Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13599 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13599 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/01/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale COGNOME,
che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 27 gennaio 2023 dalla Corte di appello di L’Aquila, che – per quanto qui di interesse ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale COGNOME NOME era stato ritenuto responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta documentale, di bancarotta fraudolenta distrattiva, di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto
(tutti in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 20 marzo 2012) nonché per il reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – nella qualità di amministratore di fatto – avrebbe sottratto parte della documentazione contabile e l’avrebbe comunque tenuta in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società. Avrebbe, inoltre, distratto ingenti somme di denaro e avrebbe aggravato il dissesto della società, astenendosi dal chiederne il fallimento, nonostante fosse consapevole della grave crisi finanziaria, in atto fin dal 2010, delle ingenti perdite e d patrimonio negativo. Avrebbe, poi, al fine di evadere il pagamento dell’I.V.A. e delle imposte sui redditi, omesso di presentare le relative dichiarazioni per l’anno 2011.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore.
2.1. Con un unico motivo, articolato in più censure, deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 216, 217, 219 e 223 legge l’ali.
Il ricorrente rappresenta che: la società fallita faceva parte di un unico gruppo di società, al cui capo era posto il “RAGIONE_SOCIALE“; l’imputato era il presidente della sola capogruppo; ciascuna società del gruppo aveva una propria struttura organizzativa e dei propri legali rappresentanti.
Tanto premesso, con una prima censura, articolata con riferimento alla bancarotta documentale, sostiene che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato il fatto che la società capogruppo, per il controllo di tutte le operazioni contabili, si era avvalsa prima di uno studio di commercialisti e poi di un «qualificato staff». Pertanto, anche se si volesse ritenere fondata la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo la quale l’imputato sarebbe stato l’amministratore di fatto della società fallita, nondimeno lo si dovrebbe ritenere esente da RAGIONE_SOCIALE per il reato di bancarotta documentale, atteso che il controllo delle operazioni contabili era stato affidato a uno specifico ufficio amministrativo.
Con una seconda censura, articolata con riferimento alla bancarotta distrattiva, sostiene che: le operazioni contestate dovrebbero esser valutate nell’ambito del più ampio contesto dei rapporti tra le società facenti parte del medesimo gruppo; l’imputato avrebbe agito nella convinzione che l’operazione in questione si inserisse in una più ampia e complessa strategia di lungo periodo, che avrebbe potuto portare a risultati positivi per l’intero gruppo societario.
Con una terza censura, articolata con riferimento all’aggravamento del dissesto societario, sostiene che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente tenuto conto delle seguenti circostanze: l’andamento negativo della società era stato determiNOME dal venir meno dell’appalto per la pulizia da eseguirsi presso la “RAGIONE_SOCIALE“; il fallimento della società era stato dichiarato poco dopo il manifestarsi della sua crisi finanziaria.
Con una quarta censura, articolata con riferimento al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, sostiene che la Corte di appello non si sarebbe adeguatamente espressa in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo e dei presupposti oggettivi del reato contestato.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
AVV_NOTAIO, per la parte civile, ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’unico motivo di ricorso, in tutte le censure nelle quali si articola, inammissibile.
La prima censura si presenta del tutto generica, essendosi il ricorrente limitato ad affermare che l’imputato avrebbe affidato il controllo della contabilità, prima, a uno studio di commercialisti e, poi, a un «qualificato staff».
La genericità è resa palese dal fatto che il ricorrente non ha specificamente indicato lo studio di commercialisti e lo «staff» e, tantomeno, ha indicato gli elementi dai quali si dovrebbero dedurre tali circostanze. La censura, sotto altro profilo, è anche completamente priva di fondamento, atteso che, in mancanza di prova contraria, si deve ritenere che i soggetti ai quali viene affidata la contabilità si attengano alle indicazioni loro fornite dall’amministratore della società, alle cui dipendenze lavoravano.
Al riguardo, va ribadito che, «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da RAGIONE_SOCIALE per il fatto che la c:ontabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegat sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova
contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titol dell’impresa» (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Marelli, Rv. 280133).
La seconda censura, relativa alla bancarotta distrattiva, è priva di specificità estrinseca, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 7 della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che l’asserito risultato vantaggioso per la società fallita non era stato dimostrato e appariva invece contraddetto dalle evidenze dell’istruttoria.
Tale valutazione si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, «in materia di bancarotta patrimoniale, la mera circostanza della collocazione della società fallita all’interno di un gruppo non esclude la penale rilevanza del fatto, essendo necessaria a tale fine la sussistenza di uno specifico vantaggio, anche indiretto, che si dimostri idoneo a compensare gli effetti immediatamente negativi della operazione per la stessa società, trasferendo su quest’ultima il risultato positivo riferibile al gruppo» (Sez. 5, n. 44963 de 27/09/2012, Bozzano, Rv. 25451901).
Il ricorrente, non confrontandosi con la motivazione della Corte di appello, non ha neppure indicato quali sarebbero i presunti vantaggi conseguiti dalla fallita.
La terza censura è del tutto generica, atteso che il ricorrente, a fronte di una specifica contestazione – secondo la quale l’imputato era consapevole della grave crisi finanziaria, in atto fin dal 2010, delle ingenti perdite e del patrimonio negativ – si limita a generiche asserzioni, non indicando neppure gli atti sulla base dei quali si fonda la tesi difensiva. In particolare, non ha fornito alcun elemento dal quale poter desumere che la società sarebbe effettivamente fallita subito dopo la sua crisi finanziaria, quando, invece, secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, la grave crisi finanziaria si era già manifestata nel 2010 e il fallimento era intervenuto solo nel 2012.
Generica è anche la quarta censura, con la quale il ricorrente si limita a sostenere che la Corte di appello non si sarebbe adeguatamente espressa in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo e dei presupposti oggettivi del reato contestato. Va, peraltro, rilevato che già l’atto di appello, nella parte relativa a reati tributari, si presentava del tutto generico, atteso che l’appellante si limitava a sostenere che gli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria clibattimentale non erano «adeguati al fine di riconoscere la sussistenza dei presupposti oggettivi dei reati tributari e dell’elemento psicologico in capo all’imputato», senza specificare
perché gli elementi valorizzati dal giudice di merito non sarebbero stati sufficienti a fondare il giudizio di RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo, deve essere ribadito che «l’inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a saNOMEria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento» (Sez. 3, n. 20356 del 02/12/2020, Mirabella, Rv. 281630).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Nulla può essere liquidato per le spese sostenute dalla parte civile, atteso che essa non ha offerto alcun particolare contributo, essendosi,, sostanzialmente, RAGIONE_SOCIALE a chiedere il rigetto del ricorso e la conferma della decisione impugnata, senza contrastare specificamente i motivi d’impugnazione proposti (cfr. Sez. U. n. 877 del 14 luglio 2022, COGNOME).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso, il 9 novembre 2023.