in misura diversa da quella annotata sul libro inventari. Il curatore, infatti, in dibattimento, aveva riferito di av rinvenuto beni strumentali all’attività di impresa (tra i quali anche dei computer), seppur di modesto valore economico. La Corte di appello, pertanto, sarebbe incorsa in un vero e proprio travisamento di prova.
2.1.2. Con particolare riferimento alla liquidità di cassa, il ricorrente sostiene che il «bagatellare residuo di cassa» sarebbe stato assorbito dalle spese ordinarie di gestione e che la Corte di appello sarebbe caduta in errore nel ritenere che tale destinazione non sarebbe supportata neppure dalle stesse dichiarazioni dell’imputato.
Al riguardo, evidenzia che, come ammesso dalla stessa Corte di appello (a pagina 10 della sentenza), l’imputato aveva espressamente negato l’addebito contestatogli, affermando di non essersi mai impossessato di beni o di denaro.
2.1.3. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe reso una motivazione meramente apparente in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo. Una lettura del compendio probatorio e un’adeguata valutazione della condotta concretamente assunta dall’imputato, infatti, avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a escludere la sussistenza del dolo. L’imputato, infatti, avrebbe sempre agito a tutela del patrimonio aziendale, «mosso da una logica
recuperatoria dei crediti di impresa a vantaggio, evidentemente, anche del ceto creditorio».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 216 legge fall. e 125 cod. proc. pen.
Il ricorrente evidenzia che, all’imputato, era stata contestata sia la bancarotta documentale a dolo specifico, con riferimento alle scritture contabili dell’anno 2013, che quella a dolo generico, con riferimento alle fatture di acquisto e di vendita inerenti alle annualità 2010, 2011, 2012 e 2013.
Tanto premesso, con riferimento alla fattispecie a dolo specifico, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe fornito alcuna risposta in ordine al motivo di gravame con il quale la difesa aveva richiesto la riqualificazione del fatto in bancarotta semplice. Il ricorrente evidenzia, inoltre, che, nel caso in esame, non sarebbe riscontrabile nessuno degli indici di fraudolenza elaborati dalla giurisprudenza, atteso che: l’imputato aveva collaborato sin da subito con la curatela; non vi era stata un’effettiva attività distrattiva; non vi era stat trafugamento dei beni sociali.
Quanto alla bancarotta documentale generica, il ricorrente evidenzia che con riferimento alle annualità 2010, 2011, 2012 e 2013 – le scritture contabili erano state tenute in maniera regolare ed erano state ritualmente depositate nella cancelleria fallimentare. Tale documentazione aveva consentito al curatore e anche alla Guardia di finanza di ricostruire il volume degli affari e il patrimonio societario. A fronte di tali dati, la Corte territoriale avrebbe reso una motivazione contraddittoria, non distinguendo neppure tra le due diverse forme di dolo richieste per le diverse bancarotte documentali contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1.1. La prima censura è manifestamente infondata. La Corte di appello, infatti, non è incorsa in alcun travisamento di prova e, in particolare, non ha travisato le parole del curatore fallimentare, che, peraltro, sono riportate in sentenza, sostanzialmente, nei medesimi termini in cui sono riportate nel ricorso: «la curatrice ha dichiarato di essersi recata insieme al cancelliere presso il magazzino in cui COGNOME NOME aveva affermato di averle custodite ossia un magazzino messo a sua disposizione da un amico, dove ha rinvenuto solo scrivanie, sedie e carcasse di computer ormai vetusti» (pag. 7 della sentenza).
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Dalla lettura della sentenza emerge in maniera chiara che la Corte territoriale ha correttamente inteso le parole del curatore, ma ha ritenuto che i beni da lui rinvenuti (scrivanie, sedie e carcasse di computer ormai vetusti) fossero ben diversi dalle rimanenze di magazzino, dal valore di euro 8.500,00.
1.1.2. La seconda censura si presenta del tutto generica, non avendo il ricorrente neppure indicato a quali specifiche esigenze di gestione sarebbero state destinate le somme di denaro in questione.
1.1.3. Del tutto generiche e assertive si presentano anche le censure relative all’elemento soggettivo del reato. In particolare, il ricorrente non ha indicato alcun elemento dal quale poter desumere che l’imputato fosse stato «mosso da una logica recuperatoria dei crediti di impresa a vantaggio, evidentemente, anche del ceto creditorio».
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va rilevato che, effettivamente, nel capo di imputazione sono contestate sia la bancarotta documentale a dolo specifico, con riferimento alle scritture contabili dell’anno 2013, che quella a dolo generico, con riferimento alle fatture di acquisto e di vendita inerenti alle annualità 2010, 2011, 2012 e 2013.
La Corte di appello, però, ha ritenuto integrata, per tutte le condotte, la fattispecie a dolo specifico (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata), ritenendo che l’occultamento sia delle fatture relative agli anni compresi tra il 2010 nel 2012 che dell’intero apparato contabile del 2013 fosse stato funzionale a coprire la condotta distrattiva.
La Corte territoriale ha ricostruito in maniera convincente l’elemento soggettivo del reato, soffermandosi anche a confutare le dichiarazioni rese dall’imputato, che aveva sostenuto di non essere riuscito a consegnare la documentazione al curatore (cfr. pagine 13 e 14 della sentenza impugnata).
Tale ricostruzione era incompatibile con la riqualificazione del fatto in bancarotta semplice, in ordine alla quale la Corte territoriale ha comunque risposto al relativo motivo di appello.
Per il resto, le deduzioni del ricorrente sono generiche e assertive. Va, in ogni caso, rilevato che, dalla sentenza, risulta che il curatore – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – aveva riferito che la documentazione acquisita non aveva consentito di ricostruire con chiarezza il patrimonio della fallita (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso, il 14 maggio 2024.