Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30320 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30320 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NISCEMI il 11/08/1958
NOME nato a GELA il 30/11/1985
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso.
Procedimento a trattazione scritta
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta, Seconda Sezione penale, decidendo in sede di giudizio di rinvio disposto dalla Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10147 del 2024 di annullamento della sentenza n. 331 del 2024 della Corte di appello di Caltanissetta – che aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Gela del 16 giugno 2022 – ha nuovamente confermato tale sentenza adottata nei confronti di NOME COGNOME e NOME Salvo, per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 216, comma 1, n. 2 r. d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, RAGIONE_SOCIALE dell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE controllata RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE liquidazione RAGIONE_SOCIALE coatta amministrativa).
1.1.Va rilevato che il capo di imputazione descriveva la condotta contestata agli imputati nell’avere, in concorso tra loro, e in particolare, NOME Maria COGNOME in qualità di rappresentante legale e NOME COGNOME in qualità di titolare di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sottratto, distrutto o, comunque, omesso di consegnare alla curatela fallimentare tutta la documentazione fiscale e contabile, in modo tale da rendere non possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari dell’impresa, dichiarata fallita con sentenza n. 22 del 2015, dal Tribunale di Gela.
1.1. Ciò posto, la sentenza rescindente ha richiesto di colmare plurime lacune concernenti l’incertezza ricostruttiva quanto alla effettiva sorte delle scritt contabili, dovendo chiarire se si fosse di fronte a una ipotesi di sottrazione o omessa tenuta, rilevando in tale ultima ipotesi la differenza con la bancarotta semplice, d cui all’art. 217 I. fall.; dovendo approfondire la sussistenza del dolo specifico di c alla prima parte dell’art. 216, comma 1, n. 2 I. fall.; e, in aggiunta ai punti indi dovendo procedere alla verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo specificamente in capo alla ricorrente, stante l’acclarato ruolo di fatto in capo padre coimputato.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
2.1. NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME ha dedotto, con un unico motivo, la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., l’inesistenza, la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazio in ordine ai punti oggetto della sentenza di annullamento; nonché, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., la violazione dell’art. 216, comma 1, n. 2 r. d. n. 267 del 1942, e comunque la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, il ricorrente ha evidenziato che la sentenza ora impugnata, a seguito della riapertura della istruttoria, è pervenuta a due esiti assolutamente pacifici, ovvero che fino al 2011, almeno parzialmente, le scritture contabili erano esistenti ed erano nella disponibilità, nel 2008, della coimputata NOME COGNOME e che la società non aveva depositato i bilanci relativi agli anni 2011, 2012, 2013 e 2014. Tuttavia, si osserva, che in modo contraddittorio, illogico e immotivato la Corte di appello ha ritenuto che la fattispecie in esame fosse ascrivibile ad una condotta di sottrazione della documentazione fiscale e contabile in quanto né i libri, né le scritture contabili erano stati rinvenuti o depositati dopo la dichiarazione d fallimento intervenuta con una sentenza del 14 ottobre 2015.
Quanto all’elemento psicologico, il ricorrente ha eccepito la sussistenza di una motivazione insoddisfacente perché fa riferimento alla impossibilità per il curatore di accertare il movimento degli affari, l’incasso di alcuni crediti e la destinazione d fondo cassa, elementi che attengono alla bancarotta documentale generica senza precisare i connotati del dolo specifico della fattispecie ritenuta provata; dolo che sarebbe ritenuto sussistente con una formula di stile e su di un piano del tutto astratto, scollegato rispetto alla effettiva e concreta dinamica della vicenda.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe perpetrato l’errore logico e di diritto che la Corte di cassazione aveva censurato in quanto ha fondato la condotta fraudolenta e la sussistenza del dolo specifico sulla circostanza che i libri e le scritture contabili furono fatti sparire in coincidenza con la chius dell’attività e della totale dismissione dei beni, al fine di rendere impossibile individuazione dell’attivo presente / tant’è che la procedura fallimentare si chiuse rapidamente per assenza di attività liquidabile non essendo stato rinvenuto alcun bene aziendale e neppure la sede sociale.
Più specificamente, con il motivo di ricorso si è evidenziato che già con la prima sentenza era stato affermato – con ragionamento censurato dalla sentenza di annullamento – che il perdurante stato di crisi della società, l’omesso deposito dei bilanci e la cessione del ramo d’azienda costituivano circostanze univocamente convergenti nel senso del volontario e cosciente occultamento e distruzione e, comunque, della omissione delle scritture contabili al fine di recare pregiudizio ai creditori, di talché con la sentenza ora impugnata i giudici sarebbero incorsi nel medesimo errore considerando indubbia l’esistenza di una pluralità di ulteriori indici deponenti per la sussistenza del dolo specifico in capo ad entrambi gli imputati quali la totale distrazione dei beni aziendali, un passivo ammontante a circa 20 milioni di euro, l’assenza di una sede sociale, la mancata collaborazione con la curatela e la finale condizione di irreperibilità.
Nel ricorso si è, dunque, eccepito che nella fattispecie si sarebbe dovuto ravvisare, al più, l’ipotesi della bancarotta semplice atteso l’arco temporale interessato dal comportamento antigiuridico (dal 2011 al 2014) e la mancanza di prova dello svolgimento di attività sociale nello stesso periodo, non essendo stata rinvenuta alcuna traccia del compimento di operazioni distruttive che avrebbero potuto giustificare un intento fraudolento, non potendosi in ciò solo ritenere sussistente il dolo specifico dell’essere stata la condotta del Salvo finalizzata da recare pregiudizi ai creditori, impedendo la conoscenza dei fatti gestionali posti in essere negli anni 2011 al 2014 e dunque al ridosso della procedura fallimentare.
L’omessa tenuta della contabilità avrebbe riguardato un periodo di vita sociale nel quale l’attività di impresa risultava di fatto cessata, sicché le inadempienze documentali non possono dirsi sorrette dall’intenzione specifica di attentare alle prerogative dei creditori in quanto la situazione economica e patrimoniale della società si è arrestata a ridosso dell’ultimo bilancio presentato nel 2011.
Di conseguenza la Corte d’appello avrebbe confuso la prova dell’occultamento delle scritture con la prova della sussistenza dell’elemento psicologico del dolo specifico, non essendo a tal fine sufficiente il mero rilievo del mancato rinvenimento dei libri e delle scritture dopo la dichiarazione di fallimento dell’ottobre 2015, né circostanza che i libri e le scritture contabili furono fatte sparire in coincidenza c la chiusura dell’attività e della totale dismissione dei beni, al fine di rend impossibile la individuazione dell’attivo presente.
2.2. NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME ha dedotto due motivi di ricorso, di seguito enunciati in conformità al disposto di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.3. Con il primo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 187, 192, 533, comma 1, cod. proc. pen. e artt. 110, 216,comma 1 e comma 23, r. d. n. 267 del 1942.
In particolare, la ricorrente ha eccepito che nella sentenza impugnata si è dato atto che, successivamente al provvedimento di dissequestro e restituzione dell’azienda, le scritture contabili sono state consegnate a NOME COGNOME, il quale le ha poi esibite alla Guardia di Finanza nel corso della verifica fiscale del 2011 che fino al 2011 le scritture erano esistenti e nella disponibilità della ricorrente 2008, che aveva delegato il dott. COGNOME a ricevere la documentazione restituita dall’amministratore giudiziario e, poi nella disponibilità di NOME Giuseppe nel 2011, avendole questo esibite nel corso della verifica fiscale.
In relazione a tale profilo, la ricorrente ha dedotto che la sentenza non ha esplicitato le ragioni per le quali dopo aver dato conto della disponibilità del documentazione contabile da parte di NOME COGNOME, così affermando di essere in presenza di una fattispecie di sottrazione, ha concluso per la riferibilità di ta condotta anche alla ricorrente, quantunque non fosse più nella disponibilità della stessa, certamente a partire dal 2011, essendo emerso che nel 2008 aveva delegato il dott. COGNOME a riceverla in restituzione dopo il dissequestro.
Inoltre, la difesa ha eccepito che il fatto che la ricorrente avesse disertato l convocazione del curatore (inviata a mezzo raccomandata il 7 novembre 2015) e non avesse presenziato all’apposizione di sigilli in data 9 novembre 2015, trattandosi di circostanze successive alla dichiarazione di fallimento, non può essere sintomatico della responsabilità della stessa per il reato di sottrazione fraudolenta della documentazione contabile, la cui data di consumazione è antecedente (coincidendo con la dichiarazione del fallimento) e, in ogni caso, alla data del fallimento come confermato nel medesimo provvedimento impugnato, la ricorrente non era più nella disponibilità della documentazione contabile dal 2011.
3.2. Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 187,192, 533 comma 1, cod. proc. pen. e artt. 43, 216, comma 1 e comma 23, r.d. n. 267 del 1942.
La ricorrente ha evidenziato che i rilievi della sentenza impugnata, in punto di affermazione del dolo specifico – derivanti dalla circostanza che i libri e le scritt contabili furono fatti sparire in coincidenza con la chiusura dell’attività e da circostanza della dismissione dei beni e dalla totale distrazione dei beni aziendali, dal passivo ammontante a circa 20 milioni di euro, dall’assenza di una sede sociale – avrebbero dovuto essere riferiti al solo NOME Giuseppe e non anche alla ricorrente, la cui qualifica meramente formale è stata accertata sia dalla sentenza di annullamento, sia dalla sentenza impugnata.
Con specifico riferimento, poi, alla circostanza della sparizione delle scritture contabili in coincidenza con la chiusura dell’attività, nel ricorso si evidenzia che tratta di elemento che costituisce la materialità del fatto e non può assurgere a indice della ricorrenza del dolo specifico.
Inoltre, si osserva che la sentenza impugnata non spiega per quale ragione l’aver disertato la convocazione del curatore e il non aver presenziato al verbale di apposizione di sigilli costituirebbe prova di fraudolenza e del dolo specifico, né spiega i motivi dai quali ricavare la consapevolezza da parte della ricorrente del
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procedimento penale a suo carico, né per quale ragione tale elemento costituirebbe indice di fraudolenza della condotta di sottrazione delle scritture contabili.
Con il ricorso si censura altresì la parte della sentenza impugnata che ha indicato quale indice di fraudolenza il fatto di aver partecipato all’operazione negoziale di cessione del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE in favore della ditta individuale del fratello NOME NOME Eugenio effettuata il 19 febbraio 2010.
La sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente considerato quanto affermato dall’imputata nel corso del dibattimento in primo grado (in data 10 giugno 2021) in merito alla circostanza di non avere mai apposto la firma sugli assegni, dovendo considerarsi tale firma non apposta da lei; ed ancora di non avere adeguatamente valorizzato le dichiarazioni rese dal dott. NOME COGNOME COGNOME il quale ha affermato che ebbe ad incontrare il legale rappresentante della società, appunto la ricorrente, che era una ragazza poco più che diciottenne praticamente ignara delle dinamiche aziendali; ed ancora le dichiarazioni rese dal consulente e commercialista della RAGIONE_SOCIALE, già consulente e commercialista della società che confermavano l’assoluta estraneità della ricorrente dalla conduzione dell’azienda.
Di conseguenza sarebbe illogica la motivazione del provvedimento impugnato in quanto, dopo aver dato atto che NOME Giuseppe fosse il deus ex machina all’interno della società ha, poi, ritenuto di conferire valenza indiziaria dell’elemen psicologico alla firma dell’atto di cessione di ramo d’azienda, solo apparentemente apposta dalla ricorrente.
Erronea sarebbe poi la motivazione in ordine alla irrilevanza della querela sporta nei confronti del padre che per evidente errore la sentenza colloca a distanza di otto anni dai fatti, ovvero nel 2020, là dove, invece, è stata sporta nell’anno 2012.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati, per le considerazioni di seguito indicate.
La sentenza impugnata ha puntualmente adempiuto al compito di colmare le lacune evidenziate dalla sentenza rescindente che ha rilevato la confusione tra dolo generico e dolo specifico in cui è incorsa la sentenza annullata, anche in conseguenza della non corretta formulazione del capo di imputazione, recante una
fusione delle due condotte descritte nella disposizione di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 I. fall.
2.1 In ordine al profilo concernente l’incertezza ricostruttiva quanto alla effettiva sorte delle scritture contabili, rilevata dalla sentenza rescindente, evidenziato che la Corte territoriale, alla luce della istruttoria espletata in appello, dato conto delle vicende relative alla documentazione contabile, affermando che successivamente al provvedimento di restituzione e dissequestro dell’azienda (nell’anno 2008) le scritture contabili, dapprima custodite presso lo studio del commercialista Cascino, sono state consegnate all’imputato, il quale a sua volta le ha esibite, quantomeno in parte, alla Guardia di finanza in sede di verifica del 2011. Nella sentenza si afferma, infatti, che risulta certo che fino al 2011, sia pure in part le scritture contabili fossero nella disponibilità di NOME (nel 2008), l quale aveva delegato il COGNOME NOME (socio al 90%) alla presa in consegna delle stesse da parte dell’amministratore giudiziario e che, poi, nel 2011 dette scritture fossero nella disponibilità del ricorrente NOME COGNOME il quale le aveva esibite alla Guardia di finanza nello stesso anno; il provvedimento dà anche atto di quale documentazione a quella data esisteva e quale invece mancava; e di quanto affermato dal curatore ovvero che la società non aveva depositato i bilanci relativi agli anni 2011, 2012, 2013 e 2014.
In particolare, e più dettagliatamente, la Corte d’appello ha evidenziato che a seguito di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, richiesta l’acquisizione dei ver di sequestro, di dissequestro e restituzione (avvenuta nel 2008), della documentazione contabile riferita alla predetta società, con una nota del 2024 la Guardia di Finanza ha rappresentato l’indisponibilità di detti verbali, anche di quelli relativi alla riconsegna della documentazione contabile concernente la RAGIONE_SOCIALE, evidenziando però che era stata prodotta una verifica fiscale eseguita a carico della stessa società nell’anno 2011 dalla quale era risultato che alla data del 15 maggio 2008 l’amministratore giudiziario della società, nominato a seguito di sequestro disposto ex art. 321 cod. proc. pen., si era incontrato con il COGNOME, delegato d NOMECOGNOME per le operazioni di reinnmissione nel possesso della predetta società, in seguito ad annullamento del provvedimento di sequestro.
Nella sentenza si dà atto, inoltre, che dal verbale redatto nel 2011 è risultato che era stato rinvenuto un verbale di reimmissione in possesso del 15 maggio 2008 dal quale risultava che veniva riconsegnata la documentazione e segnatamente: libro soci, libro verbali delle assemblee, documentazione amnninistrativa ifaldoni contenenti modelli UNICO, comunicazioni IVA, dichiarazione dei redditi e bilanci dal 2002 al 2005, nonché altra documentazione concernente avvisi di pagamento, verbali di
contestazione e decreti ingiuntivi; una serie di matrici relative ad assegni bancari ed ancora documentazione bancaria concernente estratti di conto corrente e distinte bancarie in originali.
Inoltre, nel provvedimento impugnato si dà conto che dal verbale di constatazione del 28 settembre 2011 e, dunque, successivamente al dissequestro, la Guardia di finanza aveva potuto accertare che in possesso della società sono risultati: libro giornale del 2006, registro Iva delle vendite dell’anno 2006, libro giornal dell’anno 2007, registro iva delle vendite dell’ anno 2007, registro iva degli acquist dell’ anno 2007, files dei mastri di sottoconto degli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, files di situazioni contabili al 31 dicembre degli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, libro giornale dell’anno 2008, libro giornale 2009, registro iva degli acquisti dell’anno 2008, registro iva vendite anno 2008, dando altresì atto che con riferimento alla rimanente documentazione l’imputato riferiva di non poter reperire la restante documentazione in quanto negli anni 2007 e 2008 la società era stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria con conseguente acquisizione di tutta la documentazione amministrativa contabile, riferendo anche che,quando nel 2008 la società era stata sequestrata,tutta la documentazione era stata probabilmente restituita al suo depositario delle scritture contabili; riferiva inoltre che dal 2008 la società non è mai più stata operativa. provvedimento impugnato dà poi conto della circostanza che nel processo verbale di constatazione la Guardia di finanza dava altresì atto che l’imputato non era stato in grado di esibire altra documentazione come fatture di acquisto e vendita, il libro degli inventari, il registro dei beni ammortizzabili, i libri sociali, i libri paga e ma relativi al periodo oggetto di verifica.
Nella sentenza, inoltre, si indica poi che l’imputata NOME, invitata a produrre tutta la documentazione contabile, non si era presentata al curatore, né aveva preso contatti con lui, rendendosi irreperibile / tant’è che la raccomandata spedita ai fini della convocazione risultava notificata per compiuta giacenza; analogamente era rimasta senza riscontro la raccomandata spedita presso la sede legale della società.
Nel provvedimento si dà anche atto del fatto che il giudice delegato al fallimento aveva delegato la Guardia di finanza in data 3 febbraio 2016 a ricercare l’imputata affinché consegnasse le scritture contabili; evidenziando ancora che,all’indirizzo della sede legale della società, il curatore non aveva rinvenuto alcuna insegna, né alcuna targhetta o campanello relativi alla RAGIONE_SOCIALE, ma solo studi professionali e abitazioni private. Risultava poi che, alla data del deposito della relazione ex art. 3 della legge fallimentare, il curatore non era riuscito a prendere contatti con l’imputata la quale solo successivamente si presentava presso lo studio di quest’ultimo
adducendo a propria discolpa che non si era mai occupata della gestione della società e che aveva rivestito solo un ruolo formale di legale rappresentante in quanto il gestore di fatto era da individuarsi nel padre NOME NOME, del quale non aveva notizie dall’anno 2012 e nell’occasione l’imputata riferiva anche che, pur essendo consapevole del ruolo formale rivestito, non era in grado di fornire alcuna documentazione contabile.
Il provvedimento censurato si sofferma poi su quanto emerso dalla relazione del curatore il quale ha evidenziato che la società non era in possesso di beni mobili o immobili” , che non era in grado di riferire in ordine alle cause del fallimento, né d ricostruire il patrimonio sociale, né di individuare azioni esperibili, e che il fallim veniva chiuso per mancanza di attivo, con un passivo costituito da debiti nei confronti esclusivamente dell’erario per un valore di circa 10 milioni di euro.
Tanto premesso, alla luce di tale descrizione della vicenda sotto il profilo dello svolgersi dei vari accadimenti, la sentenza, con motivazione puntuale ed esaustiva, ha ricondotto la fattispecie concreta alla condotta di sottrazione di documentazione contabile essendosi verificata una parziale omessa tenuta della documentazione in quanto né i libri, né le scritture sono stati rinvenuti o depositati dopo la dichiarazi di fallimento del 2015.
2.2. Con analogo soddisfacente iter argomentativo, la sentenza censurata ha dato conto anche della sussistenza del dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale, di cui alla prima parte dell’art. 216, comma 1, n. 2, I. fall., affermandone la sussistenza in capo ad entrambi gli imputati, con conseguente esclusione della fattispecie di bancarotta semplice ai sensi dell’art. 217 I. fall.
Il provvedimento impugnato, correttamente, ha affermato che risultano costituire indici del dolo specifico una serie di elementi e, in particolare, la circosta che i libri e le scritture contabili siano sparite in coincidenza con la chiusura dell’att e con la totale dismissione dei beni, rendendo impossibile l’ individuazione dell’attivo, evidenziando che la procedura fallimentare si chiuse rapidamente per assenza di attività liquidabile non essendo stato rinvenuto alcuno dei beni aziendali, né la sede sociale, chiusa, repentinamente, analogamente al punto vendita; ancora il provvedimento censurato ha ritenuto indicativo dell’elemento soggettivo in esame la circostanza della totale dismissione dei beni a ridosso della dichiarazione di fallimento, l’esistenza di un passivo di 10 milioni di euro; irreperibilità di entrambi gli impu anche dopo il deposito della relazione del curatore.
Con particolare riferimento al profilo della irreperibilità, il provvedimen impugnato ha rappresentato come il rendersi irreperibile da parte di entrambi gli imputati durante le fasi più rilevanti della procedura concorsuale e il non esibire l
scritture contabili neanche dopo il deposito della relazione del curatore e nemmeno nel momento in cui l’imputata si era presentata presso lo studio del curatore adducendo di essere estranea alla gestione della società, siano elementi logicamente sintomatici della volontà di sottrarsi a ogni contatto con la curatela, per non essere esposti a dare giustificazioni in ordine all’ omesso deposito dei libri contabili e sulla destinazione beni e attività aziendali. Analogamente significativi della medesima intenzione sono stati ritenuti poi la totale distrazione dei beni aziendali; la mancanza di collaborazio con la curatela, circostanze che, unitamente considerate, hanno impedito la liquidazione di ogni attivo.
Sulla base di tali elementi, dunque, la Corte di appello ha correttamente affermato la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in capo a NOME COGNOME la cui qualifica di amministratore di fatto è indiscussa, ma anche con specifico riferimento alla posizione della ricorrente, tema questo oggetto di precisa indicazione nella sentenza rescindente in punto di approfondimento.
A tal riguardo, nel provvedimento impugnato si è evidenziato, con ragionamento immune da vizi logici, che non è tale da far escludere la configurabilità dell’elemento soggettivo il fatto che dopo una iniziale assoluta irreperibilità la ricorrente si fo presentata al curatore, dopo il deposito della relazione per rendere dichiarazioni a propria discolpa. A ciò, nella sentenza si è aggiunto, che il ruolo soltanto formale d amministratore di diritto sarebbe smentito dalle dichiarazioni rese dal padre, il quale in dibattimento ha dichiarato che la figlia si era occupata non solo di firmare e d incassare assegni, ma anche di sottoscrivere i contratti.
Inoltre si è evidenziato come il dato che l’imputata, proprio quale legale rappresentante, in data 19 Febbraio 2010 aveva sottoscritto la cessione del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE in favore della ditta individuale del fratello NOME NOME, sostanzialmente non operativa, costituisca un elemento che, inequivocabilmente, depone per la sussistenza in capo alla stessa del dolo specifico in quanto indicativo di una fraudolenta operazione negoziale volta a privare la società amministrata di un ramo di azienda. Si conclude, poi, nella sentenza che gli imputati non hanno fornito nessun elemento circa la sorte della documentazione dal 2011 in poi.
2.3.Tanto premesso va affermato che l’iter motivazionale in ordine alla sussistenza del dolo specifico in capo ad entrambi i ricorrenti ha dato corretta attuazione al principio secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito
sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali. (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Peraltro, con specifico riferimento alla posizione della ricorrente deve, in ogni caso rilevarsi che Sez. 5, n. 44666 del 4 novembre 2021, La Porta, Rv 282280 -01, ha ritenuto che «l’assunzione solo formale della carica gestoria non consenta l’automatica esenzione dell’amministratore per i reati previsti dagli artt. 216 comma 1 n. 2), 217 comma 2 e 220 legge fall., atteso che questi e non altri è il diretto destinatario ex art 2392 c.c. dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabi (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754). Da qui il corollario per cui, qualora egli deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabi o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società, egli non è esonerato dal dovere di vigilare sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatt e, conseguentemente, dalla responsabilità penale, eventualmente in forza del disposto di cui all’art. 40 comma 2 c.p., se viene meno a tale dovere (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 36870 del 30/11/2020, COGNOME, Rv. 280133)».
Deve, pertanto, rilevarsi che tale quadro motivazionale resiste pienamente alle deduzioni difensive, le quali non si rivelano in grado di disarticolare il percor argomentativo della Corte d’appello, nemmeno sotto il profilo della asserita, e peraltro non specificamente suffragata, non riconducibilità delle firme alla ricorrente e della querela sporta dai fratelli COGNOME, circostanze che non assumono un ruolo decisivo, alla luce del complessivo iter argonnentativo.
La sentenza censurata ha, infatti, dato giusta attuazione ai principi affermati dalla giurisprudenza in tema di bancarotta fraudolenta documentale specifica riconducendo, correttamente, la fattispecie concreta nella prima parte della disposizione di cui all’ar 216, comma 2, n. 1 I. fall., escludendo la sussistenza di una situazione di mera trascuratezza, rilevante ai sensi dell’art. 217 I. fall.
Sotto tale profilo va, infatti, ricordato che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la natura specifica del dolo in ordine alla condotta di omessa tenuta anche parziale delle scritture contabili consente di distinguere fra la bancarotta fraudolenta documentale e quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall. e punita sotto il titolo di bancarotta semplice document 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME e altri, Rv. 252992).
GLYPH Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere, pertanto, rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.