Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36575 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1419/2025
NOME OCCHIPINTI
CC – 30/09/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME COGNOME
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a PIACENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/11/2024 della Corte d’appello di Bologna.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13.10.2024, la Corte di Appello di Bologna, all’esito di trattazione scritta, ha confermato la pronuncia emessa in primo grado, in sede di giudizio abbreviato, nei confronti di COGNOME NOME, che l’aveva dichiarata colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
In particolare, alla COGNOME è stato contestato il delitto di cui agli artt. 110, 216 co. 1, n. 2, 223 co. l L.F., perché, in concorso con altri, la COGNOME quale amministratore e legale rappresentante, lo COGNOME ed il COGNOME quali soci ed
amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE con sede in Piacenza, già esercente l’attività di “acquisto, vendita, gestione di beni immobili, costruzione di fabbricati…”, dichiarata fallita dal Tribunale di Piacenza in data 27 maggio 2016, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, tenevano i libri e altre scritture contabili in guisa da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputata, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 lett. b) c.p.p., lamentando l’erronea qualificazione della contestazione di cui al capo di imputazione quale reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 L.F. e non di bancarotta semplice ex art. 217 L.F.
In particolare, stando alla ricostruzione accusatoria fatta propria, prima dal Giudice di primo grado e poi dalla Corte d’Appello di Bologna, COGNOME NOME – nella qualità di amministratrice e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali soci ed amministratori di fatto della predetta società – avrebbe posto in essere condotte sussumibili nel reato di bancarotta fraudolenta documentale per “avere tenuto i libri ed altre scritture contabili in guisa di impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”. Il Collegio territoriale, nel confermare la sentenza di condanna, ha richiamato pedissequamente le valutazioni espresse dal primo giudice in merito alla riconducibilità all’imputata delle condotte di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili.
Nei motivi di appello la difesa – nel contestare la condotta asseritamente posta in essere da COGNOME NOME – aveva lamentato il fatto che il giudice di primo grado non avesse considerato quali fossero state in concreto le condotte fraudolente poste in essere dalla prevenuta, nonché il difetto dell’elemento soggettivo del dolo generico, richiesto dal reato di bancarotta fraudolenta, in capo a COGNOME NOME.
Invero, le emergenze istruttorie avrebbero deposto – in primis – per una assoluzione della COGNOME NOME per l’insussistenza del fatto ed in subordine per una riqualificazione dei fatti nella fattispecie della bancarotta semplice.
Anche la Corte d’Appello di Bologna – riproponendo la ricostruzione colpevolista del Giudice di primo grado – ha omesso di considerare l’elemento soggettivo in capo a COGNOME NOME.
Come emerge dal compendio istruttorio, COGNOME NOME (moglie di COGNOME NOME) non era a conoscenza dei “maneggi” posti in essere dal marito, di talché viene a mancare, ab origine, il dolo generico richiesto dal reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Indi si riportano le dichiarazioni rese a s.i.t. da COGNOME NOME in data 22 ottobre 2018 che escludono un suo coinvolgimento fattivo nell’amministrazione della società e la sua conoscenza in ordine alla sorte delle scritture contabili, le quali non erano state comunque mai da lei consegnate al nuovo amministratore NOME designato su sua insistenza al suo posto.
Resta, quindi, non condivisibile, osserva il ricorrente, che la Corte d’Appello facendo proprie le illazioni del giudice di primo grado – anziché valorizzare le dichiarazioni della COGNOME NOME attestanti la mancanza del dolo richiesto dall’art. 216 L.F., utilizzi le dichiarazioni della COGNOME come prova di reità della medesima.
Si riporta, poi, uno stralcio della motivazione della sentenza di appello, che così si esprime: ” Le scritture contabili della società fallita erano tenute fino agli anni 2007 -2008 dal dottor commercialista NOME COGNOME, che le restituì in parte alla dipendente COGNOME NOME e in parte alla stessa COGNOME. La restituzione delle scritture contabili risale, quindi, ad epoca, in cui la COGNOME era ancora amministratrice, ma dopo la consegna, completata nel 2008, non furono più rinvenute nella sede sociale né messe a disposizione del curatore. Inoltre, non vi è prova che dal 2008 in poi la contabilità fosse stata tenuta. E’ indubbio che la prevenuta ha fornito concreto contributo causale nell’occultamento della documentazione presa in consegna tra il 2007 ed il 2008, poiché non vi è prova che ella ne abbia curato adeguatamente la custodia, ed inoltre sicuramente alla stessa deve attribuirsi la responsabilità per l’omessa tenuta delle scritture contabili dal 2008 fino alla cessazione della carica nel 2010, dato che ella non ha dimostrato di aver istituito e tenuto la contabilità in quel periodo. Pertanto, giustamente il giudice di primo grado ha ritenuto che la COGNOME abbia dato un apporto penalmente rilevante alla realizzazione del reato. In più, ricorre senz’altro l’elemento soggettivo, poiché l’imputata era perfettamente al corrente dello stato di dissesto societario (‘negli anni successivi l’attività non si è svolta nel migliore dei modi e da subito emersero non pochi problemi economici che mi hanno permesso di comprendere cosa stesse succedendo”), tant’è che pretese di essere sostituita nell’incarico, che fu ricoperto in sua vece dall’AVV_NOTAIO. Di conseguenza, nel momento in cui non curò di conservare le scritture contabili prese in consegna nel 2007-2008 e smise la tenuta di quelle relative al periodo successivo, la COGNOME cosciente del dissesto, doveva necessariamente raffigurarsi che la mancata conservazione o l’omessa tenuta delle
scritture contabili potevano andare in pregiudizio dei creditori, impedendo la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società, di modo che col suo contegno di fatto aderì all’intento verosimilmente perseguito dagli amministratori di fatto, a maggior ragione essendo pienamente consapevole del fatto che l’COGNOME era stato prescelto per fare da mera testa di legno. Che tale fosse quest’ultimo si è già detto e non è revocabile in dubbio, tenuto conto che, indipendentemente dalle sue condizioni di salute nel 2016, egli aveva un trascorso di etilista, probabilmente noto alla COGNOME, che per l’appunto ha sostenuto di averlo incontrato una sola volta al bar”.
Posta tale argomentazione, si osserva che non è condivisibile il ragionamento della Corte di Appello allorquando scrive: ” la COGNOME cosciente del dissesto, doveva necessariamente raffigurarsi che la mancata conservazione o l’omessa tenuta delle scritture contabili potevano andare in pregiudizio dei creditori, impedendo la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società, di modo che col suo contegno di fatto aderì all’intento verosimilmente perseguito dagli amministratori di fatto, a maggior ragione essendo pienamente consapevole del fatto che l’NOME era stato prescelto per fare la mera testa di legno’.
La Corte fa proprio il principio – estraneo alle regole di attribuzione della responsabilità penale – del ‘non poteva non sapere’.
Se un appunto si può fare a COGNOME NOME è quello di avere accettato l’incarico dal marito COGNOME NOME e di non essersi curata – per negligenza ed imperizia – della regolare tenuta della contabilità. Null’altro.
Alla luce delle suddette emergenze processuali non pare essere provato – in capo alla COGNOME NOME – l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, che deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.
Ciò precisato, occorre ricordare che il Supremo Collegio ha più volte ribadito il principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, ex L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, è illegittima l’affermazione di responsabilità dell’amministratore che faccia derivare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato dal solo fatto, costituente l’elemento materiale del reato, che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, considerato che, in tal caso, trattandosi per di più, nella fattispecie, di omissione contenuta in limiti temporali piuttosto ristretti, è necessario chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece,
di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza por mente alle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest’ultimo caso, si integra l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all’ art. 217, comma 2, l.f.
2.2.Col secondo motivo deduce la m anifesta illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p., in relazione all’omessa valutazione delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, quale prova a favore dell’imputata. Tali dichiarazioni evidenziano come la COGNOME NOME fosse una “testa di legno”
completamente all’oscuro della gestione della società.
Indi si riportano le dichiarazioni rese da COGNOME NOME in data 04 Marzo 2019 e, anche sulla scorta di esse, si conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – in assenza di richiesta di trattazione orale, senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
1.Deve premettersi che, in tema di bancarotta documentale, la distinzione tra omessa tenuta e tenuta irregolare delle scritture contabili non è meramente nominalistica, ma incide sul perimetro applicativo delle diverse ipotesi incriminatrici.
L’omessa tenuta delle scritture, ove frutto di consapevole volontà diretta ad impedire la ricostruzione del patrimonio al fine di arrecare danno ai creditori integra la bancarotta fraudolenta documentale ‘specifica’, mentre la tenuta irregolare o inattendibile delle scritture configura la bancarotta fraudolenta documentale ‘generica’. In mancanza di dolo, le stesse condotte, ricorrendone i presupposti, degradano nella figura della bancarotta semplice documentale.
La motivazione della sentenza impugnata non si è attenuta a tale chiara linea di demarcazione. Dopo avere formalmente qualificato i fatti come bancarotta fraudolenta documentale ‘generica’, la Corte territoriale ha, nondimeno, utilizzato argomenti propri dell’ipotesi ‘specifica’ (omessa tenuta e mancata custodia/consegna della contabilità), finendo per operare una crasi inammissibile
tra condotte ontologicamente alternative, senza chiarire quale sia stata la reale contestazione e quale la condotta concretamente ritenuta. Tale aporia impedisce di comprendere con esattezza il percorso logico-giuridico seguito soprattutto con riferimento all’elemento soggettivo del reato oggetto di specifica censura in ricorso e si traduce in vizio di motivazione rilevante ex art. 606, lett. e), c.p.p..
A fronte dell’imputazione che contesta la tenuta irregolare delle scritture contabili, i giudici di merito hanno individuato la condotta fraudolenta nella omessa custodia/consegna delle scritture al curatore ovvero nell’omessa tenuta delle stesse riguardo agli anni 2008/2010 (anno in cui la ricorrente ebbe a cessare la carica di amministratrice).
A fronte di una condotta complessiva sostanzialmente omissiva che ha comportato il mancato rinvenimento delle scritture contabili, i giudici di merito, nel motivare in punto di elemento soggettivo, hanno fatto riferimento alla fattispecie della tenuta irregolare delle scritture contabili che presuppone l’avvenuto rinvenimento e l’esame delle scritture contabili. E, sulla base di tale errata impostazione – non oggetto in parte qua di critiche specifiche in ricorso – hanno dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo alla ricorrente sulla scorta di mere ipotesi e congetture, così come giustamente fatto rilevare dalla difesa.
In particolare, la Corte territoriale, pur concludendo per la totale mancanza delle scritture contabili, assume che il reato di bancarotta fraudolenta documentale debba ritenersi integrato perché tale mancanza ha reso impossibile o quantomeno ostacolato la ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari della società fallita, attenendosi alla valutazione che pertiene alla diversa fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica (relativa, appunto, alla tenuta irregolare delle scritture contabili che presuppone, appunto, che queste siano state tenute e consegnate al curatore), che è poi quella oggetto d’imputazione (sebbene il riferimento, in essa contenuto, allo scopo specifico di procurarsi un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori).
I giudici di merito, in particolare, hanno affermato che l’imputata doveva prefigurarsi che la mancata conservazione o la sopravvenuta omessa tenuta delle scritture contabili ‘potevano andare in pregiudizio dei creditori, impedendo la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società, di modo che col suo contegno di fatto aderì all’intento verosimilmente perseguito dagli amministratori di fatto, a maggior ragione essendo pienamente consapevole del fatto che l’NOME era stato prescelto per fare da mera testa di legno’ (così testualmente a pagina 2 della sentenza impugnata).
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il dolo della bancarotta fraudolenta documentale non può essere desunto automaticamente dalla mera irregolarità o mancanza delle scritture, né dalla posizione formale dell’amministratore, soprattutto nel caso in cui esso non si sia effettivamente occupato della gestione societaria, occorrendo invece la prova che l’agente abbia agito con la coscienza e volontà di rendere impossibile o gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari ovvero proprio al fine di recare pregiudizio ai creditori nel caso della sottrazione volontaria o della omessa tenuta delle scritture contabili.
Laddove tale prova difetti deve essere esclusa la fraudolenza e, al più, può ravvisarsi la diversa ipotesi di bancarotta semplice documentale, connotata dalla colpa.
Si deve quindi concludere che con riguardo all’elemento soggettivo, la motivazione della Corte d’appello si appalesa generica e assertiva. Essa, infatti, ha, in definitiva, desunto la sussistenza del dolo della bancarotta fraudolenta documentale dalla mera qualifica formale di amministratrice della COGNOME e dalla sua consapevolezza circa le difficoltà economiche della società, valorizzando la formula ‘doveva necessariamente raffigurarsi’ e finendo, di fatto, per applicare il principio – estraneo al nostro ordinamento penale – del ‘non poteva non sapere’.
2.Ne deriva che la sentenza impugnata fondandosi su una motivazione assertiva, priva di adeguato supporto argomentativo sul piano soggettivo, deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bologna per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.
Così deciso il 30/09/2025.
Il Consigliere estensore COGNOME COGNOME
Il Presidente COGNOME