Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19964 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19964 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia in data 23/03/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta presentata ai sensi dell’art. 23, comrna 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni scritte presentate, ai sensi dell’art. 23, comrna 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dall’AVV_NOTAIO, il quale, nell’interesse di NOME COGNOME, ha chiesto l’accoglimento del ricorso, richiamandosi ai motivi in esso articolati.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23 marzo 2023, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Padova in data 6 novembre 2018 con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 216, comma 1, nn. 1 e 2, 219 legge fall., per avere, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella sua veste di amministratore unico dal 10 ottobre 2003 al 23 luglio 2013 e di
socio unico fino al 25 luglio 2013 della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Padova in data 20 febbraio 2014, distratto, con contratto di cessione di quota sociale stipulato il 25 luglio 2013 tra COGNOME, quale socio unico della fallita, e COGNOME quale acquirente, l’immobile di proprietà della fallita costituito d negozio e posto auto, per il prezzo di 80.200.00 euro pagato solo apparentemente con un assegno mai posto all’incasso, poi venduto da COGNOME, quale amministratore e socio unico della RAGIONE_SOCIALE, sempre in data 25 luglio 2013, a NOME COGNOME quale socio e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, il quale apparentemente aveva pagato il prezzo di 91.960,00 euro con un assegno, in realtà, mai posto all’incasso, e che, a sua volta, aveva venduto, in data 12 novembre 2013, a NOME COGNOME, la quale aveva corrisposto, solo apparentemente, il prezzo di 50.000,00 euro con un assegno di provenienza furtiva; nonché per avere, sempre in concorso con COGNOME, nelle qualità già indicate, sottratto ovvero distrutto, con lo scopo cli procurare a sé o a altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le scri contabili della predetta società; in Padova il 20 febbraio 2014.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto.
2.1. Quanto alla bancarotta patrimoniale contestata al capo 1), il ricorso denuncia che l’affermazione di responsabilità non terrebbe in considerazione le censure esposte nell’atto di appello, ovvero che COGNOME, a causa della crisi della società, avesse ceduto le quote della RAGIONE_SOCIALE a COGNOME e che costui, a sua insaputa, avesse venduto l’immobile a NOME COGNOME, non essendo stato provato che COGNOME fosse stato coinvolto nella distrazione dell’immobile e avendo COGNOME confermato che l’imputato non era presente dal notaio al momento della stipula del rogito, mentre se egli fosse stato coinvolto nella vicenda si sarebbe fermato per seguire l’operazione. Fermo restando che a novembre 2013 vi era stato il secondo atto di cessione dell’immobile, dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME a NOME COGNOME, cui COGNOME era stato del tutto estraneo.
Né potrebbe fondare una pronuncia di responsabilità il fatto che l’imputato abbia restituito l’assegno di 80.200,00 euro appena ricevuto da COGNOME quale corrispettivo per la cessione delle quote sociali senza pretendere alcuna garanzia di pagamento da quest’ultimo. Infatti la società aveva, come unico cespite, l’immobile in questione e versava in una disastrosa situazione economica, con un
passivo, indicato nell’ultimo bilancio, stimato in 180.000,00 euro, sicché l’immobile non avrebbe avuto, di fatto, pressoché alcun valore e COGNOME non aveva, dunque, nulla da perdere a fidarsi di COGNOME. Un rilievo, questo, esposto nell’atto di appello, a fronte del quale la Corte territoriale non avrebbe però fornito alcuna risposta.
Quanto alla bancarotta documentale di cui al capo 2), la Corte di appello di Venezia, al pari del primo Giudice, riterrebbe provato che COGNOME abbia fatto sparire la contabilità per impedire al curatore di ricostruire l’andamento economico patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE, senza tenere in considerazione che l’imputato, in sede di esame, aveva riferito che, nel corso del luglio 2013, prima della cessione delle quote sociali, aveva consegnato a COGNOME tutta la documentazione contabile della società, ottenendo una ricevuta scritta non più reperita. Tale circostanza sarebbe stata ritenuta inverosimile, pur avendo COGNOME fornito, quando era stato convocato dal curatore, tutte le spiegazioni del caso e pur avendo NOME COGNOME affermato che la documentazione contabile era stata consegnata, al pari delle quote, al nuovo amministratore. Anche in questo caso la Corte di appello si sarebbe limitata a far proprie le argomentazioni del primo Giudice, senza fornire riposta alle censure esposte nell’appello in relazione, in particolare, alla testimonianza resa da NOME COGNOME.
2.2. Sotto altro profilo, il Collegio di appello avrebbe applicato una pena eccessivamente elevata, non riconoscendo le circostanze attenuanti generiche nonostante la condotta dell’imputato, che avrebbe collaborato fattivamente con il curatore al fine di ricostruire la situazione contabile della RAGIONE_SOCIALE e che successivamente avrebbe presenziato al processo, fornendo in sede di esame la sua versione di quanto accaduto; e tenuto conto che l’immobile sarebbe stato comunque recuperato dal RAGIONE_SOCIALE il quale, pertanto, non avrebbe subito danno.
Quanto, poi, alla determinazione della pena in misura non prossima ai minimi edittali, il Collegio avrebbe dovuto necessariamente evidenziare le ragioni della sua decisione, mentre lo stesso, senza tenere in considerazione gli elementi offerti dalla difesa, avrebbe, invece, aderito pedissequamente alla tesi del primo Giudice.
Né si comprenderebbero le ragioni per cui la Corte di appello abbia rigettato la richiesta di applicazione della sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, asserendo che il certificato del casellario attesterebbe che egli sarebbe persona alla quale non si potrebbe fare affidamento quanto all’osservanza degli obblighi imposti.
2.3. Infine, quanto alla condanna al risarcimento del danno alla parte civile, il RAGIONE_SOCIALE, essa non avrebbe tenuto conto che quest’ultimo avrebbe recuperato l’immobile oggetto di distrazione, benché nell’atto di appello tale circostanza fosse stata puntualmente posta in luce.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Muovendo dall’analisi delle censure in materia di banc:arotta patrimoniale, va osservato che, diversamente da quanto dedotto dal ricorso, la Corte di appello ha fornito una chiara motivazione delle ragioni per le quali è stato ritenuto che la cessione dell’immobile configurasse una condotta distrattiva, c:onsiderata la natura simulata dell’operazione economica compiuta, finanche accertata con sentenza del Tribunale civile di Padova in data 10 giugno 2015 e atteso, dunque, il tentativo di fare uscire, senza alcun corrispettivo, l’unico cespite di valore economico di cui la società disponeva. Così come è stato pienamente spiegato per quale ragione doveva ritenersi che lo stesso COGNOME fosse pienamente partecipe dell’operazione complessiva, tenuto conto di quanto riferito da NOME COGNOME circa il suo incontro con l’imputato prima della stipula del rogito notarile, finalizzato a organizzare la successiva redazione dell’atto.
Una motivazione, quella appena riassunta, rispetto alla quale le censure difensive sono state articolate in termini essenzialmente controfattuali, affermando, peraltro infondatamente, che la differente ricostruzione degli accadimenti contenuta nell’atto di appello non sarebbe stata presa in considerazione dalla Corte territoriale, ma senza confrontarsi con la logica e congrua interpretazione del dato probatorio offerta nella sentenza impugnata, che si è fatta carico di una lettura globale e non parcellizzata delle circostanze accertate, ritenute indicative della riferibilità dei singoli episodi di cessione un’operazione concertata.
Del pari, in relazione al delitto di bancarotta documentale, la Corte di appello non si affatto è limitata ad affermare, come invece opinato in ricorso, che la tesi della difesa fosse «destituita di ogni fondamento», ma ha adeguatamente evidenziato come dovesse ritenersi inverosimile, alla stregua di un dato di comune esperienza, che l’imputato avesse consegnato la documentazione contabile all’amministratore subentrante senza avere conservato alcuna ricevuta della relativa consegna, posto che il medesimo sarebbe stato, invece, tenuto a conservarla scrupolosamente in ragione dell’obbligo assegnatogli, quale amministratore della società, dall’art. 2478 cod. civ. Con ciò all’evidenza ritenendo del tutto inattendibile la testimonianza della figlia dell’imputato’ che aveva cercato di avallare la versione offerta dal genitore.
Sotto altro profilo, la Corte di appello ha parimenti ben spiegato le ragioni per le quali l’imputato non poteva ritenersi meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche in difetto di elementi positivi che potessero giustificare il loro riconoscimento, in questa sede nuovamente sollecitato sul presupposto di una
collaborazione dell’imputato alla ricostruzione della situazione patrimoniale della società che si pone in logica contrapposizione con l’affermata responsabilità per avere sottratto o distrutto le scritture contabili.
Quanto, poi, alla mancata rimodulazione del trattamento sanzionatorio essa è stata pienamente giustificata con l’avvenuta applicazione del minimo edittale, che ovviamente non consentiva alcuna ulteriore riduzione della pena inflitta.
4.1. Con riferimento, indi, alla mancata applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, i Giudici di merito hanno evidenziato, con apprezzamento fattuale che ha ricevuto una motivazione del tutto congrua, che il certificato del casellario giudiziale attestava, in ragione dei precedenti penali ivi indicati e del giudizio di inaffidabilità che su di essi è stato non irragionevolmente fondato, la sostanziale incapacità dell’imputato di osservare gli obblighi impostigli in caso di applicazione della pena sostitutiva a contenuto prescrittivo.
4.2. Quanto, infine, alle statuizioni civili, esse sono state confermate dalla Corte di appello in ragione del danno arrecato ai creditori, definito dalla sentenza impugnata come «rilevante», essendo lo stesso riferibile allo stato passivo e non già alla sola condotta distrattiva. Anche in questo caso, dunque, si è al cospetto di un apprezzamento di merito, che in quanto sorretto da idonea motivazione si sottrae alle prospettate censure.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 20 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente