Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31241 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso riportandosi alle conclusioni depositate in vista dell’udienza del 28 febbraio 2024; udita l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza emessa il 19 maggio 2023, riformava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Brescia, assolvendo COGNOME oltre al coimputato COGNOME, dal delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione in concorso, contestato al capo b), in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE, mentre confermava la responsabilità del solo attuale ricorrente in ordine all’imputazione sub capo a), relativa alla bancarotta fraudolenta societaria documentale di tipo specifico, per sottrazione o distruzione delle scritture contabili.
NOME COGNOME risultava essere stato amministratore unico della società fallita dal 12 ottobre 2009 al 25 settembre 2012, nonché socio al 90%, mentre l’altro socio COGNOME era stato liquidatore da tale ultima data al 19 marzo 2013, e allo stesso seguiva ian COGNOME, quale liquidatore fino alla dichiarazione di fallimento, intervenuta con sentenza del 10 aprile 2014.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di COGNOME consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe eluso il motivo di appello che deduceva che all’imputato, amministratore di diritto per un determinato arco temporale, non potesse essere attribuita la responsabilità quale amministratore di fatto in ordine all’ulteriore periodo: ciò doveva condurre la Corte di merito a rilevare la diversità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato, non essendo stato in grado l’imputato di difendersi a riguardo e non potendo farlo certamente in grado di legittimità, risultando la questione afferente al merito.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 216, comma 1, n. 2, I. fall.
Osserva la difesa del ricorrente che l’imputato non era onerato del dovere di consegna delle scritture contabili al curatore non rivestendo più, all’epoca della procedura fallimentare, la carica di amministratore di diritto, risultando essere stato da oltre un anno nominato il liquidatore della società.
Né risultava che al ricorrente fosse stata rivolta una richiesta specifica dal curatore, o che l’imputato. avesse ricevuto in consegna le scritture contabili da parte del commercialista, essendo stata disconosciuta la firma apposta sulla ricevuta di consegna delle scritture medesime.
Il terzo motivo e il quarto motivo deducono violazione di legge penale con riferimento agli artt. 216, comma 1 n. 2, 217 I. fall. e 42 cod. pen., nonché vizio di motivazione.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto comprovato il dolo richiesto dalla norma incriminatrice, che consiste nel dolo specifico con scopo di avvantaggiarsi di ingiusto profitto o pregiudicare i creditori, e pertanto, difettando una adeguata motivazione a riguardo, pur a fronte di una specifica censura di
appello, la sentenza impugnata avrebbe dovuto riqualificare la condotta in quella di bancarotta semplice documentale.
Il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, dl. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art.94 del d.lgs. 10 ottobre 2022, come modificato dall’art. 5-duodecies dl. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Quanto al primo motivo deve evidenziarsi come l’imputazione rechi l’attribuzione di responsabilità al ricorrente, non solo nella qualità di amministratore di diritto in un arco temporale definito, fino al 25 settembre 2012, a fronte della sentenza di fallimento del 10 aprile 2014, ma anche quale socio concorrente nel delitto, con il successivo amministratore di diritto e poi con il I iquidatore.
Pertanto, la prima doglianza, relativa alla violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. è infondata e corretta è la valutazione della Corte di merito.
D’altro canto, perché possa aversi violazione del combinato disposto degli artt. 516 e ss. e 522 cod. proc. pen. occorre che il fatto contestato assuma le caratteristiche della diversità o di assoluta novità richieste dalle norme del codice di rito, che attivano gli obblighi di notifica per consentire l’esercizio dei diritti di all’art. 519 cod. proc. pen.
Sul punto la Corte di appello ha evidenziato come fin dalla sentenza di primo grado fosse stata riconosciuta all’imputato la qualità di amministratore di fatto della società, oltre a quella di socio e di precedente amministratore di diritto.
A ben vedere non erra la Corte di appello nel ritenere, seppur implicitamente, che non vi sia stata alcuna lesione del diritto di difesa. Le disposizioni invocate vengono richiamate dalle norme che regolano l’esito del giudizio, l’art. 521 che impone al giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero se il fatto emerso dall’istruttoria è diverso da quello contestato, l’art. 522 per il caso in cui l
sentenza sia emessa per un fatto diverso e, dunque, in violazione del principio di correlazione fra contestazione e decisione.
Tali disposizioni richiedono di valutare se il fatto, come emerso dall’istruttoria, sia diverso da quello contestato e, pertanto, soccorre a riguardo l’autorevole principio che rileva come la diversità debba avere i caratteri della trasformazione radicale.
Per aversi mutamento del fatto, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, occorre che si pervenga ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619 – 01).
Si è anche affermato che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, rv. 281477 – 01; conf. n. 16900 del 2004 rv. 228042 – 01, n. 35225 del 2007 rv. 237517 – 01, n. 15655 del 2008 rv. 239866 – 01, n. 41663 del 2005 rv. 232423 – 01, n. 4497 del 2016 rv. 265946 01, n. 33878 del 2017 rv. 271607 – 01, n. 12328 del 2019 rv. 276955 – 01).
Or bene, nel caso in esame, la lettera dell’imputazione contesta il concorso dell’imputato nella condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle scritture contabili, quindi anche per la frazione successiva alla dismissione della carica di amministratore di diritto, restando lo stesso socio: la ritenuta qualità di amministratore di fatto e di concorrente era già nella formulazione dell’accusa, e certamente non incompatibile con la stessa, tanto da integrare la descritta radicale diversità.
Per altro deve anche evidenziarsi come l’attribuzione della qualità di amministratore di fatto, tratta dalla stipula del contratto di locazione della sede sociale durante il periodo di liquidazione, nonché dall’accollo in favore dei soci (fra i quali il ricorrente) effettuato da parte del liquidatore, emergesse già dalla sentenza di primo grado, cosicché anche se vi fosse stata, il che non è, una diversa qualificazione giuridica del fatto, all’imputato era consentito l’esercizio di un pieno diritto di difesa fin dal secondo grado, trattandosi di giudizio di merito.
Infatti, è stato sostenuto, in modo condiviso da questo Collegio, che l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111, comma terzo, Cost. e dall’art. 6 CEDU, comma primo e terzo, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Sez.4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948 – 01; mass. conf. N. 46786 del 2014 Rv. 261052 – 01, N. 10093 del 2012 Rv. 251961 01, N. 2341 del 2013 Rv. 254135 – 01, N. 7984 del 2013 Rv. 254649 – 01).
Ne consegue l’infondatezza del primo motivo.
Quanto al secondo motivo lo stesso è anche infondato.
3.1 A ben vedere, rispetto alla valutazione delle due sentenze di merito, che attribuiscono all’imputato il ruolo di amministratore di fatto nella fase successiva alla cessazione dall’incarico di amministrazione di diritto, il motivo non ‘attacca’ le ragioni per le quali è stata ritenuta comprovata tale qualità, che viene ad essere affermata dalla Corte di merito sulla base di molteplici risultanze.
In primo luogo, la testimonianza del consulente commercialista della società, COGNOME. Costui riferiva che le scritture contabili furono restituite ai soci in data 11 febbraio 2014 (e l’imputato era uno dei soci), e che nel corso del proprio incarico professionale, terminato evidentemente nel periodo di liquidazione – circa due mesi prima della sentenza di fallimento con la consegna delle scritture contabili – aveva avuto rapporti con la società solo attraverso l’attuale imputato, il che comprova il ruolo gestorio dello stesso oltre il termine della carica formale.
Altra circostanza, valorizzata dalla Corte di merito, a riprova del narrato di COGNOME, riguardava anche la esibizione proprio da parte dell’attuale ricorrente della ricevuta di consegna delle scritture contabili, a riprova della disponibilità delle stesse.
Infine, risultava anche – quale ulteriore elemento comprovante il ruolo di amministratore di fatto del ricorrente – che NOME COGNOME avesse stipulato il contratto di locazione della sede sociale in favore di terzi in data 27 maggio 2013, nel periodo di liquidazione della società, allorché lo stesso non aveva più alcun incarico formale di amministrazione.
A ben vedere, in assenza di censure specifiche sul punto, basti qui richiamare la coerenza della decisione della Corte di merito rispetto al principio per cui ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con
funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019 – dep. 06/11/2019, Bonelli, Rv. 27754001).
Nel caso in esame il rapporto stabile con il tenutario delle scritture fino alla consegna delle stesse, come anche la sottoscrizione del contratto di locazione della sede sociale, oltre che l’accollo a titolo gratuito in favore dei soci, fra i quali l’attuale imputato, operato dal liquidatore resosi poi irreperibile, dimostrano come l’imputato abbia agito, oltre che come socio, anche quale amministratore di fatto successivamente alla cessazione della carica di diritto.
3.2 Tanto premesso le doglianze difensive sono infondate, in quanto i doveri dell’amministratore di fatto sono i medesimi spettanti a quello di diritto e, in relazione alle scritture contabili, l’imputato era tenuto alla regolare tenuta e alla conservazione delle stesse, consentendo così al curatore di rinvenirle presso la sede sociale, anche senza alcuna richiesta da parte dello stesso.
Infatti, quanto al primo punto, chi ricopre le funzioni di amministrazione, di fatto e anche in via non esclusiva, ha comunque il dovere di adempiere agli obblighi nell’interesse della società: infatti in base alla disciplina dettata dall’art 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.( Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 250844; Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094).
Quanto COGNOME al COGNOME dovere COGNOME di COGNOME tenuta COGNOME delle COGNOME scritture COGNOME contabili, COGNOME incombe sull’amministratore di fatto ai sensi dell’art. 2214 cod. civ. che prevede come l’imprenditore che eserciti un’attività commerciale debba tenere il libro giornale e il libro degli inventari, il che implica la conservazione e l’aggiornamento degli stessi, come anche di ogni altra scrittura contabile richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa, dovendo per altro l’imprenditore conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e della fatture spedite.
A fronte di tale dovere generale spettante anche all’amministratore di diritto, non rileva se vi sia stata o meno richiesta all’imputato del deposito delle scritture.
3.3 A tal proposito, viene dedotto travisamento sia in ordine alla ricevuta di consegna delle scritture contabili, che non comproverebbe che le abbia ricevute l’attuale imputato, in quanto non ne sarebbe leggibile la firma, come anche travisata sarebbe la deposizione di COGNOME, il cui verbale è allegato al ricorso.
A ben vedere le due censure, quando anche fossero fondate, non risulterebbero in grado di disarticolare l’argomentazione della Corte territoriale, in quanto sussistendo il dovere dell’amministratore di fatto di tenuta delle scritture, non rileva se costui le abbia ricevute o meno, avendo rilievo anche solo l’omissione nella conservazione ai sensi dell’art. 40 cod. pen. e l’omessa ricostituzione delle stesse in caso di dispersione.
D’altro canto, quanto alla ricevuta di consegna, non rileva la circostanza che la stessa non sia controfirmata dall’imputato, a fronte della circostanza che COGNOME ne abbia la disponibilità materiale tanto da esibirla in giudizio, circostanza che in sé conferma come l’imputato agisse quale amministratore di fatto e avesse comunque la disponibilità della ricevuta, il che implica anche la disponibilità delle scritture consegnate. .
Quanto a COGNOME, lo stesso nel corso della escussione dinanzi alla Corte di appello ha confermato di avere avuto rapporti solo con l’imputato, come anche che la firma apposta sulla ricevuta fosse da lui ritenuta quella di COGNOME, pur se non ricordava l’incontro, proprio perché i rapporti avuti con la società si risolvevano in via esclusiva nei rapporti con l’attuale imputato.
Non si riscontra, quindi, alcun travisamento operato dalla sentenza impugnata.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Quanto al terzo e quarto motivo, deve rilevarsi come le doglianze siano fondate. A fronte dell’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale di tipo specifico, la motivazione che si legge al fol.10 della sentenza impugnata risulta apparente.
A ben vedere il dolo specifico viene tratto dalla condotta in sé e viene correlato alla volontà di fare evitare che emergesse uno stato passivo superiore a 150nnila euro, per trarne la conseguenza che ciò configuri la volontà specifica di recare pregiudizio ai creditori.
E’ noto, quanto al coefficiente soggettivo richiesto, che la bancarotta fraudolenta documentale di tipo specifico, consistente nella condotta di sottrazione, occultamento e falsificazione delle scritture contabili, nonchè di omessa tenuta delle stesse (condotta assimilata dalla giurisprudenza consolidata
alle ipotesi previste dalla norma incriminatrice) debba essere ‘sostenuta’, secondo la lettera della prima parte dell’art. 216, comma 2, n. 1, legge fall., dal dolo specifico consistente nello scopo di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o a altri un ingiusto profitto: infatti, proprio la natura specifica del dolo, è stato osservato, in ordine alla condotta di omessa tenuta, consente di distinguere fra la bancarotta fraudolenta documentale e quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall. e punita sotto il titolo di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME Mitri e altri, Rv. 252992). Diversamente, nell’ipotesi prevista dalla seconda parte della medesima disposizione incriminatrice dell’art. 216, comma 1, n. 2, per le condotte di infedele tenuta delle scritture contabili, caso nel quale le scritture esistono e sono rinvenute, ma sono state tenute in guisa da rendere impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale – elemento impropriamente richiamato dalla Corte di appello quanto al profilo soggettivo -è sufficiente il dolo generico (tra le altre: Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 279838).
Nel caso in esame, la Corte territoriale non evidenzia quali siano gli indici di fraudolenza dai quali trarre che vi fosse una volontà diretta dell’imputato alla sottrazione delle scritture contabili, che pure con certezza erano nella propria disponibilità, come accertato: in tal senso può certamente rilevare il passivo fallimentare, al quale si richiama la sentenza impugnata, ma si tratta di un unico indice insufficiente a comprovare Vanimus nocendi richiesto, che deve essere tratto anche da ulteriori condotte poste in essere dall’imputato, dalle sue relazioni con amministratore formale e liquidatore, della tipologia dei debiti ammessi al passivo, dell’interesse dell’imputato, oltre che da un esame delle ulteriori emergenze, non potendo più ricorrersi alla responsabilità per la bancarotta distrattiva, venuta meno, che costituisce solitamente una ragione probatoria ‘forte’ in ordine alla sussistenza del dolo specifico richiesto per la bancarotta documentale (sul punto, per un esame accurato del dolo specifico richiesto, cfr. Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, rv. 284677 – 02).
Pertanto la sentenza impugnata va annullata con rinvio e la Corte rescissoria provvederà in merito tenendo in conto i principi di diritto indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso in Roma, 18/04/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente