Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31691 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31691 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a SAN LORENZO MAGGIORE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NORIMBERGA( GERMANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito per gli imputati l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento di tutti i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME per due distinte condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva rispettivamente commesse in qualità di amministratori e legali rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE, società dichiarata fallita nell’ottobre del 2015. La sentenza impugnata ha, altresì, confermato la condanna nei confronti di COGNOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta documentale realizzato in qualità di liquidatore della società fallita. In riferimento alle condotte distrattive d ai capi a) e c) d’imputazione, oggetto di contestazione sono le cessioni, rispettivamente avvenute nel 2011 e nel 2012, di due rami d’azienda ad un valore ritenuto inferiore a quello reale, da cui è derivato il completo depauperamento del patrimonio aziendale della fallita, con un conseguente grave pregiudizio per i creditori. Inoltre, per la prim operazione distrattiva, la Corte ha confermato la condanna in qualità di concorrente esterno nel reato anche di COGNOME NOME, figlio di COGNOME NOME e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, società cessionaria del ramo d’azienda, costituita circa un mese prima della vendita del medesimo.
Avverso la sentenza ricorrono con atti autonomi gli imputati.
2.1 II ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME articola tre motivi.
2.1.1 Con il primo motivo di ricorso, si deducono vizi di motivazione in merito alla mancata derubricazione dei fatti ascritti al ricorrente come bancarotta semplice anziché fraudolenta. In particolare, il ricorrente, evidenziando come l’elemento discretivo tra le due figure delittuose debba individuarsi nell’elemento psicologico del dolo di frode, lamenta che la Corte, omettendo di valutare i profili propri della fraudolenza, avrebbe senza giustificazione alcuna inquadrato l’operazione nel paradigma distrattivo e l’irregolare tenuta delle scritture contabili nelle fattispecie di cui all’art. 216 legge f realtà, entrambi i fatti contestati non rivelerebbero la volontà dell’imputato di recare un pregiudizio ai creditori, ma sarebbero il frutto di un atteggiamento di imprudenza e di superficialità tenuto dallo stesso nella gestione degli affari aziendali. Infatti, da un la anche in ragione del rapporto di parentela che lo legava alla legale rappresentante della società cessionaria del ramo d’azienda di cui gli viene contestata la distrazione, avrebbe sottovalutato i rischi della vendita non preoccupandosi di garantire l’eventuale inadempimento del pagamento della cessione, mentre, dall’altro lato, avrebbe, per mera negligenza, omesso di premurarsi di conservare la contabilità dell’azienda.
Inoltre, il ricorrente rileva che, qualora si dovesse accogliere la sussunzione delle condotte nella fattispecie meno severa di bancarotta semplice, il reato sarebbe estinto per la maturata prescrizione.
2.1.2 Con il secondo motivo di ricorso, si lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al mancato contenimento della pena nel minimo edittale ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In punto di trattamento sanzionatorio, si contesta, inoltre, la mancata giustificazione dell’omessa parificazione delle posizioni dei concorrenti nella condotta distrattiva, riservando al ricorrente un trattamento sanzionatorio più gravoso rispetto alla pena più mite erogata alla coimputata non ricorrente COGNOME NOME.
2.1.3 Con l’ultimo motivo di ricorso, si denunciano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, al pari di quanto riconosciuto alla COGNOME nel delitto in esame. 2.2 II ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME articola un unico motivo con il quale si deducono erronea applicazione della legge e vizi di motivazione in merito all’affermazione di responsabilità dell’imputato. In particolare, il ricorrente lament l’omessa individuazione da parte dei giudici del merito dell’effettivo contributo causale prestato dall’imputato alla consumazione del reato in qualità di concorrente extraneus. Nello specifico, si contesta che i giudici d’appello avrebbero fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato per la diminuzione della garanzia patrimoniale verso i creditori solo sulla base della mancata prova dell’avvenuto pagamento dei corrispettivi per la cessione del ramo d’azienda e della utilizzazione dei ricavi per finalità aziendali. Tuttavia, il criterio ermeneutico basato su un’apparente inversione dell’onere probatorio non potrebbe estendersi anche nei riguardi dell’odierno imputato, dal momento che questo è applicabile nei riguardi esclusivi dei soggetti titolari di un’effettiva posizione garanzia patrimoniale verso la classe creditoria.
Al contrario, il COGNOME non sarebbe gravato da una tale posizione di responsabilità, in quanto dalla motivazione della sentenza impugnata non emergerebbero elementi volti a dimostrare che egli, nel periodo intercorso tra la sua uscita dalla gestione della società, avvenuta nel luglio del 2012, e la messa in stato di liquidazione della fallita nel 2013, abbia ricoperto cariche gestorie anche di fatto o abbia comunque offerto un contributo al successivo occultamento dei proventi della vendita. Peraltro, il ricorrente osserva che tale prova è da considerarsi impossibile dal momento che non potrebbe nemmeno ricavarsi dalle scritture contabili a causa dell’occultamento o della distruzione delle stesse ad opera del coimputato COGNOME NOME.
Inoltre, la cessione contestata all’imputato non potrebbe nemmeno qualificarsi alla stregua di un atto pregiudizievole degli interessi della massa dei creditori, dal momento che i giudici d’appello, travisando completamente le risultanze processuali, avrebbero omesso di valutare che la vendita aveva generato anche un lecito accollo delle passività legate al ramo d’azienda da parte della cessionaria RAGIONE_SOCIALE, determinando così un ampliamento della garanzia creditoria e non una sua diminuzione. Peraltro, si osserva che la posizione dei creditori sarebbe stata aggravata anche dalla loro condotta
negligente, in quanto, a tutela del loro credito, avrebbero potuto proporre tempestive azioni giudiziarie nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, obbligata in solido con la fallit pagamento dei diritti vantati dai creditori.
Ancora, il ricorrente lamenta il travisamento del fatto in cui sarebbero incorsi i giudic d’appello, i quali avrebbero fatto dipendere la responsabilità dell’imputato nella vicenda distrattiva anche dall’esistenza di un intreccio tra relazioni societarie e familiari. punto, il ricorso osserva come, in realtà, il COGNOME e la famiglia COGNOME non sono legati da alcun rapporto di parentela. Una tale circostanza, se correttamente valutata, avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello a rafforzare l’ipotesi dell’estraneità del ricorrente dai fatti di causa.
2.3 II ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE articola cinque motivi.
2.3.1 Con il primo motivo di ricorso si deducono erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in relazione alla prova del nesso di causalità tra la condotta contestata ed il successivo fallimento della società. In particolare, il ricorrente lamenta che i giudici del merito, nell’affermare la responsabilità concorsuale dell’imputato nel delitto di bancarotta distrattiva, avrebbero omesso di valutare le specifiche doglianze mosse dalla difesa, la quale nell’atto di appello aveva indicato gli elementi probatori in grado di escludere la qualificazione dell’atto di vendita del ramo d’azienda alla stregua di un’operazione distrattiva, in ragione dell’assenza di un’effettiva incidenza nel patrimonio della fallita. Infatti, si osserva come, in realtà, la vendita, avvenuta nel marzo del 2011 non abbia mai avuto concreta esecuzione o attuazione, dal momento che i beni oggetto della cessione a favore della RAGIONE_SOCIALE non sono mai entrati nella disponibilità materiale della cessionaria, bensì hanno costituito oggetto di un secondo trasferimento, siglato nel settembre del 2012, in favore di altra società. A riprova dell’inefficacia della cessione in esame, il ricorrente evidenzia come dagli atti allegati risulta che la RAGIONE_SOCIALE non abbia avviato alcuna attività nel periodo successivo alla stipula del contratto.
