Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6389 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6389 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a REVERE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME,
che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 13 dicembre 2022 dalla Corte di appello di Brescia, che ha riformato – limitatamente al trattamento sanzioNOMErio – la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Mantova, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condanNOME COGNOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE“, fallita il 21 gennaio 2016, nonché per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta distrattiva, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 17 marzo 2016.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – nella qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE” – avrebbe tenuto le scritture contabili in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società. Inoltre – nella qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE” – avrebbe tenuto le scritture contabili in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società e avrebbe distratto dalle casse della società la somma complessiva di euro 294.591,93.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale.
Rappresenta che: l’imputato aveva presentato al giudice per l’udienza preliminare istanza di definizione del procedimento nelle forme del rito abbreviato, condizioNOME all’escussione di tre testi; solo in via subordinata, aveva chiesto l’abbreviato non condizioNOME; il giudice aveva accolto l’istanza subordinata, ritenendo che l’integrazione probatoria richiesta non fosse necessaria per la decisione; con specifico motivo di gravame, la difesa aveva contestato la decisione del giudice di primo grado di non accogliere l’istanza di abbreviato condizioNOME; la Corte di appello ha ritenuto infondato il motivo, poiché le integrazioni richieste erano prive delle necessarie caratteristiche di novità e decisività.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la decisione della Corte di appello, sostenendo che la richiesta di integrazione probatoria prevista dall’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. «è espressione del diritto di difendersi provando», evidenziando che, nel caso specifico, l’imputato avrebbe voluto fornire «un quadro probatorio massimante preciso, anche in un’ottica di graduazione della pena e di eventuale bilanciamento delle circostanze».
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vi71(1) di erronea applicazione della legge penale.
Rappresenta che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto sufficiente per l’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale il mero dolo generico. Tanto premesso, il ricorrente contesta la decisione dei giudici di merito, sostenendo che per integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale sarebbe necessario il dolo specifico.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 219 legge fall.
Rappresenta che i giudici di merito hanno applicato sia l’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall. – con riferimento ai più fatti di bancarotta commessi in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE” – che l’art. 81 cod. pen., ponendo in continuazione i reati di bancarotta commessi in relazione al fallimento di quest’ultima società con il reato di bancarotta fraudolenta documentale commesso in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto applicare il solo art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., atteso che tutti i reati, sebbene commessi in relazione a fallimenti diversi, erano connessi e uniformi tra loro.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 6 della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha evidenziato che: a fronte di un quadro istruttorio che si presentava completo, l’imputato e il suo difensore non avevano indicato quale fossero i «profili di incompletezza» che sarebbero stati sanati con l’escussione dei testi richiesti; lo stesso appellante, con l’atto di gravame, si era limitato a prospettare una «generica opportunità di chiarimento delle contestazioni», «evocando così parametri cognitivi in definitiva coincidenti con quelli della mera rilevanza, del tutto insufficienti a giustificare» l’integrazione probatoria.
Si tratta di una decisione in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, «ai fini dell’ammissione al giudizio abbreviato condizioNOME, la necessità dell’integrazione probatoria è configurabile quando la prova richiesta abbia i requisiti della novità e decisività, e, pertanto, presuppone, da un lato, l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti, e, dall’altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell’attività istrutto
richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio» (Sez. 2, n. 10235 del 10/11/2020, Fragalà, Rv. 280990).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va premesso che: all’imputato è stato contestato di avere tenuto le scritture contabili in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società; i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato la sussistenza del dolo generico.
Tale decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, «in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede i dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico» (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611).
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Va ricordato che «la circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., è applicabile qualora una pluralità di fatti di bancarotta sia contestata nell’ambito della stessa procedura concorsuale, potendo invece trovare applicazione l’istituto della continuazione in caso di concorso di reati di bancarotta relativi a procedure concorsuali diverse» (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, Vianello, Rv. 242547).
Nel caso in esame, pertanto, correttamente i giudici di merito hanno applicato l’aggravante di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., in relazione ai più fatti di bancarotta commessi in relazione al fallimento della `”RAGIONE_SOCIALE“, ponendoli, poi, in continuazione con l’unico reato relativo al diverso fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 17 novembre 2023.