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Bancarotta fraudolenta: condanna per gli amministratori

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico dell’amministratore di fatto e di quello di diritto di una società. Gli imputati avevano sottratto beni e liquidità all’azienda dopo aver ricevuto un ingente accertamento fiscale. La sentenza ribadisce che per configurare il reato è sufficiente la volontà consapevole di distrarre i beni (dolo generico), senza che sia necessario dimostrare l’intenzione specifica di danneggiare i creditori. L’appello è stato respinto, consolidando la responsabilità di entrambi gli amministratori.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Fraudolenta: La Cassazione Conferma la Condanna per Amministratori

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di bancarotta fraudolenta, confermando la condanna per l’amministratore di fatto e quello di diritto di una società fallita. La decisione mette in luce i criteri per l’accertamento della responsabilità penale nella gestione aziendale, in particolare quando vengono poste in essere operazioni distrattive in prossimità del dissesto. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti: La Gestione Societaria Sotto la Lente

Il caso riguarda due coniugi, l’uno amministratore di fatto e l’altra amministratrice di diritto di una S.r.l., dichiarata fallita nel 2013. Secondo l’accusa, confermata nei gradi di merito, i due avevano posto in essere una serie di atti finalizzati a spogliare la società del suo patrimonio. Le condotte contestate includevano:

* La vendita di immobili di proprietà della società, situati anche in rinomate località turistiche, a prezzi notevolmente inferiori al loro valore di mercato.
* L’acquisto, da parte della società, di un immobile di proprietà della famiglia dell’amministratore di fatto, immobile che fino a quel momento era stato concesso in comodato d’uso gratuito alla stessa società. Questa operazione ha comportato un’ingiustificata fuoriuscita di liquidità.
* La distribuzione di premi, emolumenti e compensi senza una valida e certa delibera assembleare che li giustificasse.

L’elemento scatenante di queste operazioni è stato individuato nella notifica di un accertamento fiscale che esponeva la società a un debito milionario verso l’Erario. Invece di affrontare la crisi, gli amministratori hanno scelto la via della dismissione patrimoniale a danno dei creditori.

La Decisione della Corte sulla bancarotta fraudolenta

I due imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale e vizi di motivazione. Sostenevano che le operazioni fossero legittime scelte imprenditoriali e che mancasse la prova dell’elemento soggettivo del reato, ovvero l’intenzione di causare il fallimento o di danneggiare i creditori.

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno considerato la motivazione della Corte d’Appello logica, coerente e completa, confermando la colpevolezza di entrambi gli amministratori per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione in concorso.

Le motivazioni

La sentenza si sofferma su alcuni principi cardine del diritto penale fallimentare. In primo luogo, viene chiarito il concetto di dolo generico. Per la configurazione della bancarotta per distrazione, non è richiesta la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo specifico di recare pregiudizio ai creditori. È sufficiente, come ribadito dalle Sezioni Unite, la “consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte”. Gli atti di spoliazione, posti in essere subito dopo la notizia del debito fiscale, sono stati ritenuti una prova schiacciante di tale volontà.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la posizione dell’amministratrice di diritto. Il suo ricorso, basato sulla presunta assenza di prove di un suo coinvolgimento attivo, è stato dichiarato inammissibile. La ragione è prettamente processuale: tale doglianza non era stata sollevata nel precedente atto di appello. La Cassazione non può esaminare motivi “inediti”. Inoltre, i giudici di merito avevano già accertato una “gestione condivisa” tra i due coniugi, rendendoli entrambi responsabili.

Infine, la Corte ha ritenuto congrua e ben motivata anche la durata delle pene accessorie, giustificata dalla reiterazione delle condotte illecite.

Le conclusioni

Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per chi amministra una società. Innanzitutto, emerge con chiarezza che la responsabilità penale non si ferma all’amministratore di fatto, ma si estende pienamente anche all’amministratore di diritto, soprattutto quando emerge un quadro di gestione condivisa. In secondo luogo, la sentenza conferma che la soglia per l’integrazione del dolo nella bancarotta fraudolenta è bassa: basta la volontà cosciente di sottrarre beni alla loro funzione di garanzia per i creditori, a prescindere da quale fosse il fine ultimo dell’agente. Infine, la decisione sottolinea un principio processuale fondamentale: le strategie difensive devono essere articolate fin dai primi gradi di giudizio, poiché non è possibile introdurre nuove argomentazioni per la prima volta dinanzi alla Corte di Cassazione.

Per la condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione è necessario dimostrare che l’amministratore volesse specificamente danneggiare i creditori?
No, la Corte ha chiarito che l’elemento soggettivo richiesto è il “dolo generico”. È sufficiente la consapevole volontà di destinare il patrimonio sociale a scopi diversi dalla garanzia dei creditori, non essendo necessari né lo scopo specifico di recare pregiudizio, né la consapevolezza dello stato di insolvenza.

L’amministratore “di diritto”, che ha solo un ruolo formale, risponde del reato se la gestione è di fatto affidata a un altro soggetto?
Sì, può essere ritenuto responsabile. Nel caso specifico, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso su questo punto perché non era stato sollevato in appello. Tuttavia, i giudici di merito avevano accertato una “gestione condivisa” della società tra i due coniugi, fondando così la responsabilità in concorso di entrambi.

Quali operazioni sono state considerate “distrattive” in questo caso?
Le operazioni ritenute distrattive includevano la vendita di immobili societari a prezzi sottostimati, l’acquisto di un immobile di proprietà della famiglia dell’amministratore di fatto con fondi della società, e la distribuzione di emolumenti e compensi agli amministratori in assenza di una delibera assembleare di data certa che li giustificasse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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