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Bancarotta fraudolenta: concorso dell’extraneus

La Corte di Cassazione esamina il caso di un imprenditore accusato di concorso in bancarotta fraudolenta per aver ricevuto pagamenti da una società, poi fallita, con cui non aveva un debito diretto. La somma era il corrispettivo della vendita di quote di un’altra società. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso contro il sequestro preventivo, confermando che la consapevolezza dell’origine illecita dei fondi può essere desunta da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, come le causali fittizie dei bonifici e la mancanza di prove di legittime operazioni commerciali.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta fraudolenta: quando chi riceve denaro è complice?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20131/2024, offre importanti chiarimenti sul concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta. Il caso analizzato riguarda un imprenditore che, pur non essendo amministratore della società fallita, ha ricevuto da quest’ultima ingenti somme di denaro, venendo così coinvolto nelle indagini per distrazione di patrimonio societario. La pronuncia è cruciale per comprendere quali elementi possono fondare un’accusa di complicità e giustificare un sequestro preventivo.

I Fatti del Caso: Cessione di Quote e Pagamenti Anomali

Un imprenditore cede il 100% delle quote della sua holding a due soggetti, i quali sono anche soci di una terza società. Il corrispettivo della cessione, pari a oltre 1,5 milioni di euro, non viene però pagato direttamente dagli acquirenti, ma viene erogato attraverso 26 bonifici provenienti dai conti correnti della loro società, che in seguito verrà dichiarata insolvente.

Le causali indicate nei bonifici appaiono generiche e fittizie, come “acconto/saldo per acquisto di marchi e brevetti”, per mascherare la reale natura dell’operazione: il pagamento di un debito personale degli acquirenti con fondi sottratti alla loro azienda. A fronte di questa ipotesi accusatoria, il Giudice per le Indagini Preliminari dispone un sequestro preventivo per quasi mezzo milione di euro nei confronti dell’imprenditore venditore.

La Difesa e il Ricorso in Cassazione

L’imprenditore si difende sostenendo la propria buona fede. Afferma di non essere stato consapevole dell’origine illecita dei fondi e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle attività distrattive. Secondo la sua versione, i pagamenti erano legittimi e dovuti a seguito non solo della cessione delle quote, ma anche di un presunto accordo per la vendita di marchi alla società poi fallita. Il suo ricorso in Cassazione si basa proprio sulla mancanza del cosiddetto fumus commissi delicti (la parvenza di reato) e dell’elemento soggettivo del dolo, cioè la consapevolezza di partecipare a un’operazione illecita.

Il ruolo dell’extraneus nella bancarotta fraudolenta

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, consolida un principio fondamentale: anche un soggetto esterno (extraneus) alla gestione societaria può concorrere nel reato di bancarotta fraudolenta se, con la sua condotta, contribuisce consapevolmente al depauperamento del patrimonio sociale a danno dei creditori. Non è necessario essere l’artefice della distrazione; è sufficiente esserne consapevoli e trarne vantaggio, ricevendo le somme illecitamente sottratte.

Le motivazioni

I giudici hanno ritenuto che il Tribunale del riesame avesse correttamente valutato la sussistenza di un quadro indiziario grave, preciso e concordante, tale da giustificare la misura cautelare. Gli elementi chiave che hanno portato a questa conclusione sono stati:

1. La provenienza dei fondi: I bonifici provenivano da una società terza, non direttamente dagli acquirenti che erano i reali debitori dell’imprenditore.
2. Le causali fittizie: Le giustificazioni generiche sui bonifici, unite all’assenza di prove concrete di un contratto di cessione di marchi, sono state considerate un chiaro indizio della volontà di mascherare l’operazione.
3. L’assenza di pagamenti diretti: Gli acquirenti non hanno mai versato somme proprie per saldare il loro debito, avvalendosi sistematicamente delle casse della loro società.
4. La condotta successiva: L’imprenditore, dopo aver ricevuto le somme, ha trasferito oltre un milione di euro su un conto svizzero. Questa operazione è stata interpretata come un tentativo di sottrarre i proventi illeciti a eventuali future azioni giudiziarie, concretizzando il periculum in mora (pericolo di dispersione dei beni).
5. Gli scambi di email: È emersa una corrispondenza via email da cui si evinceva che l’imprenditore era stato invitato a predisporre un documento per giustificare i pagamenti ricevuti dalla società come se fossero stati fatti ‘per conto dei soci’, a riprova della sua consapevolezza della anomalia dell’operazione.

La Corte ha ribadito che, in sede di legittimità, non si può procedere a una nuova valutazione dei fatti, ma solo verificare la coerenza logica e la correttezza giuridica della motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, l’apparato argomentativo del Tribunale è stato giudicato solido e immune da vizi.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un monito importante per chiunque si trovi a ricevere pagamenti nell’ambito di operazioni commerciali complesse. Accettare somme da un soggetto giuridico che non è il proprio diretto debitore, soprattutto in assenza di una chiara e documentata giustificazione contrattuale, espone al grave rischio di essere considerati complici in reati gravi come la bancarotta fraudolenta. La consapevolezza non deve essere provata con una confessione, ma può essere desunta logicamente da una serie di ‘campanelli d’allarme’ che una persona di normale diligenza dovrebbe cogliere. La decisione conferma che la tutela dei creditori nel contesto delle procedure concorsuali è un bene giuridico di primaria importanza, protetto anche attraverso un’interpretazione rigorosa del concorso di persone nel reato.

Chi riceve denaro da una società diversa dal proprio debitore può essere accusato di concorso in bancarotta fraudolenta?
Sì. Secondo la sentenza, chi riceve somme da una società che non è la sua diretta debitrice, essendo consapevole che tali somme sono distratte dal patrimonio di quella società per pagare il debito di terzi (in questo caso i soci acquirenti), può essere ritenuto concorrente nel reato di bancarotta fraudolenta.

Quali indizi possono dimostrare la consapevolezza di partecipare a una distrazione di beni societari?
La consapevolezza può essere desunta da plurimi elementi, tra cui: la ricezione di bonifici con causali generiche o fittizie, l’assenza di documentazione a supporto di legittimi rapporti commerciali con la società che effettua i pagamenti, la mancata ricezione di pagamenti diretti dal vero debitore e la richiesta di predisporre documenti postumi per giustificare le operazioni anomale.

Il trasferimento di somme all’estero giustifica un sequestro preventivo?
Sì. Il trasferimento di ingenti somme su conti esteri, come un conto svizzero, è stato considerato un elemento che dimostra il concreto e attuale pericolo di dispersione del denaro. Questo comportamento, che rende più difficile il recupero del profitto del reato, costituisce il ‘periculum in mora’ che giustifica l’applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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