Peraltro, la difesa evidenzia che, pur volendo ritenere che la vendita abbia prodotto effetti traslativi nel limitato arco di tempo compreso tra i due atti di disposizione patrimoniale, l’efficacia dell’atto sarebbe comunque venuta meno con il reingresso dei beni nella disponibilità della fallita, i quali hanno poi costituito oggetto della seconda vendita. N deriva che, anche volendo accedere a questa ipotesi, l’operazione contestata non potrebbe in ogni caso classificarsi alla stregua di una condotta distrattiva, in virtù de fatto che il nesso eziologico tra la prima cessione e il fallimento della società sarebbe stato interrotto dal successivo trasferimento dei medesimi.
Ad ogni modo, si osserva che il reato dovrebbe dichiararsi prescritto per l’imputato, dal momento che il relativo termine avrebbe iniziato a decorrere non già dalla data del fallimento, bensì da quella in cui sarebbe stata consumata la presunta operazione distrattiva.
2.3.2 Con il secondo motivo, si censurano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa derubricazione dei fatti ascritti al ricorrente come bancarotta semplice anziché fraudolenta. Inoltre, il ricorrente rileva che, qualora si dovesse accogliere il motivo in esame, il reato sarebbe da dichiararsi indubitabilmente estinto per intervenuta prescrizione.
2.3.3 Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato contenimento della pena nel minimo edittale e al denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In punto di trattamento sanzionatorio, si contesta, inoltre, l’omessa giustificazione della disparità riservata nella commisurazione della pena tra la posizione del ricorrente e quella della coimputata COGNOME, stante la sovrapponibilità delle condotte loro rispettivamente contestate.
2.3.4 Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente contesta violazione di legge e difetto motivazione in riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., mentre analoghi vizi vengono dedotti con il quinto motivo in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da COGNOME NOME è nel suo complesso infondato.
1.1 II primo motivo è invero inammissibile perché aspecifico, in quanto fondato su censure che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua intrinseca genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (ex multis Sez. 5, n. 34292 del 02/10/2020, Olivieri, Rv. 279973).
In particolare, si osserva come la prospettata riqualificazione delle condotte imputate al ricorrente prenda le mosse dal non condividibile presupposto dell’equiparazione tra le fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale specifica sotto il profil dell’elemento soggettivo, individuato in entrambe i casi dal ricorrente nel dolo di creare pregiudizio ai creditori della società. In realtà, le ipotesi di bancarotta in esame divergon non solo sotto l’aspetto della condotta materiale, ma anche sotto il profilo del dolo richiesto per la loro configurabilità.
Con riferimento all’operazione distrattiva di cui al capo c), la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere che l’elemento soggettivo della bancaro
fraudolenta per distrazione è costituito ma dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805).
Ora, l’accertamento del dolo generico, nel quale deve certamente riflettersi la concreta pericolosità del fatto distrattivo, deve avvenire sulla base di una puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, ricercando nel caso di specie i possibil “indici di fraudolenza”, i quali sono necessari a svolgere, da un lato, una prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori e, dall’altro, una proiezione soggettiva di tale concreta messa in pericolo.
Elementi che condivisibilmente la Corte territoriale ha ravvisato nel distacco del complesso aziendale gestito dalla società per un corrispettivo inferiore al suo valore, condotta che ha messo concretamente a repentaglio l’integrità patrimoniale della fallita. Il giudice del merito ha osservato come non sia stata fornita inoltre dal ricorrente alcuna prova dell’effettivo versamento da parte della controparte acquirente del corrispettivo pattuito o comunque della destinazione dello stesso per finalità proprie della società. Ed altrettanto correttamente la Corte territoriale ha individuato ulteriori indici di fraudolenz nel fatto che la condotta sia stata realizzata quando la società versava in uno stato di sostanziale dissesto e che ciononostante l’imputato non si sia attivato nell’azionare i rimedi civilistici predisposti dall’ordinamento a tutela del soddisfacimento del proprio credito.
Ne consegue che i contorni dell’operazione sono stati tali da rivelare l’assenza di una qualunque ragionevole finalità imprenditoriale giustificatrice dell’operazione contestata.
L’esame congiunto di questi elementi, all’interno delle coordinate interpretative sopra ricordate, risalta il carattere distrattivo dell’operazione e fonda, in termini del tu razionali, l’accertamento della consapevolezza del ricorrente circa la concreta pericolosità della cessione del ramo rispetto alla conservazione dell’integrità patrimoniale della fallita. Le considerazioni svolte dai giudici del merito conducono logicamente ad escludere che le operazioni contestate siano derivate da un semplice atteggiamento d’imprudenza o di superficialità dell’imputato, tali da giustificare un inquadramento della condotta delittuosa nella meno severa fattispecie di bancarotta semplice.
1.2 Considerazioni analoghe possono svolgersi per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo d), in quanto è infondata la censura del ricorrente rivolta a lamentare la mancata derubricazione del reato nella meno grave fattispecie di cui all’art. 217 I. fall, in difetto di un “dolo qualificato”.
In via preliminare, si deve chiarire come la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o
distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e qu di irregolare tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (ex multis Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904). La fattispecie contestata all’imputato è quella di sottrazione o distruzione dei libri e dell altre scritture contabili, mai rinvenute, né consegnate al curatore successivamente alla declaratoria del fallimento.
Precisato questo aspetto, deve, inoltre, annotarsi che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta s1~121:=1:è, e non quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali. Tale scopo può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304).
Nel caso di specie, i giudici di merito, con motivazione esente da vizi logici, hanno ritenuto sussistente il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori ancorandolo a circostanze concrete obiettivamente idonee a dimostrare una volontà fraudolenta in capo all’imputato. In particolare, gli indici logicamente sintomatici della fraudolenza sono stati rinvenuti non solo nella persistenza nel tempo dell’omissione e nell’assenza di qualsivoglia giustificazione della mancanza delle scritture, ma anche nell’ingente esposizione debitoria per crediti e nella già ricordata distrazione dei beni aziendali. Al riguardo, la pronuncia censurata ha chiarito che la condotta di sottrazione dei libri contabili è stata funzionale a celare le attività liquidabili e, quindi, a individuare i b aziendali distratti, in modo da impedire una loro aggressione da parte dei creditori.
La valutazione congiunta di questi elementi indicativi della frode ha permesso al giudice d’appello, in conformità con la giurisprudenza di legittimità in materia, di escludere che la condotta imputata sia frutto di una mera responsabilità colposa, ritenendo, al contrario, integrata la prova del necessario coefficiente soggettivo del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori attraverso la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili.
1.3 II terzo e quarto motivo del ricorso sono invece infondati.
In particolare, i giudici di merito hanno reso un’adeguata spiegazione in merito alla disparità del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato rispetto a quello applicato alla coimputata COGNOME NOME, evidenziando come quest’ultima, al contrario del
COGNOME, abbia adottato un comportamento processuale collaborativo, rimarcato dalla espressa rinuncia ai principali motivi di gravame.
Con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è sufficiente ricordare che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerat preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione delle suddette attenuanti (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Nel caso in esame, la Corte territoriale ha legittimamente ed esaustivamente motivato il diniego delle attenuanti di cui all’art. 62-bis c.p. in ragione della gravità delle condotte e dell’assenza di segnali ravvedimento critico delle proprie azioni criminali.
Ancora, con riguardo alla concessione della sospensione condizionale della pena, si deve osservare come per l’imputato non sussistano i requisiti stabiliti dalla legge per l’accesso al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. dal momento che il COGNOME, pur ultrasessantenne, ha subito una condanna superiore al limite di 2 anni e 6 mesi di reclusione stabilito nel terzo comma della disposizione in esame.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME è infondato, ancorché in molte parti risulti invece inammissibile.
2.1 In primo luogo, il ricorso contesta la sussistenza del reato facendo leva sul fatto che l’imputato era cessato dalla carica di amministratore ben tre anni prima della dichiarazione di fallimento.
Il ricorrente, invero, imposta le doglianze sull’assunto della mancanza di prova del concorso materiale e morale dell’imputato nelle condotte illecite, in assenza di atti gestori o altri comportamenti riconducibili all’imputato indicativi della continuazione, di fatto, de ruolo di amministratore o quanto meno di un suo coinvolgimento nelle vicende societarie.
Tuttavia, i giudici del merito, nel rigettare le eccezioni formulate dalla difesa al fine sovvertire il giudizio di responsabilità del COGNOME, hanno esposto in maniera esaustiva le ragioni fondatrici della sua penale responsabilità, individuando una serie di elementi probatori in grado di dimostrare la sua partecipazione alle vicende criminose nonostante la sua fuoriuscita dalla società prima del fallimento.
2.2 In particolare, anche in questa ipotesi, la prova della fraudolenza della condotta è stata ancorata a indici sintomatici, non potendo rinvenirsi nella cessazione dall’incarico di amministratore alcuna presunzione di estraneità rispetto alla vicenda distrattiva. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche la responsabilità dell’amministratore cessato può essere affermata a condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione nel corso della sua gestione o l’esistenza di un accordo con l’amministratore subentrato per il compimento di tali atti (Sez. 5, n.
172 del 07/06/2006, dep. 2007, Vianello, Rv. 236031). In altri termini, il giudizio di responsabilità dell’amministratore cessato deve inquadrarsi in un complesso di risultanze dalle quali emerga la ragionevole certezza che la condotta sia inquadrabile nell’ambito di un doloso proponimento finalizzato proprio alla realizzazione della distrazione.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha desunto la natura distrattiva della cessione del ramo d’azienda a favore della “RAGIONE_SOCIALE” di RAGIONE_SOCIALE e della dolosa preordinazione dell’imputato sia sulla base dell’assenza di prove circa l’effettivo pagamento del prezzo pattuito o il reinvestimento di detta somma nella gestione societaria, sia sulla base della sua completa inerzia nell’esercitare le azioni civili a garanzia del proprio credito nei confronti della cessionaria.
La cessione contestata, benché formalmente concordata per un solo ramo d’azienda, aveva ad oggetto, in realtà, l’intero asset produttivo dell’impresa, comprensiva di tutti i beni mobili, le attrezzature, nonché i debiti e i crediti utilizzati per l’esercizio d principale attività di panificio e pasticceria.
Proprio quest’ultimo elemento ha rafforzato il logico convincimento dei giudici di merito, portandoli ad affermare come l’imputato abbia effettuato una operazione fraudolenta consistente nella cessione senza corrispettivo delle utilità al fine di deprivare l’impresa di una reale autonomia, trasformandola in un ente solo formalmente operante, priva di capacità produttiva e gravata solo da debiti.
2.3 Infondata è, altresì, la censura avanzata in merito al difetto di relazione causale tra le presunte distrazioni e il dissesto della fallita, dovendosi in proposito ribadire consolidato insegnamento di questa Corte in base al quale, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è richiesta l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell’impresa (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
Ancora, è parimenti infondata l’eccezione rivolta a giustificare l’esistenza di un interesse aziendale all’operazione contestata ed al suo carattere non pregiudizievole della cessione per gli interessi dei creditori, dal momento che la vendita aveva generato anche un lecito accollo delle passività legate al ramo d’azienda da parte della concessionaria RAGIONE_SOCIALE, determinando così un ampliamento della garanzia creditoria. Sul punto, la consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il generico riferimento all’accollo di debiti d parte della cessionaria non assume alcuna rilevanza al fine di escludere la natura distrattiva dell’operazione in assenza dell’espressa previsione di una clausola liberatoria a favore del debitore accollato. Infatti, solo la natura liberatoria dell’accollo determina un trasferimento integrale della titolarità della posizione debitoria in capo all’accollante sollevando l’accollato dalle passività. In mancanza, l’accollo assume valenza meramente interna e non liberatoria, vincolando al soddisfacimento dei crediti il debitore originario in solido con la parte accollante.
Ne consegue che la condotta accertata deve considerarsi senz’altro tipica ai sensi dell’art. 216 comma 1 n. 1) legge fall. in virtù del fatto che la società fallita continua ad essere gravata da debiti, in favore di un creditore privilegiato, pur senza avere più la titolari dell’unico ramo d’azienda funzionale a garantire il perseguimento dell’oggetto sociale e la continuazione dell’attività produttiva e senza aver conseguito un’utilità idonea a ripianare la situazione debitoria (Sez. 5, n. 10778 del 10/01/2012, COGNOME, Rv. 252008).
2.4 In maniera analoga, è del tutto priva di rilevanza la doglianza relativa al travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la sentenza d’appello nell’affermare l’esistenza di un legame di parentela tra il COGNOME e la famiglia COGNOME. In realtà, la pronuncia censurata nel constatare un intreccio di relazioni societarie e familiari non ha operato un esclusivo riferimento all’operazione distrattiva imputata al COGNOME, il quale, in effetti, non h legami di parentela alcuni con gli altri imputati, ma ha inteso riferirsi in maniera più ampia al complesso delle vicende societarie qui in esame, rimarcando come la cessione di rami d’azienda, a favore di società costituite all’uopo e gestite da soggetti legati agl amministratori della fallita, rafforzi la logica convinzione della preordinazione di un disegno criminoso rivolto a provocare il totale depauperamento del patrimonio aziendale. Infine, generica risulta l’obiezione relativa al presunto aggravamento della posizione creditizia conseguente all’asserita inerzia della curatela nell’esperire azioni giudiziarie nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, tanto più la sentenza impugnata, con la quale il ricorrente non si è confrontato, ha sottolineato come il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, abbia esperito un’azione revocatoria in relazione all’atto di cessione del ramo d’azienda, la quale, tuttavia, è stata interrotta per avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della cessionaria posta in liquidazione.
Parimenti generica è infine la censura relativa all’asserita impossibilità per l’imputato di fornire la prova dell’avvenuto pagamento a causa dell’occultamento o della distruzione delle scritture contabili da parte dell’amministratore succedutogli.
Anche il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è nel suo complesso infondato, ancorché per certi aspetti risulti invero inammissibile.
3.1 In particolare è inammissibile il primo motivo, incentrato sulla mancata esecuzione del contratto di cessione del ramo di azienda stipulato nel 2011 tra l’imputato e il COGNOME, in quanto inedito, avendo ad oggetto una questione che non era stata devoluta al giudice dell’appello con il gravame di merito.
Ad ogni modo, la doglianza promossa dal ricorrente è comunque manifestamente infondata. Secondo la tesi difensiva la vendita del ramo d’azienda contestata al capo a) non avrebbe realizzato alcuna distrazione, in ragione del fatto che tanto la prima quanto la seconda cessione hanno avuto ad oggetto lo stesso ramo d’azienda. Pertanto, ad avviso del ricorrente, questo elemento, unito al mancato pagamento del prezzo e alla
mancata consegna del bene, garantirebbe la prova che la prima vendita non abbia mai avuto esecuzione, in quanto il ramo d’azienda oggetto della cessione non sarebbe mai uscito dal patrimonio societario, rimanendo nella piena disponibilità del cedente, al punto da costituire oggetto della seconda vendita.
Sul punto, è opportuno richiamare gli argomenti contrari formulati dalla Procura Generale e condivisi da questa Corte. In particolare, si osserva come la cessione di azienda verso il pagamento del corrispettivo e l’accollo dei debiti relativi al complesso ceduto imponga la qualificazione del contratto in termini di compravendita. Da ciò consegue che il trasferimento del diritto è regolato dal principio consensualistico o del consenso traslativo di cui all’art. 1376 c.c., ai sensi del quale la proprietà o il diritto si trasmettono acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Pertanto, l’avente causa acquista il diritto di proprietà attribuitogli in virtù della sola stipulaz del contratto di alienazione, senza che occorra, al tal fine, l’avvenuto pagamento del prezzo o la successiva consegna della cosa, costituenti oggetto di autonome obbligazioni ex artt. 1498 e 1476 c.c.
Applicando i principi ora richiamati al caso concreto, è possibile affermare che la prima cessione sia stata il frutto di un accordo validamente manifestato dalle parti, producendo così, i suoi effetti traslativi e determinando il passaggio, in capo al cessionario, della proprietà del ramo di azienda.
Il fatto che, dopo la prima cessione, il ramo sia stato nuovamente ceduto ad altro acquirente è, dunque, del tutto irrilevante, tanto più che in questa seconda occasione l’oggetto della compravendita è stato più ampio della prima volta.
3.2 Quanto al contributo concorsuale della condotta dell’imputato rispetto all’operazione distrattiva, deve ricordarsi che la giurisprudenza di legittimità è ormai orientata nel ritenere che il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. Ne consegue che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 I. fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi anche da latri fattori (ex multis Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879).
Nel caso di specie, i giudici d’appello hanno individuato una serie di elementi indicativi della dolosa compartecipazione dell’imputato nella vicenda distrattiva. In dettaglio, la sentenza evidenzia che la società acquirente RAGIONE_SOCIALE, amministrata da COGNOME NOME, è stata costituita circa un mese prima della cessione del ramo d’azienda e aveva il
medesimo oggetto sociale della fallita. Inoltre, tra il 2011 e il 2012 sono succeduti alla carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE prima il COGNOME e poi il COGNOME NOME, padre di NOME. Logicamente dunque i giudici del merito hanno ritenuto che, data l’esistenza di legami personali e professionali con gli amministratori della fallita, il COGNOME fosse a conoscenza della situazione di dissesto della società e che, ciò nonostante, si sia determinato a istituire una società al solo scopo di concorrere alla realizzazione della condotta distrattiva insieme al COGNOME.
Infine, l’eccezione relativa alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione è manifestamente infondata. Secondo il pacifico orientamento di questa Corte, il termine di prescrizione dei reati di bancarotta decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria, precisando la validità di tale principio sia nel caso in cui la sentenza di fallimento venga qualificata come elemento costitutivo improprio della fattispecie penale, sia qualora la si ritenga condizione obiettiva di punibilità (ex multis Sez. 5, n. 48739 del 14/10/2014, Grillo, Rv. 261299).
Conseguentemente deve ritenersi manifestamente infondato anche il secondo motivo.
3.3 D terzo motivo è infondato. Al riguardo, si rimanda alle considerazioni già svolte al punto 1.2 per il ricorrente COGNOME in riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e all’impossibilità di equiparare il trattamento sanzionatorio concesso all’imputato a quello più mite erogato alla COGNOME.
3.4 Non è meritevole di accoglimento nemmeno il quarto motivo di ricorso relativo al riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen. La sentenza d’appello, con motivazione priva di profili di irragionevolezza, ha logicamente argomentato il diniego dell’attenuante della minima partecipazione nel concorso evidenziando il contributo essenziale svolto dal COGNOME al fine della consumazione del progetto fraudolento.
3.5 Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha motivato la prognosi negativa sulla non reiterazione futura di reati da parte dell’imputato, secondo un giudizio tipicamente di merito che non scade nell’illogicità quando, come nel caso in esame, la valutazione del giudice non si esaurisca nel giudizio di astratta gravità del reato, ma esamini l’incidenza dell’illecito sulla capacità a delinquere dell’imputato e, quindi, evidenzi aspetti soggettivi della personalità dell’imputato che ne hanno orientato la decisione.
In conclusione i ricorsi devono essere rigettati e gli imputati condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.