Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19684 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a Roma il 13/03/2000 NOMECOGNOME nato in Albania il 02/01/1983
avverso la sentenza del 24/06/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore genera Nome Cognome, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per il COGNOME e rigetto per il COGNOME udito per l’imputato COGNOME NOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso. udito per l’imputato NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha conclus
riportandosi ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/06/2024, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa in data 20/06/2023, all’esito di giudizio abbreviato, dal Gup del Tribunale di Roma, confermata- per quanto qui rileva- l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per i reati ascrittigli ai capi A5) e A8) dell’imputazion concedeva al predetto le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulle contestati aggravanti e rideterminava la pena complessiva in anni tre, mesi due e giorni sei di reclusione ed euro 18.000,00 di multa; riqualificato, poi, il reato di cu al capo B2) ascritto a NOME NOME ai sensi degli artt. 56, 629 comma 1 e 2 , rideterminava la pena complessiva in anni due mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME chiedendone l’annullamento ed articolando motivi di seguito enunciati.
NOME COGNOME propone tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 73 d.P.R. n. 309/1990 e 192 cod.proc.pen. e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di per i reati di cui ai capi A5) e A8) dell’imputazione.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva confermato l’affermazione di responsabilità per i reati ascritti al ricorrente, limitandosi a richiamare motivazione, già carente, del primo giudice. Argomenta, poi, che si verte in materia di cd droga parlata e che il materiale probatorio deve essere effettuato in maniera rigorosa, nel mentre, la motivazione della Corte di appello era carente e priva di indicazione in ordine ad eventuali riscontri esterni; inoltre, non erano state valutate le plurime circostanze evidenziate con l’atto di appello, circostanze che comprovavano la mancanza di gravità, precisione e concordanza degli indizi (impossibilità di individuare il momento esatto della cessione; assenza di materiale fotografico a corredo dell’informativa; linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni captate, che poteva interpretarsi diversamente intendendo il riferimento al numero 50 ad una somma di denaro e non ai grammi della sostanza stupefacente). Rileva, infine, che la lacunosità del materiale investigativo aveva comportato l’assoluzione del ricorrente dal reato contestato al capo A6) della rubrica e che tanto si poneva in contrasto con la condanna peri reati di cui ai capi A5) e A8).
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi A5) e A8) dell’imputazione.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva denegato la riqualificazione dei fatti nella fattispecie delittuosa meno grave di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 limitandosi a richiamare la motivazione, già carente, del primo giudice. Evidenzia che dalle conversazioni intercettate non emergeva nè il dato quantitativo nè quello qualitativo della sostanza stupefacente e che, pertanto, in ossequio al principio del favor rei, andava configurata l’ipotesi delittuosa meno grave di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 o, nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 81 cpv cod.pen. 132 e 133 cod.pen., 597, comma 3, cod.proc.pen. e vizio di motivazione in relazione all’aumento operato per la continuazione.
Lamenta che la Corte di appello, nel rideterminare la pena a seguito della concessione delle circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulle aggravanti e pur rivalutando al gravità dei fatti, applicava a titolo di continuazione per il reato di cui al capo A5) un aumento di pena superiore a quello determinato dal primo giudice, così violando il divieto di reformatio in peíus di cui all’art. 597 cod.proc.pen.; inoltre, l’aumento di pena non era neppure giustificato da motivazione, in contrasto con il dictum delle Sezioni Unite n. 47127/2021.
NOME COGNOME propone quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B1).
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva confermato l’affermazione di responsabilità per il reato ascritto al ricorrente, limitandosi a richiamare l motivazione del primo giudice, il quale, in difetto di prova sulla natura della sostanza stupefacente, aveva riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990; rimarca che l’ipotetica cessione di sostanza illecita a tale NOME non trovava riscontro negli atti di indagine e che la conversazione richiamata nella sentenza di primo grado non conteneva alcun riferimento ad una pregressa fornitura di sostanza stupefacente; evidenzia che la Corte di appello si era limitata ad affermare che l’imputato non aveva fornito alcuna versione alternativa circa l’insorgenza del debito menzionato nella conversazione, in contrasto con il principio di non colpevolezza, ed affermato che trattandosi di droga parlata non occorreva una ricostruzione delle precise modalità della cessione dello stupefacente. .
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B2) ed alla mancata riqualificazione del fatto nella ipotesi delittuosa di cui all’art. 393 cod.pen.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva confermato l’affermazione di responsabilità per il reato ascritto al ricorrente, limitandosi ad affrontare il tem della chiesta riqualificazione giuridica del fatto e senza rispondere alle numerose criticità e perplessità sull’integrazione del reato mosse con l’atto di appello; in particolare, le sole e mere minacce, di cui alle conversazione captate, in assenza del successivo ottenimento dell’ingiusto profitto con danno alla persona offesa, non potevano integrare il delitto di cui all’art. 629 cod.pen.; inoltre, rimanendo completamente oscura l’origine del rapporto debitorio, la cui natura poteva anche essere di natura lecita , le minacce potevano integrare il reato di cui all’art. 393 cod.pen.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della continuazione esterna.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale aveva ritenuto non configurabile il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimenti e quelli giudicati con la sentenza n. 14908/2021 del Tribunale di Roma, irrevocabile in data 17/10/2022, limitandosi a rimarcare la distanza temporale tra i fatti, e senza considerare che vi era connessione soggettiva, identità delle violazioni commesse, identità del contesto spazio-temporale, medesime modalità dell’azione e vicinanza temprale tra i fatti; la motivazione, dunque, era carente.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Lamenta che la Corte di appello, nel rideterminare la pena, non aveva motivato in ordine ai criteri utilizzati per determinare la pena base e gli aumenti per i reati in continuazione, in contrasto con il dictum delle Sezioni Unite n. 47127/2021; inoltre, quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla aggravante contestata, evidenzia che la Corte di appello avrebbe dovuto considerare la giovane età dell’imputato, la condotta processuale ineccepibile, l’osservanza delle prescrizioni imposte con la misura cautelare, risultando, invece, la motivazione carente sotto tali profili.
I difensori dei ricorrenti hanno chiesto la trattazione orale del ricorso in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME è parzialmente fondato, secondo le argomentazioni che seguono.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura ripropone i medesimi motivi articolati con l’atto di appello, e motivatamente respinti dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, n. 31939 del 16/04/2015, COGNOME Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, COGNOME, rv. 259456), ed, inoltre, in sostanza, propone doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione.
Nel ribadire, che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, come si desume da una lettura sistematica degli artt. 606 e 619 cod.proc.pen., ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
La Corte territoriale, infatti, ha affermato, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, che il contenuto delle conversazioni intercettate ed i servizi di osservazione della p.g., comprovavano che il COGNOME, nei due episodi contestati (capo A5 e capo A8) aveva svolto il ruolo di corriere per il trasporto di cocaina, come evincibile dal contenuto delle intercettazioni secondo la condivisibile lettura effettuata nella sentenza di primo grado (cfr pp 18 e 19 della sentenza impugnata e pp p 28 e ss e pp 56 e ss della sentenza di primo grado)
Va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha chiarito (cfr. Sez.5, n.48286 del 12/07/2016, Rv.268414; Sez.4, n.31260 del 04/12/2012, dep.22/07/2013, Rv.256739;Sez. 2, n. 4976 del 12/01/2012, Soriano, Rv. 251812; Sez.4, n.35860 del 28/09/2006, Rv.235020;Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, Primerano, Rv. 218392), che le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione (regolarmente autorizzata), con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria e non necessitano quindi di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Ed ancora l’orientamento di questa Corte (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239724) per la quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione – come nella specie- risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Rv.263715).
In sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in
presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di meri abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità ri decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 dep. 2018, Di Mar Rv. 272558; sul punto anche Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516), sicché sono inammissibili, come nella specie, le generich censure sviluppate nel ricorso in merito ad una possibile diversa interpretaz rispetto a quella motivatamente offerta dai giudici di merito.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello, all’esito della valutazione globale del fatto, ha rima che il fatto contestato non poteva ricondursi ad un’ipotesi di “piccolo spaccio considerazione delle caratteristiche sia quantitative che qualitative stupefacente trasportato nei due episodi contestati.
La valutazione, sorretta da congrue e logiche argomentazioni, è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare complessivament tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’az mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’og materiale del reato -quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto condotta criminosa (Sez.0 n.51063 del 27/09/2018; Sez.U, 24 giugno 2010, n 35737, Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264490; Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491);
1.3. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Come già chiarito da questa Suprema Corte (Sez.2, n. 16995 del 28/01/2022, Rv.283113 – 01; Sez.5, n. 34497 del 07/07/2021, Rv.281831 – 01; Sez.2,n.17347 del 26/01/2021, Rv.281217 – 04; Sez.5, n.50083 del 29/09/2017, Rv.271626; Sez.2 n.34387 del 06/05/2016, Rv.267853), nel giudizio di appello instaurato seguito di impugnazione del solo imputato, viola il divieto di reformatio in pelus il giudice che, dopo aver riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul q commisurata la pena base – come inequivocabilmente accaduto nel caso di specie, per effetto del riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generi come prevalenti sulle aggravanti-, e pur irrogando una sanzion complessivamente inferiore a quella inflitta in primo grado, applica per i r satellite – già unificati per continuazione – un aumento di pena maggiore risp a quello praticato dal giudice della sentenza riformata, in quanto la posizion questi ultimi non è mutata.
Secondo il dictum delle Sezioni Unite, infatti, nel giudizio di appello, il divi di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo
l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Rv.232066 – 01).
Nella specie, la Corte di appello, nell’accogliere il motivo di gravame del Bitraj e nel rimodulare, quindi, il trattamento sanzionatorio in misura meno grave rispetto a quello irrogato dal primo giudice, applicava l’aumento per la continuazione tra i reati in misura superiore a quello applicato dal primo giudice (mesi nove giorni nove ed euro 7.000,00 di multa in luogo di mesi due ed euro 1.500,00 di multa.
1.4. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente all’aumento per la continuazione e la pena finale rideterminata, applicando l’aumento per la continuazione nella misura stabilita da primo giudice, in base al disposto dell’art. 620 letti) cod.proc.pen. in anni due, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed euro 14.330,00 di multa (pb anni sei di reclusione ed euro 30.000,00 di multa-1/3 ex art. 62-bis cod.pen. =anni quattro di reclusione ed euro 20.000,00 + aumento ex art 81 cpv cp=anni quattro e mesi due di reclusione ed euro 21.500,00 di multa, ridotta di 1/3 per la scelta del rito= anni due, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed euro 14.330,00 di multa). Nel resto il ricorso va rigettato, essendo i restanti motivi, nel complesso infondati (uno infondato e l’altro inammissibile).
2.11 ricorso di COGNOME NOME è,complessivamente, infondato.
2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale, in aderenza alle risultanze istruttorie (contenuto delle conversazioni intercettate e dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME) e con argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche, ha ritenuto comprovata, così confermato la valutazione del primo giudice, la cessione di sostanza stupefacente effettuata in favore di NOME COGNOME ed ha riqualificato il fatto, ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990, in ragione della mancata certa identificazione della natura della sostanza stupefacente oggetto della illecita cessione (crf p 23 della sentenza impugnata e p da 132 a 151 della sentenza di primo grado).
A fronte di tale adeguato percorso argomentativo, il ricorrente, neppure confrontandosi con le argomentazioni dei Giudici di appello (confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso, cfr Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181), propone censure meramente contestative ed orientate a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio, preclusa in sede di legittimità.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Risulta destituita di fondamento la doglianza relativa alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo B2) nel reato di cui all’art. 393 cod.pen.
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che il fatto in questione dovesse riqualificarsi come estorsione tentata e non, invece, come dedotto dall’imputato, come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Deve, infatti, escludersi la configurabilità del reato di esercizio arbitrario dell proprie ragioni, in quanto, la somma dovuta da NOME Christian all’imputato (e al coimputato NOME) – come correttamente argomentato dai Giudici di appelloera pacificamente riferibile al mancato pagamento di una partita di droga e, quindi, era oggetto di una pretesa creditoria non azionale a mezzo di azione giudiziaria.
Le Sezioni Unite (Sez.U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv.280027 – 02) hanno affermato che “i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.
Ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragion la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve, peraltro, corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263589; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268362). Pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale (Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, COGNOME, Rv. 260584; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362), poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967).
E si è precisato che integra il delitto di estorsione la condotta minacciosa o violenta con la quale si costringa, o si tenti di costringere, il beneficiario del cessione di sostanza stupefacente a pagarne il prezzo, trattandosi dell’esercizio di una pretesa non tutelabile dall’ordinamento (Sez.3, n. 9880 del 24/01/2020,Rv.278767 – 01).
Ciò posto, risulta, inoltre, corretta la riqualificazione del fatto in question come estorsione non consumata ma tentata, in quanto, come rilevato dai Giudici di appello, la condotta prima minacciosa e poi violenta, dotata di piena efficacia coercitiva, non aveva determinato il pagamento del preteso debito.
Va ricordato che questa Corte ha già chiarito che, in tema di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si configura il solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere una persona al “facere” ingiunto (Sez.2, n. 3934 del 12/01/2017, Rv.269309 – 01; Sez.2, n. 37515 del 11/06/2013, Rv.256658 – 01).
2.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Deve evidenziarsi che l’unicità del disegno criminoso costituente l’indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione non può identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati, sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali più o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa indole o specie, determinata o accentuata da talune condizioni psico-fisiche, dovendo le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato fin dall’inizio nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, a cui di volta in volta si aggiungerà l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma medesimo; l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula, pertanto, che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose (Sez.0 n. del 18/05/2017, Rv. 270074 – 01; Sez.1, n. 15955 del 08/01/2016, Rv.266615 – 01; Sez.1, n. 5618 del 21/12/1993, dep.22/02/1994, Rv.196545 – 01).
Va ricordato, inoltre, che questa Corte ha affermato che, in tema di continuazione, l’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez.5, n.1766 del 06/07/2015, dep.18/01/2016, Rv. 266413 – 01).
Nella specie, la Corte territoriale, in conformità dei suesposti principi, ha valutato gli elementi di fatto rilevanti ed ha evidenziato che dagli stessi emergeva
l’insussistenza del medesimo disegno criminoso, atteso che il lasso temporale tra i reati era consistente ed ai reati si era avuta la compartecipazione di soggetti diversi (pp. 24 e 25 della sentenza impugnata).
La motivazione è congrua e non manifestamente illogica e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
2.4. Del pari infondato è il quarto motivo di ricorso.
La Corte territoriale nel rimodulare il trattamento sanzionatorio, ha determinato la pena base per il reato più grave (capo B2.) e l’aumento di pena a titolo di continuazione con gli altri due reati contestati (capi B1 e B3)., determinato nella complessiva misura di mesi tre di reclusione ed euro 200,00 di multa in ragione della gravità dei reati correlati al traffico di sostanze stupefacenti.
Le argomentazioni espresse a giustificazione dell’aumento di pena disposto a titolo di continuazione tra i reati contestati, oggetto di doglianza da parte del ricorrente, risulta adeguata e non manifestamente illogica e consente di ritenere assolto l’obbligo motivazionale, nell’ottica di una ragionevole proporzionalità tra entità della pena base ed aumenti di pena per i singoli reati satellite in continuazione; tanto in linea con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, in quanto il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv.282269 – 01; Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01).
Infondata è anche la doglianza relativa al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti, già concesse dal primo giudice, in misura prevalente rispetto alla contestata aggravante.
Va rilevato che la Corte di appello ha confermato la valutazione in termine di equivalenza del giudizio di bilanciamento tra le concesse circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante ritendendola adeguata alla gravità del fatto, così assolvendo congruamente l’obbligo motivazionale.
Va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a
ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in conc
Sez U 25.2.2010, n. 10713, Rv. 245931).
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per il corre adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di
circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri- come avvenuto nel specie – di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati n
norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzat assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sind
di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazion fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice
supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi trat obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente cor
(Sez.2, n.3610 del 15/01/2014, Rv.260415; Sez.5,n.5579 del 26/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.258874 – 01; Sez.4, n.25532 del 23/05/2007, Rv.236992).
3. In definitiva, il ricorso di COGNOME NOME è per alcuni motivi infond per altro inammissibile e va rigettato nel suo complesso, con condanna d
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen, al pagamento delle s processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’aumento per la continuazione rideterminando la pena finale anni due, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed euro 14.330,00 di multa. Rige il ricorso nel resto. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagame delle spese processuali.
Così deciso il 08/04/2025