Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9393 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9393 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ADRANO il 06/11/1956
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 6 novembre 2019, il Tribunale di Catania aveva condannato COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo a), bancarotta fraudolenta per operazioni dolose (capo b) e per bancarotta fraudolenta documentale (capo c), in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 4 novembre 2013.
Con sentenza pronunciata il 10 maggio 2024, la Corte di appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando il reato di cui al capo c assorbito in quello di cui al capo b, confermando nel resto la sentenza del Tribunale.
Secondo la Corte di appello, l’imputato, in qualità di legale rappresentante della fallita, avrebbe distratto dalle casse della società la somma di euro 93.995,00. Avrebbe, inoltre, cagionato il fallimento della società, omettendo di adottare i provvedimenti di cui agli artt. 2482-bis e 2482 cod. civ., in presenza, fin dall’anno 2006, di perdite per oltre un terzo del capitale, nascoste alterando il bilancio mediante la falsa rappresentazione di un credito di euro 160.000,00, in realtà del tutto fittizio.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato le dichiarazioni rese dall’imputato, che aveva riferito di aver utilizzato la somma di denaro mancante per pagare le retribuzioni ai lavoratori.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che il credito di euro 160.000,00, annotato nel bilancio, dovrebbe ritenersi reale, atteso che la Corte di appello non avrebbe «addotto elementi probatori di segno opposto». Lo stesso consulente della curatela avrebbe riconosciuto che non sarebbero emerse irregolarità in ordine alla tenuta della documentazione contabile, «relativamente, in particolare agli esercizi intercorrenti dal 2009 al 2011».
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
La Corte di appello, invero, ha preso in considerazione le dichiarazioni dell’imputato, secondo il quale le somme mancanti sarebbero state destinate alla retribuzione dei lavoratori, ritenendole meramente assertive e prive di qualsiasi
riscontro oggettivo. Va rilevato, peraltro, che già il Tribunale aveva preso in considerazione le dichiarazioni rese dall’imputato e aveva evidenziato che esse non trovavano alcun riscontro nella documentazione della società, ponendo in rilievo anche che esse erano smentite anche dalla circostanza, accertata dal curatore, che la gran parte delle istanze di ammissione al passivo erano proprio dei lavoratori, sebbene alcuni di essi avessero avanzato istanza per il pagamento del trattamento di fine rapporto e non per le retribuzioni.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello, infatti, ha rilevato che: mancava qualsiasi elemento di prova a sostegno dell’esistenza di tale credito; il fatto che esso era stato riportato senza alcuna variazione nei successivi bilanci costituiva un’ulteriore dimostrazione della sua fittizietà; il curatore fallimentare aveva riferito che proprio tale credi aveva consentito, per ciascuna annualità, di evitare che il capitale risultasse inferiore alla soglia che rendeva necessaria la ricapitalizzazione.
Quanto alle valutazioni del consulente della curatela, va rilevato che, dalle sentenze di merito (e, in particolare, da quella di primo grado), emerge che il ricorrente ha dato rilievo solo a un brevissimo frammento della relazione tecnica. Il consulente, infatti, dopo aver affermato che non erano emerse irregolarità in ordine alla formale tenuta della documentazione contabile, «relativamente, in particolare, agli esercizi intercorrenti dal 2009 al 2011», aveva poi posto in rilievo il credito di 160.000,00 euro, per evidenziare che, dall’esame dei bilanci relativi agli anni precedenti e dalla restante documentazione contabile, emergeva che: il credito di euro 160.000,00 era inesistente; la situazione della società non aveva mai trovato corretta evidenza nei bilanci aziendali, in quanto artificiosamente occultata con l’iscrizione di detto credito fittizio; che, già nel 2006, la rea situazione della società era tale da giustificare lo scioglimento previsto dalla normativa civilistica.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 4 dicembre 2024.