Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3202 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3202 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BRACCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 22 novembre 2022 la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di alcuni macchinari della RAGIONE_SOCIALE, attribuito all’imputato nella qualità d amministratore di quest’ultima società, dichiarata fallita in data 26 febbraio 2016.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 521, comma 2, e 522 cod. proc. pen.), rilevando che la sentenza impugnata – affermando che i macchinari non rinvenuti costituivano parte dell’azienda, oggetto, secondo l’imputazione, della condotta attribuita all’imputato – contrastava con il tenore della contestazione nella quale: a) la distrazione era riferita non all’azienda, ma a una parte della clientela e, in AVV_NOTAIO, all’avviamento della fallita; b) lo strumento per realizzare siffatto disegno era costituito dalla effettiva cessione dei macchinari, in tal modo collocati al di fuori del perimento dell’accusa.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che, alla stregua dello stesso tenore del capo di imputazione, alla vendita dei beni alla società RAGIONE_SOCIALE seguì, sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, il pagamento del prezzo, con la conseguenza che non si era realizzato alcun depauperamento delle garanzie creditorie. D’altra parte, nessuna azione revocatoria era stata esperita e neppure erano state oggetto di contestazione in qualunque sede le cessioni di altri beni in favore di distinte società.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per non avere la Corte territoriale considerato la produzione documentale della difesa della curatela fallimentare, avente ad oggetto una transazione intervenuta con l’imputato, che, all’esito dell’autorizzazione del giudice delegato, avrebbe condotto, secondo quanto indicato nella memoria della stessa parte civile, alla revoca della costituzione in giudizio.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso. Il difensore del curatore fallimentare ha trasmesso atto di revoca della costituzione di parte civile datato 19 aprile 2023.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, COGNOME Hope, Rv. 281477 – 01), con la conseguenza che, ove non si riscontri siffatto pregiudizio alle prerogative difensive, a nulla rilevano eventuali difformità quantitative e qualitative degli elementi di definizione della condotta, dell’evento e del nesso causale in considerazione della relatività delle tecniche descrittive utilizzate nella redazione della imputazione (Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, dep. 2019, Calabrese, Rv. 276955 – 0).
Ora, nel caso di specie, con il capo di imputazione si era contestato al COGNOME di avere distratto «l’azienda della fallita a favore della società RAGIONE_SOCIALE a lui riconducibile, mediante il trasferimento alla predetta di parte della clientela e in AVV_NOTAIO dell’avviamento della fallita e occultando tale trasferimento mediante la vendita di impianti e macchinari, per un importo di euro 109.750 + IVA 22% in data 31/07/2015 alla RAGIONE_SOCIALE e alla ditta RAGIONE_SOCIALE, beni immediatamente dopo trasferiti alla RAGIONE_SOCIALE per un importo di 116.300 + IVA 22%, incassando in tal modo quale unico corrispettivo della cessione dell’azienda il prezzo del trasferimento dei suddetti beni».
Come reso palese dalla lettura integrale del capo di imputazione l’oggetto della distrazione, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, è proprio l’azienda, laddove il meccanismo dell’operazione che si attribuisce all’imputato per raggiungere il risultato rappresenta una mera descrizione dei vari passaggi funzionali, secondo la prospettazione accusatoria, a realizzare la sottrazione di attività al soddisfacimento dei creditori.
Non solo: la puntualizzazione del capo di imputazione, secondo la quale unico corrispettivo incassato era stato rappresentato dal prezzo del trasferimento dei macchinari, non implica affatto, sul piano logico-giuridico, l’esclusione di questi ultimi dal perimetro dell’accusa, nel senso che quest’ultima risulta idonea a ricomprendere nei fatti dei quali l’imputato è stato chiamato a rispondere
l’intera operazione che ha condotto – come si vedrà nell’esame del secondo motivo – il COGNOME a trasferire, con l’interposizione della società RAGIONE_SOCIALE – poco prima del fallimento della RAGIONE_SOCIALE (26 febbraio 2016, come detto) -, una parte significativa dei macchinari di quest’ultima ad altra società costituita il 26 novembre 2015 e partecipata per il 90% da una società fiduciaria riconducibile ai figli degli imputati.
In questa prospettiva, deve quindi ritenersi che esattamente la Corte territoriale abbia ritenuto che l’oggetto dell’iniziale contestazione fosse l’azienda della società fallita, ossia il complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività imprenditoriale e che legittimamente – e certo senza pregiudizio alcuno delle garanzie difensive – il giudice di primo grado avesse circoscritto la condanna ad una parte soltanto dei beni costituenti l’azienda originaria.
2. Il secondo motivo è inammissibile per assenza di specificità, in quanto fondato su censure che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
Il ricorso accenna genericamente al fatto che il prezzo fu incassato sia prima che dopo il fallimento, senza considerare che, dovendo la natura distrattiva dell’operazione essere verificata nel momento del suo compimento e alla luce degli sviluppi intervenuti sino alla sentenza dichiarativa di fallimento, quando non si esaurisca, come nella specie, in un atto istantaneo, esattamente la Corte territoriale (in disparte il rilievo che il mancato rinvenimento dei macchinari non ne aveva consentito alcuna stima attendibile, con le inevitabili ricadute in tema di impossibilità di accertare la congruità del prezzo pattuito) ha valorizzato le anomalie della doppia cessione e delle sfasature temporali nella consegna dei beni – che avevano consentito alla società poi fallita di utilizzarli sino a pochi giorni prima della dichiarazione di fallimento – come pure l’ingerenza del COGNOME nella società destinataria finale dei beni stessi e, infine, il fatto che i corrispettivo era stato pagato in misura assai parziale dall’apparente prima cessionaria (il 30%) e definitivamente corrisposto solo nel corso della procedura
fallimentare su insistenza della curatela e con provvista fornita dalla RAGIONE_SOCIALE
Si tratta di profili, non oggetto di contestazione specifica nel ricorso, che rivelano il carattere concretamente pericoloso degli atti posti in essere rispetto alla garanzia dei creditori e soprattutto marcati profili di fraudolenza puntualmente individuati dalla sentenza impugnata, nel quadro dell’orientamento di questa Corte, secondo il quale l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Premesso che l’atto allegato al ricorso e successivamente trasmesso dal difensore della parte civile risulta formato in epoca successiva alla decisione della Corte territoriale, si osserva che le argomentazioni spese dalla Corte territoriale in punto di dosimetria della pena non presentano alcun profilo di illogicità. Si sono, infatti, valorizzate, in linea con le conclusioni del Tribunale, le modalità decettive della condotta. Le considerazioni dedicate alle statuizioni civili scaturiscono pianamente dal fatto che, al 22 novembre 2022, ancora non era intervenuta alcuna revoca della costituzione di parte civile, talché non s’intende quale altro tipo di pronuncia avrebbe dovuto essere assunto dalla Corte territoriale se non la conferma della condanna generica e, in difetto di censure sul punto (“nulla viene, infatti, lamentato dall’appellante con riguardo alle pretesa avanzate dalla p.c. costituita”: e il punto non è smentito dalle deduzioni del ricorso che del tutto ingiustificatamente addebita alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della memoria della parte civile), dell’importo della provvisionale.
Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/10/2023.