Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale si è riportata alla requisitoria già depositata e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 dicembre 2022, la Corte d’appello di Napoli ha riformato, unicamente in punto di pene accessorie, la decisione resa in primo grado, nelle forme del rito abbreviato, nei confronti di NOME COGNOME, confermando il giudizio di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, primo comma, n.2, I. fall., per omessa consegna di parte delle scritture contabili relative alla società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli in data 7 marzo 2014, così impedendo la corretta ricostruzione del patrimonio sociale in danno dei creditori.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai due motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo, variamente articolato, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, sub specie di travisamento della prova, per mancata valutazione, da parte dei Giudici d’appello sia delle risultanze istruttorie (con riferimento, soprattutto, al verbale di sequestro, datato 6 dicembre 2011, delle scritture contabili da parte della Guardia di finanza) sia della consulenza tecnica di parte.
Più precisamente, la Corte territoriale non avrebbe valorizzato l’esatta indicazione, da parte dell’imputato, delle scritture e della documentazione contabile, poste in sequestro da parte . della Guardia di finanza, come dimostrato dal verbale di sequestro in atti. Inoltre, l’incertezza -segnalata dalla Corte d’appello- delle somme indicate in bilancio (che la Corte ha quantificato in euro 678.522) è stata valutata senza considerare che il bilancio di riferimento era quello del 2010 e, da allora, le merci in giacenza -materiale elettronico- erano divenute rapidamente obsolete. La discrepanza tra il valore stimato delle merci in giacenza e il ricavato della vendita sarebbe da ricondurre alle scelte estemporanee e discutibili del curatore, come sarebbe stato agevole dimostrare se soltanto la Corte d’appello avesse considerato il contenuto della consulenza tecnica di parte (d’ora in poi: CTP).
Peraltro, dalla CTP emergeva anche l’esistenza di crediti per più di un milione di euro e di anticipi ammontanti a 2.300.000 di euro, nonché di debiti verso la società RAGIONE_SOCIALE. A fronte di tale situazione, la Corte territoriale avrebbe dovuto esercitare i propri poteri integrativi istruttori. La difesa contesta, infine, il giudizio relativo all’elemento psicologico dell’ascritto reato, dal momento che l’imputato ha tenuto regolarmente la contabilità, come dimostrato dal sequestro della documentazione contabile presso lo studio del commercialista.
2.2 Col secondo motivo, si duole di violazione di legge con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte non avrebbe
considerato l’atteggiamento collaborativo dell’imputato, che ha da subito riferito del sequestro della contabilità a opera della RAGIONE_SOCIALE e si è inoltre adoperato per far rinvenire la merce in giacenza.
3.La difesa dell’imputato ha fatto richiesta di trattazione orale del ricorso; tuttavia, all’udienza del 20 dicembre 2023 non si è svolta trattazione orale, non essendo comparso il difensore. Il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, riportandosi alle conclusioni scritte, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso. È pervenuta memoria difensiva dell’AVV_NOTAIO in replica alle conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è manifestamente infondato, perché generico e aspecifico. In primo luogo, la difesa non si confronta in maniera effettiva con la specifica indicazione della Corte relativa alla mancata decisività della contabilità posta in sequestro dalla Guardia di finanza. Sul punto, la Corte ha precisato che la contabilità e le scritture contabili sottoposte a sequestro riguardavano la contabilità di società diversa dalla fallita RAGIONE_SOCIALE Rispetto a tale specifico rilievo, il motivo di ricorso si appalesa, come anticipato, generico, affermando la difesa che la Corte avrebbe dovuto esercitare “i propri poteri integrativi istruttori”, senza ulteriormente indicare l’oggetto di tale integrazione e la sua eventuale decisività ai fini del giudizio.
Escludendo che l’imputato abbia potuto richiedere, in appello, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ai sensi dell’art. 603, comma 1, del codice di rito, attesa la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato (che, se non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l’esclusione di un diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta: cfr. Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249161 – 01), dal motivo di ricorso non è dato comprendere a quale precipuo fine il Giudice d’appello avrebbe dovuto esercitare i propri poteri integrativi istruttori.
Pertanto, va senz’altro disattesa la censura relativa all’asserito travisamento di prova, non avendo il ricorrente indicato né in quale direzione avrebbero dovuto indirizzarsi i poteri istruttori integrativi del Giudice di secondo grado, né le ragioni per cui la CTP avrebbe potuto inficiare e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale
incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr. Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
Il mancato confronto con la motivazione dell’impugnata sentenza coinvolge anche ulteriori doglianze difensive: in primo luogo, quella relativa ai segnalati crediti e anticipi per svariati milioni di euro emergenti dalla CTP, che la Corte non avrebbe avuto cura di valutare. Invero, i Giudici dell’appello hanno più volte ribadito la mancata consegna alla curatela dell’elenco dei creditori, ciò che ha reso impossibile verificare l’esistenza dei crediti stessi; a tale specifica censura, la difesa replica in maniera generica, segnalando la mera esistenza di crediti, desumibili dalla CTP, non meglio specificati.
In secondo luogo, la difesa sorvola totalmente sulle cifre indicate dalla Corte, relative a un ammanco contabile di ben 678.522 euro. Rispetto a tale dato, la Corte territoriale ha sottolineato la palmare sproporzione tra quella cifra e il ricavato della vendita delle giacenze (euro 1.600). Più precisamente, la Corte ha ricordato che la curatrice aveva stimato in euro 30.000 il valore della merce in giacenza, poi venduto con un ricavo di euro 1.600. La discrasia tra le ultime due cifre – ha notato la Corte – può spiegarsi addivenendo alla tesi difensiva, che insiste sul naturale processo di obsolescenza delle merci depositate in magazzino. Ma la Corte ha rimarcato anche come restasse, in ogni caso, irrisolto il problema della sproporzione tra i quasi settecentomila euro di rimanenze indicate in bilancio (che, secondo la difesa stessa -ha ricordato la Corte- rappresenterebbe il valore delle reale delle merci in giacenza) e l’effettivo guadagno della vendita delle giacenze. Ebbene, rispetto a ciò, la difesa, lungi dal replicare adeguatamente alla razionale conclusione della Corte, si limita a lamentare l’approssimazione con cui il curatore avrebbe operato, vendendo le giacenze a un così irrisorio prezzo. E, così argomentando, si concentra non già sulla cifra di quasi settecentomila euro, indicata dalla Corte quale oggetto di ammanco contabile, spostando invece il fuoco, in maniera inconferente, sui 30.000 euro stimati (erroneamente, nella prospettazione difensiva) dalla curatela quale valore delle merci in giacenza.
Di talché non resta che evidenziare l’inammissibilità degli argomenti, versati in fatto, ai fini del sindacato di legittimità, sui quali è opinione consolidata che la Corte di legittimità non può pronunciarsi (ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, COGNOME, Rv. 205621 e, tra le più recenti, Sez. 4, n. 47891 del 28/9/20Ò4, COGNOME, Rv. 230568; nonché, vedi Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME Vita, Rv. 235507). Le frammentarie indicazioni contenute in ricorso aspirano ad una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quanto proposto dai giudici di merito, ignorando la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215).
Anche la censura relativa all’elemento soggettivo del reato è inammissibile, in quanto aspecifica.
In primo luogo, dal tenore letterale del motivo non emerge quale sia, con esattezza, la censura sollevata, se cioè essàriferisca alla mancata derubricazione del reato in bancarotta semplice oppure se si contesti il tipo di dolo ravvisato dalla Corte territoriale. Né l’epigrafe del motivo apporta lumi, posto che non risultano esplicitate, in maniera specifica, eccezioni relative all’elemento soggettivo del reato. In ogni caso, il profilo evidenziato dalla difesa a supporto della dimostrazione dell’assenza di dolo dell’imputato (vale a dire, la riferita -da parte dell’imputato- esistenza di indagini svolte della Guardia di finanza), è stato ritenuto dalla Corte d’appello ininfluente ai fini del giudizio sulla responsabilità per l’ascritto reato, per i motivi già esplicati. Lo stesso dicasi per il dato -egualmente rimarcato dalla difesa- della mancata distrazione, da parte del ricorrente, delle giacenze di magazzino. Il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice è stato ravvisato dalla Corte in precisi indici di fraudolenza, quali l’incertezza in bilancio quantificata in euro 678.522, derivante dall’omessa consegna delle scritture contabili, e l’omessa consegna dell’elenco di creditori, da cui sono conseguite, da un lato, l’impossibilità assoluta di verificare l’esistenza di crediti e, dall’altro, l’impossibilità di ricostruire il movimento degli affari con pregiudizio del ceto creditorio (sulla necessaria sussistenza di indici di fraudolenza sulla base dei quali fondare la prova della volontà e consapevolezza di recare pregiudizio ai creditori, cfr. Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283983 – 01; cfr. anche Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01: in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il secondo motivo è manifestamente infondato, avendo i Giudici del merito adeguatamente confutato la prospettazione difensiva relativa alla propensione collaborativa dell’imputato, il quale, pur avendone l’opportunità, non si è adoprato per fornire prova del sequestro delle scritture contabili da parte della Guardia di finanza. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è
giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Il Collegio, pertanto, dichiara inammissibile il ricorso. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente